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CARNEVALE CAMPAGNOLO

di Vincenzo Serra

Pieter Brugel Lotta tra Carnevale e Quaresima

Pieter Brugel il Vecchio, Lotta tra Carnevale e Quaresima, 1559, Museo delle Belle Arti di Vienna (da Wikipedia)

Voglio parlare di quei carnevali sentiti e vissuti con semplicità, in un mondo senza pretese, quando sentire e vivere erano agevolati dal fatto che il carnevale cadeva in quei momenti in cui l'agricoltura concedeva ai suoi operatori una pausa. Precisamente allorquando tutte le attività essenziali erano state completate: la mietitura, la trebbiatura, la raccolta e la conservazione dei cereali, del fieno e della paglia, come anche la vendemmia e la raccolta e la molitura delle olive, con la relativa collocazione dell'olio e del vino e delle altre riserve invernali.
Erano i momenti da dedicare alla manutenzione, al riordino e alla risistemazione; erano i momenti per le donne di ripescare fusi e ferri per filare la lana o fare calze e maglie; erano i momenti di ritrovarsi intorno al focolare per le favole, per le evocazioni dei ricordi, delle imprese e delle avventure giovanili oppure per esaltare l'esperienza e gli insegnamenti dei vecchi; erano i momenti delle visite ai parenti.
In questo contesto irrompeva il carnevale, che non era certamente quello dei carri o delle maschere della commedia, ma era il tempo che intercorre fra le feste natalizie e la Quaresima, un tempo che si faceva decorrere dal 17 gennaio, festa di sant' Antonio abate (una delle tante decorrenze), per terminare il giorno delle Ceneri.
Il carnevale era guardato come il tempo della spensieratezza e dello stare insieme e a questo scopo, a volte, alcune famiglie organizzavano serate di ballo, invitando i vicini che partecipavano volentieri, soprattutto se in casa vivevano signorine o giovanotti. In queste occasioni si chiacchierava, si ballava e non mancava mai un bicchiere di vino che poteva essere accompagnato da un canestro di frutta secca o addirittura con della salsiccia.
Si ballava alla buona, balli locali e tradizionali, come la tarantella o la quadriglia, accompagnati dal suono di organetti, di chitarre o delle "mascine" (antichi grammofoni con motore a corda che si caricavano girando una manovella); tutti strumenti semplici e alcuni, oggi, non più in uso. Anche le canzoni intonate erano legate alla tradizione (nessuno conosceva festival o divi della canzone).
In questo clima euforico e disteso maturavano "i sirinate": erano eseguite da un gruppetto di amici (ma non era raro che a volte fossero ingentiliti da presenze femminili), con uno strumento musicale (fisarmonica/organetto) e con qualcuno pronto a cantare. L'allegra compagnia si recava alla porta dell'amico o del vicino, addormentati, e con canti e suoni lo svegliavano chiedendo di essere accolti per un giro di ballo e una canzone da cantare insieme.
Di consuetudine si apriva sempre la porta e si accoglieva festosamente l'allegra compagnia, offrendo un bicchiere di vino, partecipando ad un giro di ballo e cantando insieme una canzone. Delle volte avveniva che al gruppetto iniziale si aggregassero membri della famiglia svegliata per riproporre la stessa "sirinata" ad un altro amico e procedendo con questo andamento tutta la notte. Una volta accadde che verso l'alba fummo svegliati da un gruppo così numeroso che faceva fatica ad entrare in casa.
Come detto, era consuetudine aprire la porta ed accogliere coloro che si presentavano per "a sirinata". L'eventuale rifiuto era visto come un comportamento antisociale e un gesto non cavalleresco, per cui il protagonista del rifiuto rischiava, per qualche tempo, non solo di essere ignorato per possibili future "sirinate", ma anche di non essere invitato a feste di carnevale o di ricevere, a sua volta, dei rifiuti per eventuali festicciole proposte da lui stesso.
I momenti più sentiti e partecipati sono quelli vissuti con "i tri juorni i carnalivaru: duminica muzza, luni muzzu e marte muzzu", che rappresentavano momenti di saluto da festeggiare. I festeggiamenti potevano essere tanto "scialate" di gruppo, quanto raccolte festicciole di famiglia.
In ogni caso non mancavano tavole imbandite con un'abbondanza impensabile in altri giorni. Il dominatore delle tavolate era il maiale, accompagnato da un'ampia varietà di piatti, a partire dai salumi ("sazizze e suprissate"), per continuare con "scarafuogli, frittole" (cotiche), polpette, senza dimenticare gustosi sughi per insaporire "maccarruni", gnocchi o altra buona pasta. La tavola poteva essere arricchita anche da un gallo o da un tacchino appositamente allevati. Per completare la festa non poteva mancare un sano bicchiere di vino vendemmiato di recente e spillato al momento per un brindisi ed un augurio.
I "tri juorni i carnalivaru" non erano solo scialate, festicciole e brindisi, ma erano anche "mascarate e mascare", che "nti juorni di duminica muzza e marte muzzu" andavano in giro per le contrade. "U luni muzzu" era un giorno di pausa (come già accennato le nostre "mascare / mascarate" erano una cosa ben diversa delle maschere e dei carri dei carnevali più famosi o delle commedie storiche o teatrali).
"A mascarata" era formata da un numero variabile di persone (ogni gruppo poteva essere composto da sei o sette persone fino a superare la dozzina), le quali si travestivano o indossavano delle maschere. I personaggi necessari erano: "prucineddra o puricineddra e ru monacu", ai quali, quasi sempre, si aggiungeva "u sonaturu".
"Prucineddra/Puricineddra" (diverso dal Pulcinella di libri e televisione) era il capofila e aveva il compito di presentare il gruppo alle famiglie. Pertanto, era un tipo possibilmente agile, giovanile e gioviale, con vestiti pratici e non ingombranti, prevalentemente di colore chiaro; in testa portava un lungo cappuccio di carta a forma di cono da lui stesso fatto. Teneva in mano uno spiedo con qualche pezzo di salsiccia infilzato.
"U monacu" era quello che chiudeva la fila e faceva la parte del questuante. A questo scopo portava sulle spalle una bisaccia ("viertula") con una damigianina per il vino e un contenitore per la salsiccia e altro (pane, formaggio, frutta secca).
Il gruppo, una volta organizzato, si recava di casa in casa, chiedendo come al solito di entrare per un brindisi e due salti (di ballo). Dopo il brindisi e l'assaggio, saggiamente, versavano il vino rimasto nel bicchiere nella damigianina posta "nta viertula du monacu". Al momento dell'uscita i padroni di casa offrivano un pezzo di salsiccia e in alcuni casi anche dell'altro. A fine giornata si ritrovavano per mettere sulla tavola quanto raccolto in giornata e concludere in festa la bella esperienza comunitaria e darsi un arrivederci per la prossima occasione.
Mi è capitato di assistere ad una mascherata con "duva monachi" e ad un'altra con "u monacu" supportato da un asino: due espedienti per accrescere la questua!
Nel gruppo "u sonaturu" era una figura prestigiosa. Abitualmente suonava un organetto, ma poteva essere presente anche una chitarra sia solista che da accompagnamento all'organetto. Ho visto anche "na mascarata" con un suonatore di zampogna accompagnato dalla moglie con un tamburello. Il resto del gruppo si travestiva: qualcuno da medico, qualcun altro da carabiniere, molti indossavano abiti femminili (le donne vere erano rare). C'era chi ricorreva a travestimenti fuori dagli schemi, secondo i suggerimenti della fantasia e delle ispirazioni del momento. Ho sentito parlare di uno stravagante signore che seguiva le maschere in calesse, fingendosi il padrone che curava i suoi lavoranti per la buona riuscita del raccolto.
"I tri juorni i carnalivaru" segnano la fine del carnevale medesimo. Il confine era espresso dai termini "muzza/muzzu", collegabili al verbo dialettale "muzzari" (troncare, tranciare, staccare), per cui "duminica muzza, luni muzzu e marte muzzu" rappresentavano i giorni che davano un taglio netto al tempo gaudente. Si proclamavano gli ultimi giorni del bel vivere in allegria, in compagnia e buona tavola e col tramonto dell'ultimo giorno si chiudevano le porte del carnevale e si prospettava il sentiero della quaresima.
Le scialate di quei giorni erano i festeggiamenti dei saluti. I festaioli sembravano voler dire: salutiamoci, lasciamoci alla grande e arrivederci all'anno prossimo. Da domani saremo chiamati a percorrere il sentiero della Quaresima, il sentiero della sobrietà e della meditazione per essere pronti a condividere con Nostro Signore la sua Passione.


Milano, 27 marzo 2025

Vincenzo Serra

L'immagine di apertura, ovviamente, non si riferisce in alcun modo al contesto del racconto. Tuttavia in essa sono presenti alcuni richiami che si sono conservati inalterati nella tradizione popolare del carnevale.


Vincenzo Serra è nato a San Marco Argentano, dove ha studiato presso il locale Istituto per Ragionieri. I suoi racconti sono puntuali relazioni sulla vita negli anni Cinquanta nelle borgate rurali, frutto di conoscenze dirette e di memorie tramandate da persone più anziane, utili a chi vuole conoscere aspetti culturali e socio-economico a volte sconosciuti.

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