![]() di Vincenzo Serra ![]()
Fino agli anni '50 nelle campagne di Prato e contrade circostanti si erigevano maestose delle grandi querce, erano enormi tanto
che per abbracciare alcuni loro tronchi non bastavano due uomini, forse ne occorrevano tre, e con l'espansione dei rami ricchi
di foglie formavano un gigantesco ombrello naturale.
Niente si sapeva della loro età tranne dal racconto confuso fatto a noi bambini dai nostri vecchi, che riferivano di aver loro, bambini, sentito dai loro vecchi che questi alberi erano stati volutamente risparmiati durante i disboscamenti. Questi giganti della vegetazione rappresentavano un mondo: in estate quegli stessi uccelli, che svolazzando fra le foglie cantavano allegramente, costruivano una miriade di nidi pronti per più covate. A parte gli uccelli erano presenti anche ospiti sgraditi come insetti, topi e serpenti che spesso andavano a caccia dei nidi, ma soprattutto le formiche che sarebbero potute diventare i nemici più ostili anche per lo stesso albero. Sempre in estate animali ed uomini sfuggivano al grande caldo rifugiandosi all'ombra dei rami verdeggianti di foglie che in caso di piogge tranquille diventavano un valido ombrello (era però sconsigliato ripararsi sotto gli alberi in caso di pioggia con tuoni e lampi). In autunno è il momento della ghianda, il frutto della quercia, che era un valido alimento per gli animali (maiali soprattutto) e data la facilità di conservazione diventava una ricca e sicura riserva per l'inverno. La ghianda, raccolta in sacchi si trovava anche agli angoli del mercato per la vendita, cadendo dagli alberi per folate di venti o perchè matura formava sul terreno uno spettacolare tappeto pronto al raccolto sia per l'utilizzo quotidiano sia per la conservazione. La ghianda poteva essere in chicchi grossi con i rami meno carichi, o in chicchi più piccoli con rami molto più caricati; i primi erano sicuramente preferibili rispetto agli altri per il fatto che si raccoglievano in tempi più brevi e con meno fatica raccogliendo alla fine la stessa quantità di prodotto (più o meno lo stesso numero di sacchi). A proposito di ghianda ricordo vagamente qualche anziano che raccontava a noi bambini che "tiempi addietru" la ghianda infornata e trattata diventava anche un alimento per la persona, però io non ho mai appurato a quali trattamenti venisse sottoposto questo prodotto, nè in quali tempi o in quali casi o circostanze quanto avevo sentito fosse accaduto. In inverno, cadute le foglie, apparivano come giganti cupi con grandi leve immobili e silenziosi, immobilità e silenzio interrotti dal vento e dalla pioggia e i rami rimasti nudi si rivelavano anche più adatti a lottare contro le intemperie. Questi giganti sapevano essere utili anche nella stagione invernale, allorquando i "curagni" (rami morti) e l'evenuale sfoltimento dei rami contribuiva a tenere vivo il focolare. Con l'evoluzione dei tempi questi monumenti naturali diventano un discorso economico: si scopre che la quercia è una ricchezza, fornisce traverse, travi, pali, legname da costruzione, legna da ardere, carbone vegetale finendo così nell'occhio della speculazione. Il padrone della quercia, in un momento di ristrettezza finanziaria, vedendosi offrire un gruzzolo di danaro di tutto rispetto non ha la forza di rifiutare la proposta. Ricordo ancora gli occhi spalancati ed increduli del proprietario di una quercia venduta quando vide il portafogli del compratore, che gli allungava la caparra, pieno di bigliettoni. Nel giro di poco tempo le querce una dopo l'altra furono abbattute e cadendo producevano un fragore che sembrava un lamento di amarezza e delusione. Su ogni quercia abbattuta si avventavano degli uomini che nel giro di poco tempo la trasformarono in traverse, carbone vegetale, pali e paletti. Il tutto fu portato via da muli e trattori e sul posto restarono solo le radici e la base del tronco, ma non per molto, dal momento che qualche tempo dopo furono strappati dal suolo e finiti ad alimentare il fuoco domestico. È stato così che nel giro di qualche anno si è proceduto all'abbattimento di questi maestosi alberi monumento e alla perdita di un patrimonio vegetale. Milano, 8 marzo 2025 Vincenzo Serra Vincenzo Serra è nato a San Marco Argentano, dove ha studiato presso il locale Istituto per Ragionieri. I suoi racconti sono puntuali relazioni sulla vita negli anni Cinquanta nelle borgate rurali, frutto di conoscenze dirette e di memorie tramandate da persone più anziane, utili a chi vuole conoscere aspetti culturali e socio-economico a volte sconosciuti. Altri racconti di Vincenzo Serra: I Sanpaulari ... - U furisu - U stagliu |
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