di Giancarlo Chianelli
"... lavati per bene e strofina soprattutto i tuoi piedi neri ...", così gridava mia madre la sera prima di andare in pellegrinaggio al Santuario.
Era una ricorrenza obbligata, i preparativi e lo scegliere la data venivano discussi in anticipo con tutto il vicinato, tutti dovevano essere presenti. Al mattino la sveglia era prestissimo, ci si alzava assonnati, si doveva arrivare a piedi alla fermata dell'autobus, era buio, ci si affrettata a mettere le ultime cose nelle ceste, tante prelibatezze, fuori si sentivano i primi rumori le voci degli zii e cugini, i capofamiglia a volte imprecavano o sgridavano qualcuno, tanto per giustificare a il loro ritardo. Si partiva in pullman, noi ragazzi oramai svegli eravamo tutti in eccitazione, si iniziava il coro con canti devozionali verso la Madonna, man mano che ci si avvicinava i cori erano più forti, arrivati ai piedi della montagna, noi ragazzi (ancora quasi buio) ci lamentavano per l'aria fredda della montagna. Sembra di vedere ancora oggi mio padre raggiante che ci incoraggiava beffandosi del fatto che avevamo freddo. Portava una camicia verde a scacchi, sbottonata fino allo sterno, sembrava quei capi carovana alla testa della schiera, uno zaino blu a tracollo invitava tutti ad affrettarsi, le donne con le loro ceste seguivano. Ci si avviava, ogni tornante si incontrava gente di altri comuni, si scambiavano qualche parola e si proseguiva, ricordo ad un certo punto si vedevano uomini mutilati , senza arti o con altre menomazioni, avevo paura, ero talmente impaurito che non mi muovevo dal fianco dei miei, mai vista prima roba del genere. Poco prima di arrivare, si sentivano i suoni degli organetti, da lontano si intravedeva la chiesa, si arrivava e subito andavamo a salutà a Madonna , fuori ogni suono di organetto radunava gente dello stesso paese o contrada, familiari e amici. Dopo pranzo all'aperto con tanto ben di Dio: polli fritti, melanzane ripiene, salumi, e quanto altro, tutto innaffiato con vino casereccio. Ricordo bene il rituale dello shopping presso le bancarelle, quadri sacri, e statue, per i piccoli medaglie o collane venivano appuntati alle camicie, tutti fregiati con un ricordo della giornata vissuta, immancabile era la puntatina al pappagallo della fortuna, un estroso pappagallo estremamente abile con il becco estraeva dei biglietti azzurro per i ragazzi e rosa per le femminucce, ognuno si appartava a leggere ciò che l'astuto pennuto dispensava per il futuro (quasi sempre ottime notizie, matrimoni felici, e vita serena.) Sia lodato il pappagallo! Verso sera si intraprendeva la via di ritorno , stanchi, più leggeri e soddisfatti, arrivati in paese si aspettava la partenza dell'autobus, le donne si affrettavano a spendere gli ultimi soldi nella fiera , mentre gli uomini quelli più irriducibili bevendo i resti del vino si davano allo svago o balli dal passo più incerto (oramai il tasso alcolico era giunto all'apice). Si rientrava a casa, stanchi ma soddisfatti, i più lucidi pensavano agli impegni del giorno dopo, gli altri in silenzio salutavano e tornavano a casa propria. Questo è un riassunto di una delle tante giornate al Pettoruto vissute da un ragazzo e immortalate nella mente di un uomo. Losanna, 2 febbraio 2023 Giancarlo Chianelli Un altro racconto: U 'mmasciaturu In alto processione dinanzi al Santuario (dal sito della Diocesi di San Marco Argentano-Scalea) |
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