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MARCO BOEMONDO ALLA CROCIATA- DECIMO EPISODIO.
I CROCIATI PRESA ANTIOCHIA DEVONO RESISTERE AGLI ASSEDI DEI TURCHI E DEI LORO ALLEATI
GESTA FRANCORUM - LIBRO IX, cap.XXI-XXVI Il nono libro delle Gesta Francorum inizia con la narrazione delle ultime ore di vita dell'emiro Cassiano (Yaghi-Siyan), di cui sappiamo la fine appresa nel libro VIII. Il cronista, in una sorta di flash-back spiega cosa accadde prima di essere ucciso da Armeni e Siriani nel nascondiglio in cui era stato scovato. Aveva chiesto, inutilmente, aiuto a Curbaram (Kirbogha), promettendogli di dargli Antiochia, ma l'aiuto arriverà quando la testa di Cassiano è già sul tavolo di Boemondo. A trattare il passaggio di consegne della città già sotto assedio dei Crociati, fu Sensandolo (Shams al-Dawla), il figlio del defunto emiro. Fu costretto a cedere, senza condizioni e seduta stante, Antiochia a Curbaram.
A questi ultimi erano state sottratte in uno scontro alcune vecchie e inservibili armi: un comunissimo gladio ricoperto di ruggine, un arco di legno in pessimo stato e una lancia inservibile! Esse diventano oggetto di derisione, assieme ai Crociati ai quali Curbaram e i suoi ritenevano che appartenessero. Il seguito del racconto è incentrato sull'arroganza del capo delle milizie federate, convinto di avere già in pugno i Crociati. Assicura il Califfo, il Sultano e tutti gli alleati del Khorasan che avrebbe scacciato i Cristiani, armati di quei vecchi arnesi di guerra, non solo da Antiochia, ma da tutta la Siria, dall'intero impero Bizantino, dalla Bulgaria e dalla Puglia! Se il detto la mamma è sempre la mamma fosse noto anche al tempo delle Crociate e facesse parte del patrimonio culturale turco-saraceno non saprei dirlo, sta di fatto che il cronista delle 'Gesta' nel capitolo successivo fa entrare in scena la madre del terribile e borioso Curbaram. La donna, giunta appositamente da Aleppo, con le lacrime agli occhi, chiede ingenuamente al figlio in armi, sotto le mura di Antiochia, a capo di un esercito sterminato di pagani mediorientali di ogni latitudine e origine, se fosse vero quello che si diceva in giro. Al Che cosa? preoccupato del figlio, timoroso che la madre avesse scoperto qualcosa di peggio di quello era nelle sue intenzioni, la madre, forse pensando che tutto quell'apparato bellico fosse una semplice esercitazione, risponde: «Ho sentito che vuoi portar guerra a quelli dei Franchi.» Alla conferma decisa del figlio, la donna gli manifesta le sue preoccupazioni. Dimostrando di apprezzarne le doti, come fa ogni brava madre col figlio preoccupata che prenda una cattiva strada, gli dice: « ... non farti venire il desiderio o l'idea di voler cominciare ...». Ma la sua preoccupazione, rispetto alle tante che affliggono le madri di oggi, era di ben altra portata: «... una guerra con i Cristiani!». Il cronista non dice se il colloquio avvenne in privato o dinanzi alla sterminata distesa di uomini pronti a menar le mani, tuttavia la risposta del figlio, forse gridata in modo che tutti potessero sentirla, è brutale. Io ve la ripeto in latino, anche se certamente fu detta in arabo, e da essa si capisce l'imbarazzo e la reazione del feroce Curbasam trattato come l'adolescente sorpreso a fumarsi la sua prima canna. «Quid est hoc mater quod mihi refers? », che anche a chi non conoscesse il latino, suona come il nostro italiano Mamma, che cosa è questa cosa che mi stai dicendo?. Ovviamente la retorica latina con quel suo Quid est hoc quod, che equivale all'espressione colloquiale cosa è questa cosa fa capire quanto Curbaram fosse davvero incazzato. Alla rozzezza del figlio la madre replica seraficamente, dimostrando di essere ben informata sulla devozione cristiana. Ella, infatti, sa che la forza dei Crociati deriva direttamente da Dio e che il suo scudo protettivo li rende invincibili. A conferma della sua tesi sul pericolo che il figlio sta correndo, porta a testimonianza le parole di David Il fatto che un guerriero, turco o franco che fosse, coi tempi che correvano, tenesse sempre una mano sull'elsa della spada, poteva già essere di per sè scaramantico, senza ricorrere ad un irriguardoso e complicato tastamento, rispetto all'ostinazione della madre che continuava a ripetergli: «Morirai, non dico subito , ma ...». La frase ricorda molto il responso della Sibilla ad un soldato che gli chiedeva del proprio destino: «Ibis redibis non morieris in bello», attribuita ad un tal Alberico Tre Fontane, posteriore al nostro cronista, con la differenza, sostanziale, che se nell'oracolo sibillino una semplice virgola poteva decidere le sorti del soldato, nel caso di Curbaran il responso materno non lasciava dubbi. Il figlio è preoccupato, più ancora che della sua vita, da chi la mamma pacifista possa aver avuto l'imbeccata. «Vorrei sapere chi ti disse codeste cose» le chiede, infatti, sospettoso. La madre con calma gli ricorda che da oltre un secolo il libro sacro dell'Islam e prima ancora i libri dei 'gentili', riportavano la notizia che sarebbero arrivati i Cristiani e avrebbero dominato i pagani. La donna non si rende conto che il suo linguaggio invece di convincere il figlio lo fa insospettire ancora di più. Debbo ammettere che quest'ultima interpretazione è mia, perché il figlio, a quanto risulta dalla cronaca, aveva una visione molto più laica e concreta della vita. Nonostante la madre gli avesse detto di aver finanche fatto ricorso agli astri, interpretandone posizione e movimenti, il figlio le chiede come mai dei cristiani protetti ovunque e comunque dal loro dio avessero necessità di sopravvivere divorando duemila vacche e quattromila porci?! Il colloquio tra la madre pacifista e filocristiana e il figlio jihadista termina senza un nulla di fatto. Alla madre non resta altro che far ritorno ad Aleppo, sconsolata. Il capitolo si chiude con la malinconica immagine di lei che lascia il figlio al suo tragico destino e di una carovana al seguito con i bottini che la madre decide di portarsi prudentemente a casa. Fosse stata la mano sull'elsa o una toccatina discreta, fatto sta che le cose per Curbaram andarono alla grande e, vuoi per loro responsabilità che per una momentanea distrazione del loro protettore, i Crociati furono brutalmente attaccati. Coloro che stavano nell'accampamento si precipitarono alla porta della città per entrarvi e chi non fu ucciso perse la vita nella calca sul ponte lavatoio. Non tutti si dimostrarono prodi cavalieri, anzi alcuni di questi si trasformarono, per paura, in pedoni. Temendo che la compagine turca potesse irrompere nella città Guglielmo di Grantmesnil 1, suo fratello Alberico, Guido Trursello, Lamberto il Povero, si calarono dalle mura e si misero a correre fino al porto di San Simeone, ordinando ai marinai di guardia alle navi di salpare, mentendo sul fatto di essere gli unici sopravvissuti ad una strage generale. Il cronista forse esagera, affermando che per la fuga precipitosa con le corde e lungo il tragitto, si vedevano le ossa delle mani e dei piedi, ma senz'altro li colloca tra i vili. Coloro che erano rimasti nell'accampamento privi di viveri furono costretti a mangiarsi i loro asini e i cavalli. Anche le risorse spirituali stavano venendo meno, quando ecco comparire un ispirato sacerdote, che annuncia di aver avuto una visione mentre era nella chiesa. Gli erano comparsi nientemeno che il Salvatore, sua Madre e il principe degli Apostoli Pietro. Il sacerdote senza perdere tempo chiede il loro aiuto e Gesù gli risponde che li aveva già aiutati a Nicea e che li aveva condotti fin sotto le mura di Antiochia, patendo con loro le stesse sofferenze, e alla fine introducendoli sani e salvi dentro la cinta di Antiochia. A questo punto della visione il Signore imputa a quei derelitti le fornicazioni altrui, ovvero di coloro che all'interno della città si erano tanto divertiti con cristiane e pagane, da far giungere fino al cielo il fetore del peccato. La Vergine e Pietro in veste di patrocinatori si gettano ai piedi del Cristo supplicandolo di aiutare il suo popolo. Il Signore non si fa pregare due volte e dice al sacerdote di tornare dai suoi con l'impegno che ogni giorno si riuniscano a cantare il responsorio, tutto in versi. Il sacerdote, di fronte ai volti stupefatti dei comandanti, si offre di sottoporsi all'ordalia della caduta dalla torre e di essere preso in parola in caso di incolumità, viceversa di essere decapitato o gettato nel fuoco. La prova gli fu risparmiata e in sostituzione di essa furono portati vangeli e croce per il solenne giuramento, cui fece seguito quello di tutti i presenti sulla continuazione usque ad mortem della mission. Per primi giurarono Boemondo, Roberto il Normanno, il duca Goffredo e il duca di Fiandra. Tancredi, che aveva con sè quaranta cavalieri aggiunse al giuramento di fedeltà, quello di giammai deviare dal percorso che conduceva a Gerusalemme. Le visioni non sono finite. Nel capitolo successivo il cronista ne racconta un'altra di un pellegrino al seguito, di nome Pietro, a cui apparve Sant'Andrea prima di entrare assieme agli altri nella città. Il dialogo è spiccio e franco, simile a quello che si svolgeva alle porte di una città medievale tra gabellieri e forestieri. Sant'Andrea: «Che fai, buon uomo?» Pellegrino «E tu chi sei?», «Sono Andrea Apostolo», e quindi l'apostolo spiega come si fa a vincere una guerra quando si è a corto di uomini e mezzi: «... quando sarai entrato all'interno della città va nella chiesa del beato Pietro dove troverai la lancia del nostro Salvatore Gesù Cristo, dalla quale fu ferito quando era appeso al patibolo della croce» Il pellegrino, giustamente preoccupato che nessuno lo avrebbe creduto, insiste per ulteriori garanzie e Sant'Andrea, pazientemente lo accompagna direttamente sul posto dove la lancia era nascosta sottoterra. L'incredulità delle persone, come si sa, è la prima causa del ritardo dei miracoli. Per farla breve, in un va e vieni sul luogo e in un ma valla a raccontare ad altri, si perse tempo prezioso, scomodando più volte l'apostolo. Alla fine,però coloro che erano restii a credere furono i primi a svegliare gli altri per garantir loro che Dio li avrebbe aiutati. È probabile che ci fu qualche incomprensione, quanto meno sui tempi, in quanto da parte cristiana non solo non ci furono successi, ma aumentarono i patimenti e le perdite anche all'interno della città di Antiochia, dove, continuavano a esserci grosse sacche di resistenza all'interno e continue incursioni dall'esterno. Alcuni Crociati, terrorizzati, si erano asserragliati nelle case da cui non volevano uscire, al punto che Boemondo dovette stanarli con il fuoco, provocando, come suol dirsi un guaio più grande di una casa: andò distrutta in una sola notte un'enorme quantità di chiese, palazzi e numerose furono le vittime. L'unità e la compattezza iniziali avevano subito un duro colpo e ognuno fuggiva cercando rifugio presso la propria gente. I Crociati e gli altri Cristiani erano asserragliati in una città che si era trasformata in una gabbia, con i nemici che attaccavano dall'interno e dall'esterno. Alle violenze della guerra si aggiunsero la fame e il mercato a nero: si cuocevano foglie di fico, di cardi, cortecce d'alberi e finanche le cuoia di asini, buoi, bufali, per cercare di attenuare i morsi della fame. Chi non aveva più soldi era destinato a morire: un bisanzio per un tozzo di pane, due per un uovo, un denaro per una noce. Mettendo assieme quindici soldi si poteva avere una gallina. Furono ventisei giorni d'inferno. Alla prossima puntata! 1 Era il marito di Mabilia, figlia di Roberto il Guiscardo, la quale gli aveva portato in dote la città di San Marco, che poi perse per aver tentato di impossessarsi dei beni di Ruggero Borsa, suo cognato ( Clicca qui per i particolari) Continua, come sempre, l'offerta delle GESTA FRANCORUM ET ALIORUM JEROSOLIMITANORUM con relativa traduzione in italiano. Oramai i lettori sanno quanta fatica mi costi la traduzione, per cui siano generosi almeno nei giudizi, visto che essa è inedita, esclusiva e completamente gratuita. GESTA FRANCORUM - LIBRO IX Il testo latino è reperibile al seguenti indirizzo: https://www.thelatinlibrary.com/medieval.html San Marco Argentano, 16 agosto 2023 Paolo Chiaselotti |
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