INDICE GENEALOGIE INDICE ANTISTORIE |
KELLE TERRE LE POSSETTE ... VALENTONI.
Ho preso in prestito alcune parole di un testo famoso, conservato nella Biblioteca di Montecassino,
primo documento ufficiale del 'volgare' italiano. Il documento, che non c'entra affatto con l'argomento
di oggi, se non per l'introduzione, risale al 960 e fu redatto a Capua. Siamo, dunque, ben lontani
dall'epoca della venuta a San Marco del Guiscardo e dai luoghi in cui avvenne la disputa di cui le
soprascritte parole fanno parte, ma esse mi sono parse idonee per introdurre un argomento spinoso,
ovvero come si formarono le proprietà di alcune istituzioni e famiglie.
Sia attraverso la lettura di documenti e sia durante le frequenti passeggiate lungo le vie del Duca (a San Marco si chiamano così) mi sono soffermato a riflettere su tutte "kelle terre" e sui confini (fini). I documenti più antichi che attestino i primi proprietari a San Marco sono La Notizia della Dedicazione della Chiesa di Santa Maria della Matina e un Diploma del duca Roberto il Guiscardo, entrambi datati 31 marzo 1065. Diciamo subito che si tratta di due falsi, nei quali, tuttavia, sono indicate le proprietà che Roberto e la moglie Sikelgaita donano all'abate Adalardo priore dell'abbazia della Matina. In seguito queste proprietà furono confermate dagli eredi del Guiscardo con documenti considerati autentici. In parole povere sterminate estensioni di terre con chiese, mulini, animali, vigne, boschi, abitanti con le loro proprietà, ecc. passarono di mano dal Guiscardo all'abbazia della Matina. Nei due atti citati è detto che il vico Prato con i suoi abitanti e il casale della Matina fu pagato dal Guiscardo a Lorenzo vescovo di Malvito che ne era proprietario con trenta schifati, una moneta del tempo. Il resto, è scritto nei documenti, era posseduto dal duca, compresi gli abitanti del vico Prato con le loro proprietà. Pensando all'anarchico Proudhon, che molti secoli dopo disse che "La proprietà è un furto", mi verrebbe da dire: «No, è un falso, o tutt'al più rapina a mano armata!» Il brutto di tutta questa faccenda che siano stati tirati in ballo la Santa sempre Vergine Maria, i Santi Pietro e Paolo, tutti gli apostoli, tutti i santi e la Passione di Cristo per trenta soldi schifati 1 quanto di pertinenza del suo episcopio, e per la salvezza della nostra anima concediamo e confermiamo al predetto monastero ...scritto nero su bianco, ovviamente in latino, ma la cosa non cambia, anzi la peggiora! In che cosa cosistevano queste proprietà? Estensioni di terre che andavano dal vico Prato e sue pertinenze, all'intera zona collinare a sinistra dell'abbazia fino al vallone di Santa Venere. In seguito le conferme degli eredi e successori allargheranno i confini fino a Bisignano e per quanto riguarda quello che può essere l'attuale centro abitato fino alla chiesa di San Nicola, nel 1100 non indicata come cattedrale. 2 Per quanto imprecisi, i confini di queste terre si riveleranno negli anni ben più estesi di quelli sopradescritti. Che cosa accadde in questi anni di passaggio non saprei dirlo, sta di fatto che a distanza di alcuni secoli troviamo che i Valentoni sono proprietari di una 'costa' del paese che si affaccia sul vallone Santa Venere e che dall'attuale palazzo su via Roma raggiungeva la località Santo Stefano, salendo da qui verso la Riforma. Un'altra vasta area scendeva da quest'ultima attraversando l'intera collina sulla destra. Tutte queste vaste proprietà negli anni passarono di mano, per matrimoni, monacazioni, donazioni ai Minimi di Paola ecc., vendite ecc. La famiglia Valentoni non fu l'unica ad avere vaste estensioni di terre. Vi furono altre importanti famiglie come Gonzaga, Catalano, Campolongo, Frassia, Selvaggi, Maiorana e altre, ma soprattutto la Chiesa, con la mensa vescovile e i titoli che vi facevano riferimento, decanato, cantorato ecc. L'eversione della feudalità nel Regno di Napoli voluta da Giuseppe Bonaparte trasferì gran parte dei beni ecclesiastici e tutti i diritti derivanti da privilegi feudali nel demanio dello Stato e delle Comuni. Tuttavia le proprietà delle varie famiglie rimasero nelle mani dei legittimi proprietari alcuni dei quali, addirittura, le accrebbero attraverso l'assegnazione di quote demaniali abbandonate, cedute o ritenute improduttive. Alla domanda iniziale, ovvero come e quando avvenne il passaggio delle terre dall'abbazia della Matina alla Chiesa e a privati, non essendoci state occupazioni a seguito di eventi di qualsiasi natura, rispondo che da un certo momento in poi l'abbazia fu costretta a vendere molti dei suoi beni, e che ciò possa essere avvenuto soprattutto quando essa fu data in commenda. Capitava a volte che l'abate commendatario fosse imparentato con famiglie del luogo, il che facilitava la vendita di ciò che per una comunità monastica ridottissima rappresentava solo un gravame insopportabile. Ma se da un lato l'abbazia 'andava in sofferenza', dall'altro vari enti ecclesiastici beneficiarono di donazioni o lasciti. È il caso del Monastero delle monache di Santa Chiara, che costituito nei primi anni del XVII secolo vide ingrandirsi enormemente il proprio patrimonio nel volgere di pochi decenni. Lo attesta, ad esempio, una specifica del bilancio del 1632 dove si legge, proprio a proposito della famiglia Valentoni, la seguente dichiarazione: Ancora, [il monastero] è usufruttuario e proprietario di una vasta possessione, un tempo del fu Don Pompeo Valentoni, con sicomori, viti, olivi, castagni e numerose piante di ogni genere, limitrofa alle mura della Città, in località Santo Marco, non ha confinanti ma è tutta circondata da strade; detta possessione, in cui vi sono solo la torre medievale e le sue mura, va dalla Porta della Città detta di Santo Marco fino al Monastero dei Riformati di San Francesco.Come si può ben capire, tutta l'attuale via XX settembre ad iniziare dall'ingresso dell'attuale Hotel Don Carlo, ove esisteva la Porta citata, fino alla Riforma, era proprietà dei Valentoni e non aveva confinanti e in essa vi si trovava solo la torre medievale, il resto era alberi e vigne. Troveremo in quello stesso periodo che la famiglia darà ai minimi di San Francesco di Paola, una estesa zona della proprità di Santo Stefano, quella facente parte della donazione del Guiscardo alla Matina, un'estensione che dall'attuale contrada SantoStefano saliva fino alla torre. Bisogna dire che i Valentoni negli anni cedettero o vendettero tutte le loro proprietà, restando solo la discendenza di Luigi e Ignazio (zio e nipote) a San Marco Argentano proprietari, per una curiosa coincidenza, di quell'abbazia delle cui terre diverse generazioni avevano tratto beneficio. L'altra curiosa coincidenza fu il lascito testamentario di una discendente Valentoni, sposata Tamburini, ai monaci minori di San Francesco d'Assisi di alcuni terreni in origine appartenuti all'abbazia. C'è un'ultima curiosa coincidenza che chiude il nostro percorso come in un circolo preordinato: il discendente di quel ceppo Luigi-Ignazio ha intrapreso un'attività di produzione di vini proprio nei luoghi che videro il sorgere dell'antica comunità monastica. Sotto l'albero genealogico della famiglia Valentoni con notizie documentate ad iniziare dal XIII secolo.
1 pro triginta solidis scifatis, in altre troviamo sckifatis, skifatis. Erano così
chiamati perché incavati, in modo da poterli mettere sovrapposti per l'uso più opportuno.
Qualche testo riposta schifani, ma si tratta di voce inesistente.
San Marco Argentano, 28/6/2023
2 Carte Latine, diploma del duca Ruggero Borsa anno 1100). La chiesa di San Nicola è individuata con l'espressione latina iuxta civitatem Sancti Marci. L'avverbio o preposizione iuxta, a quanto mi risulta da altre letture, è usato per indicare un limite, un confine, per cui debbo pensare che chi redasse l'atto, originale o falso che sia, ritenne o sapeva che la chiesa nel 1100, anno del Diploma, non rientrava nell'ambito cittadino e apparteneva al Guiscardo. Nel documento 'principale' delle Carte Latine, quello relativo alla donazione del Guiscardo, iuxta è usato per indicare il confine con Sant'Andrea (via que vadit Bisinianum et descendit iuxta Sanctum Andream usque ad carnale ). Il Guiscardo tenne per sè Sant'Andrea o apparteneva ad altri? Nota: Vedi anche La chiesa di Santo Stefano Paolo Chiaselotti |
LA STORIA LE STORIE
|
info@lastorialestorie.it
|