IL SORBO
La casa dei miei nonni era bianca con tegole rosse, fondata su uno spuntone di arenaria
che spariva nei terreni argillosi nei pressi di Bonavita. I muri portanti della
casa erano realizzati con mattoni di argilla e paglia impastati con il metodo adottato
da millenni dai nostri antenati. Per proteggere dalle intemperie le pareti esterne
di argilla e paglia (mattunazzi), veniva posato sopra uno o più strati di
calce bianca, dati a pennello o spruzzato con una pompa azionata a mano, la stessa
utilizzata per spruzzare il verderame alla vite. Il bianco delle mura e i tetti
rossi erano l colori predominanti del paesaggio agreste. L'orditura del tetto era
realizzata da enormi travi e arcarecci di castagno, la copertura con tegole a canale
fatti a mano. Il sottotetto era realizzato con stuoie di canne, provenienti dal
canneto del vicino torrente, incannucciate dalle mani sapienti del nonno e posati
su una struttura portante di travi di castagno. Anche le pareti interne erano tinte
con calce bianca, il pavimento irregolare, era di mattoni in terra cotta di colore
rosso,incastonati nell'arenaria e resi lisci in superficie dall'usura da calpestio
e spazzolature della scopa. Fuori dalla porta principale c'era il classico pergolato
ricco, in autunno, di generosi grappoli di uva moscato bianca e uva reggina rossa,
dopo il pergolato, guardando spalle alla porta d'ingresso, c'era un albero di Sorbo
enorme che in autunno regalava, democraticamente a chiunque, una quantità
esagerata di frutti dal gusto gradevole quando erano di colore marrone ma immangiabili
quando ancora erano gialli e più belli alla vista e invitanti. Da bambino
curioso di sentire il gusto dei frutti gialli e impaziente ad attendere che diventassero
marroni, ne ho addentato uno e immediatamente ho compreso il significato della parola
"Allappa", ho avuto una contrazione della bocca che mi ricordava l'ano
dell'asino dopo che ha defecato le classiche palline secche di sterco, e nel contempo
ho appreso il significato di attendere con pazienza. Il sorbo è immobile
ma ti fa attendere e se non sei paziente ti punisce. Sotto all'amato Sorbo, all'ombra
delle sue foglie verdi stagionali, c'erano due porcilaie (zimme) dove alloggiavano
due maiali, non sempre gli stessi, dal pelo nero, grassi e felici, gran degustatori
dei frutti che piovevano dall'alto. All'interno del tronco abitava una famiglia
di ghiri molto riservata che naturalmente godeva dei generosi frutti dell'albero
e del sicuro alloggio irraggiungibile dal gatto di casa. In mezzo ai rami, nel punto
dove il tronco apriva le braccia, grazie a sapiente potature, mio nonno aveva costruito
una casetta che adoperavamo per la siesta nelle assolate, lunghe e lente giornate
estive. La casa sul Sorbo era la mia macchina del tempo, steso con le spalle sulle
stuoie e lo sguardo verso il cielo, riuscivo a volare, raggiungevo le rondini che
numerose volavano ad altissima quota e andare a visitare i posti dei racconti del
nonno, l'AFRICA culla dell'uomo. L'albero aveva una sua storia ed era conosciuto
da molti anche nei paesi limitrofi, spesso veniva usato come punto di riferimento
per indicare la strada a chi si doveva recarsi alla fonde che si trovava in zona
o a chi doveva venire a fare dei lavori di manutenzione ai torrenti o alla linea
del telegrafo che passava nel fondo.
- Va doppu Ragapiedi dopo la curva i Paletta c'è na casa ianca sutta a strada
cu nu Suorivu avanti a porta.
Anche la fontana era opera di mio nonno. Aveva scavato a forza di braccia una galleria
non dritta ma in curva per sfruttare l'arenaria più tenera, per drenare e
raccogliere l'acqua infiltrata nel terreno. Aveva ricavato grazie a un muretto di
sbarramento una riserva di circa tremila litri di acqua potabile dal gusto un pò
forte .L'acqua in eccesso sgorgava e affluiva nel piccolo torrente vicino,fonte
di vita per gli orti che venivano coltivati a valle fino al fiume. Io ero solito
ad andare a caccia di granchi che avevano colonizzato la zona alla foce della sorgente
e ne prendevo tantissimi maschi e femmine, li riconoscevo dall'addome a marsupio,
tondo per le femmine mentre i maschi lo avevano a punta a forma di una V rovesciata
. Molta gente veniva alla fonde del nonno per approvvigionarsi d'acqua, venivano
con gli asini neri dal muso bianco, carichi di contenitori di legno o di terra cotta.
Passavano d'avanti casa poi scendevano il vialetto, scavato nell'arenaria affiorante,
passavano a fianco del Sorbo e se c'erano i frutti maturi era l'occasione per bestie
e padroni per uno spuntino fuori orario. Si scendeva giù fino in fondo (dù
siettu) dove in un pianoro invaso di rosse dalie c'era l'imbocco della grotta. Venivano
riempiti due coppie di barili di legno (varrili) e tanti orci (gummuli)
quanti ne poteva portare il generoso asino, la plastica ancora non aveva invaso
l'ambiente . Dopo aver caricato gli asini si affrontava la breve salita e d'avanti
casa c'era la sosta per fare una sana chiacchierata d'avanti a un bicchiere di vino
fresco di cantine e fumare uno spinello di trinciato forte rollato, rigorosamente
con una sola mano, in foglie di granturco preventivamente tagliate a misura. Ricordo
ancora un signore secco come un legno graziato dal fuoco, dagli occhi buoni, le
mani legnose e callose da anni di duro lavoro nei campi, i denti anneriti dal tabacco,le
guance incavate denunciavano la migrazione dei molari, portava la coppola a protezione
di una calvizie mascherata da un riporto cha dall'orecchio sinistro toccava quello
destro, indossava un gilè di fustagno, forse di colore avana, nelle cui tasche
portava foglie tagliate di granturco usate per rollare le sigarette, un accendini
che sicuramente caricava con il petrolio, visto il fumo che lasciava ad ogni accensione.
Non si poteva rifiutare l'offerta del bicchiere di vino, d'altronde l'invitato aveva
sicuramente partecipato alla vendemmia per spirito collaborativo ed era doveroso
rilasciare ad ogni bicchiere un parere da esperto sommelier, giudicare il colore
riconoscere le diverse uve pigiate, per colore profumo e gusto. Se i bicchieri erano
numerosi, anche se di volumetria ridotta, allora il sorbo diventava il protagonista
e testimone di storie e leggende tramandate e modificate negli anni. Racconti di
soldati che bivaccavano sotto le loro fronde oppure ricordi duelli rusticani persi
nella notte dei tempi. La storia che ricordo con più tenerezza e quella del
lupo affamato. Era una notte d'inverno nera come la pece, la neve veniva giù
a fiocchi enormi (certi pannizzi tanti), mia nonna che era sola in casa, stava seduta
davanti al braciere alla luce fioca del lume a petrolio,il silenzio era interrotto
dal lamento di qualche trave attaccata dal tarlo o qualche topo che scorazzava in
soffitta. Nel braciere era posato un mezzo mattone ad accumulare calore che l'avrebbe
rilasciato nel letto durante la notte per riscaldare i freddi piedi della nonna.
Di colpo Il silenzio della notte venne rotto da un ululato terrificante che faceva
drizzare tutti i peli del corpo; il cane che stava a riparo sotto la tettoia della
porta guaiva in un modo straziante perché aveva capito l'intenzione del lupo, doveva
diventare la sua cena. Mia nonna che non era la nonnina della favola di Cappuccetto
Rosso, senza pensarci due volte, aprì il comodino, prese il revolver sempre
carico, aprì piano piano la porta il giusto per far passere il cane in entrata
e la canna della pistola in uscita, prese la mira senza vedere niente e fece fuoco
bang. La mattina dopo del lupo non c'era traccia, forse il proiettile lo aveva sfiorato,
forse ferito, certo spaventato. Altre versione della storia raccontata dopo diversi
bicchieri, danno il lupo per spacciato preso dal proiettile proprio in mezzo agli
occhi con fuoriuscita dal culo per non rovinare troppo la pelliccia. Io ascoltavo
le storie con la mente limpida del bambino che ero ma, crescendo ed ascoltando tutte
le varianti direttamente proporzionate alla quantità del vino ingerito da
parte degli amici del nonno, ormai mi ero convinto che certamente la storia era
una favola.
Qualche anno addietro, circa quaranta, facendo dei lavori vicino al sorbo, scorticando
una parte della corteccia ho trovato incastonato un proiettile spiaccicato nel tronco
e ho capito che in ogni leggenda c'è una radice di verità e ancora
adesso se ascolto le varie versioni raccontate dai miei parenti tutti confermano
che mia nonna ha sparato al lupo per difendere il cagnolino.
Adesso il Sorbo non c'è più, è stato abbattuto, non c'è
neanche la casa bianca dei miei nonni arroccata sull'arenaria, al suo posto c'è
un ristorante, ma per me in quel posto c'è sempre lo spirito del vecchio
sorbo colpito da un colpo di pistola, ma non abbattuto, al posto del lupo affamato.
Pino Lento
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