Home
LA SCAMPAGNATA

In questa seconda lettura di una immagine prenderò in esame una fotografia scattata l'otto maggio del millenovecento, come riportato sul retro. Era un martedì. Non credo proprio che l'occasione sia stata la ricorrenza della festività della Beata Vergine del Rosario di Pompei, visto che la scena rappresenta un "scampagnata" con libagioni.
Iniziamo dal personaggio a sinistra, con cappello a cono e fucile. La posizione mi ricorda tanto quella del soldato rappresentato dal Giorgione nel famoso dipinto "La Tempesta", con funzione di quinta introduttiva della scena centrale. La sua presenza in primo piano introduce in maniera sorniona la sceneggiata: fucile in spalla, giacca aperta e mano nel taschino del gilet su cui appare una vistosa catena, un ampio fazzoletto attorno al collo, il camuffo, e uno sguardo quasi di sfida su un sorriso beffardo. È Ciccio, Francesco Cittadino, calzolaio, sposato da dieci anni con Nicoletta Spinelli. Ha sette figli. Un altro gli nascerà l'anno successivo. Ha trentotto anni.



Entriamo nella scena. Un giovane di profilo, un accenno di peluria sopra il labbro, completo scuro, colletto ad alette e lobbia, solleva un bicchiere mezzo vuoto. È nato in Brasile a San Paolo ed è rientrato in Italia con genitori, fratelli e sorelle da alcuni anni. Si chiama Giovanni Raffaele Eduardo Lancellotti, ma tutti lo chiamano Eduardo. Ha solo diciannove anni.
Un signore sul suo lato sinistro, poggiandogli il braccio sulla spalla, pare attendere che il giovane gli porga il suo bicchiere. Anch'egli con completo, aperto sul panciotto su cui spicca la catena portaorologio, e lobbia. È Alfonso Canonico, sposato da sei anni con Fortunata Rizzo, è padre di tre figli e un quarto pronto a nascere. Ha trentadue anni.
A seguire sull'ultima fila, in piedi, compaiono varie persone, la maggior parte sconosciute, che tuttavia destano un certo interesse, ad iniziare dalla donna che regge un cesto. Indossa un abito damascato con motivi geometrici, da cui fuoriescono maniche a sbuffo di colore diverso. Su una spalla una tovaglia con frange, quasi fosse uno scialle, nel cesto che tiene appoggiato su un fianco frutta o vegetali. La mano destra porge un fiore ad un giovane seduto, di cui parleremo dopo. Ha i capelli raccolti sulla nuca in una treccia a crocchia. La posizione eretta e i lineamenti regolari di un volto senza alcun sorriso le conferiscono l'aspetto di una donna decisa e rispettosa del ruolo che le è stato assegnato.
Potrebbe essere un'ostessa se ci trovassimo in un'osteria, ma così, all'aperto, sembra piuttosto una vivandiera pronta a dar conforto ai signori sottostanti. Un po' equivoca la sua presenza, come pure il suo gesto di porgere un fiore al giovane pronto a raccogliere l'offerta. La presenza di un bambino a lato ci induce a pensare, vista l'età della donna, che possa appartenere a qualcuno della sua famiglia. È infatti il figlio della donna che si trova a sinistra della fila, vicino ad un giovane che le appoggia disinvoltamente la mano su una spalla. Non sappiamo chi siano, ma sappiamo che lei è la figlia della donna di cui abbiamo ampiamente parlato. Veste come le contadine nei giorni di festa, camiciola, corpetto, gonna, "mantesina", scialle annodato al collo. È imbronciata, al contrario del giovane uomo probabilmente il marito, che ostenta un'aria ingenua e gioviale, sigaro in bocca, un basco chiaro che lascia scoperta buona parte della rigogliosa capigliatura. Magro, lineamenti regolari, il bel ragazzo veste "casual", forse troppo, con un foulard al posto della cravatta, camicia bianca che lascia il collo scoperto, ma soprattutto con un calzone chiaro sotto il quale spunta un altro calzone dal colore scuro. Potrebbe sembrare un artista bohemien, ma senz'altro non fa parte della folta schiera di adulti in giacca e cravatta. Molto probabilmente rappresenta un giovane lavoratore in un raro giorno di festa. Ad ogni modo è una comparsa, come le due donne. Un'altra comparsa, che non ha rispettato l'ordine di restare immobile è l'altro giovane uomo con un cappello floscio in testa e viso sfocato e duplicato dal movimento verso la sua destra. Anche lui privo di gilet, con un gran fiocco bianco che si confonde con la camicia. Appare come un personaggio mal sistemato, in parte ilare e agitato, trattenuto dalla figura centrale del signore, compostamente seduto al centro della fila. Del giovane non sappiamo nulla, dell'altro invece sappiamo che si chiamava Giuseppe Rogato, che era nato a San Lorenzo del Vallo e che aveva all'epoca della fotografia quasi quarant'anni. Non era ancora sposato. Vistosi baffi, abbigliato alla maniera benestante, ha un sigaro tra le dita della mano sinistra, posata sull'altra mano che stringe quella del giovane dal volto "mosso".
Al centro della fila sottostante c'è il giovane col braccio proteso verso il fiore che la matura "violetèra" gli porge, mentre con l'altra mano solleva il bicchiere in un brindisi. La posizione centrale, lo sguardo languido, un cappello a cono, messo di sghimbescio da coprire interamente l'orecchio, i baffi allungati sul largo volto adolescenziale lo renderebbero il protagonista principale di questa farsa, se non ci fosse alla sua sinistra un altro personaggio che sembra rubargli la scena. Il primo è uno scapolo di ventitre anni nato a Mongrassano, rampollo di una nota famiglia sammarchese. Si chiama Bernardo La Regina. L'altro proviene da Torraca, in provincia di Salerno. Ha trentasette anni, cinque figli e un negozio nella piazza di sopra, dove abita da oltre un decennio con la moglie Agnese Luisi, anche lei di Torraca. Si chiama Vincenzo Viggiano. Un'incipiente calvizie, camuffata da ciocche separate ricadenti sulla fronte, i baffi sottili e allungati, tiene con la sinistra un calice quasi colmo e con la destra, appoggiata sulla gamba, una bottiglia da tavola impreziosita da un parziale rivestimento in metallo. Dal collo della bottiglia semivuota spunta un ramoscello con alcune foglie. È il personaggio che sembra voler ostentare più degli altri il prestigio della sua presenza.
Sul lato opposto, a sinistra nella foto, un uomo di età indefinibile che regge un bicchiere e un grosso fiasco. Lo sguardo quasi perso nel vuoto, il viso scurito dal sole, tranne la fronte che nel suo biancore, assieme ai capelli schiacciati sulla testa, denota un uso continuo di un copricapo, lasciato chissà dove. È conosciuto come "u 'mbriacu, il suo nome è Francesco Grosso, e sembrerebbe lui il vivandiere di tutta la brigata. Non sappiamo altro di lui. Dall'abbigliamento, completo, gilet, camicia bianca, potrebbe essere un massaro, un guardiano o comunque una persona occupata in lavori svolti all'aperto.
Nella terza fila in basso, in posizione centrale un signore con la testa lievemente inclinata, un altro che regge oltre al bicchiere un cespo di lattuga, un terzo con grandi baffi e uno sguardo accigliato e, infine, a sinistra, un uomo con un cappello a larghe tese rialzate che fuma una pipa. L'uomo, forse vicino ai cinquant'anni, colpisce per il cappello stile cowboy, e per i calzoni fermati sotto il ginocchio da due lacci. Andare a cavallo doveva essere il suo "sport" principale, o per guidare mandrie o, molto più probabilmente, per raggiungere poderi lontani in cui esercitava qualche funzione delegata, come la guardiania. L'aspetto indifferente e quasi contrariato per quanto accade e lo circonda, dà plasticamente l'idea che tutte quelle persone non hanno un rapporto alla pari con lui. Non sappiamo il suo nome, ci è rimasto solo il soprannome con cui era comunemente conosciuto: Cangiurru, forse perchè dedito a scambi e baratti. Può anche darsi che facesse il mediatore. Sappiamo che era il marito della "viràgo seduttrice" che porge, o vende, il fiore al giovane "spasimante".
Come il lettore avrà capito, la mia è una lettura non del tutto imparziale, ma come si fa a restare freddi di fronte a questa grande "zingarata", magistralmente creata, ad arte, da un fantasioso fotografo di fine secolo.
Eh, già, perchè appena terminata la lunghissima posa tutti si solleveranno da quel tappeto di foglie, si daranno una spolverata e si sistemeranno gli abiti, magari togliendosi quegli indumenti che la parte aveva loro imposto.
Altro che foto di una scampagnata! Una messinscena organizzata da tempo, prove defatiganti, spostamento di personaggi da un posto all'altro, raccomandazioni ad ognuno, in base alla sua parte, di come atteggiarsi, sorridere o meno, cura meticolosa dei particolari e dello sfondo su cui ogni personaggio si stagliava, chiaro su scuro e viceversa, luce che doveva ben delineare ogni forma. Una regia lunga e minuziosa.
Continuiamo con i restanti personaggi, ad iniziare da quella persona quasi anziana al centro della scena, con il capo leggermente reclinato. Sappiamo chi fosse, quanti anni aveva, moglie, figli. Insomma vita, morte e miracoli, come suol dirsi. L'età? Quarantacinque anni! Impossibile direte voi, visto che ne dimostra almeno dieci di più. Un po' tutti dimostrano più della loro età: era la vita del tempo a farne maturare precocemente carattere e aspetto, al contrario dei bambini che, per malnutrizione, ne dimostravano quasi tutti di meno, come appaiono alcuni riprodotti nella foto.
L'uomo col capo che sembra pesargli si chiama Giambattista Luigi Lanzillotta, meglio conosciuto come Battista, era nato nel milleottocentocinquantacinque a Fuscaldo. È il padre del giovane Eduardo. Ha alle spalle un matrimonio religioso in Brasile con Rosina Fragale, cinque figli tutti nati nella terra di dom Pedro II e di Maria Francesca di Borbone, e un secondo matrimonio civile al rientro nel Regno dei Savoia - che di matrimoni all'estero non ne volevano sapere, religiosi o civili che fossero. La testa, piegata forse dagli assilli della burocrazia italiana, pare dirci: "Sto qui per accondiscendere all'invito di voi amici e compari, ma avrei ben altro a cui pensare!" Le mani nascoste e il fatto che non sollevi il bicchiere fanno pensare, però, ad un acciacco piuttosto che ad un assillo.
Al suo fianco Domenico Gaudio, altro negoziante di San Marco. Fronte spaziosa, resa ancor più ampia dall'incipiente calvizie, invadente baffo nero su un volto scavato, regge in una mano il bicchiere comune a tutta la comitiva e nell'altra, a mo' di clava, un innocuo cespo di lattuga. Il mestiere di origine era calderaio, "quadararu". Il padre Luigi proveniva da Dipignano, famoso per i calderai e il loro linguaggio criptico. Domenico all'epoca della foto aveva trentacinque anni, era sposato con Raffaeluccia Spinelli e aveva quattro figli: il primogenito Umberto, sei anni, gli si appoggia su una gamba.
E infine, a destra, il signore accigliato, grossi baffi, capelli brizzolati, completo con panciotto chiaro e cravatta, è don Ciccio Viola, di Cervicati, possidente. Di più, non sappiamo. Alcuni bambini, più grandicelli, e due bambine sulla destra, forse figlia l'una del "brigante con fucile" e l'altra dell'uomo dal "fiore in ... brocca".
Lo scherzo è finito, sia il mio che il loro. Ora torniamo ognuno al nostro lavoro e alla nostra epoca non dimenticando che questo capolavoro fu probabilmente opera di Emilio Talarico, un fotografo dell'epoca che in questa foto seppe ben rappresentare la piccola e agiata borghesia del Casalicchio.

San Marco Argentano, 6 febbraio 2021

Paolo Chiaselotti
Per una visione ingrandita della foto utilizzare le funzioni "Visualizza Immagine" o "Apri in una nuova scheda"

Up
LA STORIA LE STORIE

RACCONTA LA TUA STORIA
info@lastorialestorie.it