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La minaccia ... tedesca


La donna tedesca Vincenzo Langella, che fu per lunghi anni custode del cimitero di San Marco Argentano, dopo l'8 settembre fu deportato in Germania dalla zona di guerra in cui svolgeva il servizio militare: secondo una versione dall'Albania secondo un'altra, meno probabile, dalla Francia. Assieme a lui c'era un commilitone di nome Domenico Golemme, residente in una contrada di Mongrassano, limitrofa al territorio di San Marco Argentano. Durante il viaggio riuscirono a fuggire e a sottrarsi alla cattura grazie all'aiuto di una giovane donna tedesca che li nascose nello scantinato della casa. Non sappiamo quanto tempo rimasero nascosti, ma dai ricordi del figlio si trattò di alcuni mesi, durante i quali Vincenzo e Domenico si nutrirono del poco che la donna poteva loro offrire e finanche delle bucce delle patate che, sottratte al pasto dei maiali, erano insaporite dalla fame e dall'abilità di cuciniere di Vincenzo. Alla fine del conflitto Vincenzo e Domenico, dopo aver ringraziato la donna si congedarono da lei con lo scambio di qualche piccolo ricordo e con la promessa di rivedersi in giorni migliori.
Si misero così in viaggio per fare ritorno in Calabria, tra mille disagi dovuti alla mancanza di soldi e alle linee ferroviarie in molte parti interrotte dai combattimenti. Come tanti altri soldati, anche loro dovettero affrontare lunghi e impervi percorsi a piedi e solo occasionalmente avevano la fortuna di incrociare qualche vettura che per un breve tratto li avvicinava alla meta. I vagoni ferroviari furono, però, i veri mezzi della loro sopravvivenza: un luogo sicuro in cui dormire e la via pił rapida per fare ritorno a casa. Di pagare non se ne parlava nemmeno e il personale viaggiante chiudeva entrambi gli occhi alla vista di quella gente -non erano i soli Vincenzo e Domenico- priva dell'indispensabile.
E qui il racconto si trasferisce nei luoghi dove la speranza di rivedere un giorno Vincenzo non era mai venuta meno: la sua casa. In cima al colle dove si erge la chiesa di Sant'Antonio di Padova, la moglie Concetta, con due figli di pochi anni, Salvino e Raffaele, pregava ogni giorno perché il Santo Taumaturgico le facesse la grazia di farle ritornare il marito. Chissà quali e quanti voti aveva fatto e quanti ceri aveva acceso davanti la statua del Santo col bambino, in tutti quegli anni in cui alle prime lettere era seguito un lungo silenzio e le voci che lo riportavano ora prigioniero dei tedeschi ora ferito ora fuggiasco. L'idea che un'altra donna potesse occuparsi di lui neppure la sfiorava, tantomeno il pensiero che lui avesse potuto lasciare la famiglia per farsene un'altra. Ogni mattina i suoi occhi erano puntati sulla strada a valle del paese, al ponte Sacchini, là dove si fermava la corriera per far scendere i pochi passeggeri raccolti alla stazione e i contadini che portavano a vendere qualcosa al mercato.
Una mattina di giugno del 1946 -guarda caso era proprio nel periodo della tredicina di Sant'Antonio- disse ai figli che il padre era tornato e di andarlo ad attendere all'imbocco della stradina che portava a casa. Quell'uomo trasandato, dalla lunga barba, sceso dal pullman senza alcun bagaglio, aveva lo sguardo rivolto verso la parte pił alta del paese e questo bastò a Concetta per dire che il miracolo si era avverato: doveva essere Cinzino, come tutti lo chiamavano, anche perché assieme a lui era sceso un altro povero disgraziato. Avevano entrambi l'aspetto dei tanti uomini che tornavano dalla guerra, vestiti a metà soldati e a metà civili. Gli altri li aveva visti tre anni prima, nell'autunno del 1943.
Congiunse le mani, quando scomparve ai suoi occhi, nascosto dalla collina che avrebbe dovuto superare: immaginava il percorso che avrebbe fatto, quello pił breve, per raggiungere casa, lo stesso che faceva ogni volta, prima di partire militare e lo stesso che fece il giorno in cui lo vide per l'ultima volta.
Era lui, era Vincenzo, stanco, sporco, smagrito da far paura, ma vivo. Era tornato!
Nessuno lo aveva riconosciuto -come raccontò poi- neppure la cognata Amalia che viaggiava sulla stessa corriera. Anzi il fattorino, che lui ben conosceva, aveva minacciato di far scendere quel vagabondo che affermava di poter pagare la corsa all'arrivo a casa. "Ho attraversato tutta l'Italia gratis" gli aveva detto ridendo, chiamandolo per nome, "e adesso tu mi chiedi di pagare il biglietto proprio nel paese in cui sono nato!"

Bene, se queste furono le speranze e le attese che per tanti anni avevano coltivato la moglie e i figli, provate ad immaginare quando dalla tasca di lui spuntò, cadde, o fu trovata la fotografia di una signora bionda, che nessuno di loro conosceva.
Vincenzo non amava parlare di quel triste periodo della sua vita e se lo fece omise di raccontare tutti i particolari, dicendo solo che una donna li aveva nascosti evitando che finissero imprigionati, se non addirittura fucilati come traditori.
La foto e le successive spiegazioni rivelarono che quella donna non era stata solo un'occasionale ancora di salvezza, ma una persona che si era presa cura di lui e del suo compagno, facendo sì che potessero scampare alla guerra e rientrare sani e salvi a casa. La gratitudine non poteva essere confusa con altri sentimenti, anche se la giovane età e l'aspetto signorile di quella donna potevano indurre ad altri pensieri. Certo che la devozione verso Sant'Antonio e i voti che Concetta aveva fatto per poter riabbracciare il marito prevalsero su ogni altro sentimento, inclusa una comprensibile gelosia verso quella benefattrice sconosciuta. Nei figli l'idea che un'altra donna avesse potuto prendere il posto della madre cominciò a fare capolino, soprattutto quando giunse dalla Germania una lettera con cui la tedesca, come la chiamavano in casa, annunciava che sarebbe venuta in Calabria per conoscere la famiglia dell'uomo che lei aveva aiutato. Forse per il fatto che il padre non voleva parlarne o forse per i prolungati silenzi della madre, nonostante la loro giovanissima età -Salvino aveva da poco superato i dieci anni e Raffaele ne aveva due di meno- avvertendo una sorta di minaccia alla pace familiare, maturarono l'idea che bisognava impedire alla donna di mettere piede in casa.
Oggi Salvino, nel rievocare quei propositi, sorride al ricordo del progetto di aggressione: Raffaele, che era pił basso, appostato sulla catasta di legna dietro l'ingresso, lui seminascosto dalla porta, entrambi armati e decisi ad impedire l'intrusione della straniera!
"Chissà" conclude "forse il ricordo che papà era stato prigioniero dei tedeschi e i racconti degli adulti sulle atrocità della guerra, mi avevano convinto che fossero tutti uguali e tutti nemici, donne comprese. Ma tutti i miei propositi bellicosi sfumarono perché quella donna non arrivò mai a San Marco, non so perché, ma ripensando al modo in cui mia madre sorrideva ogni qualvolta chiedeva a papà quando sarebbe arrivata la tedesca, mi venivano sempre alla mente i ceri accesi a Sant'Antonio ..."

Esperienza di vita narrata oralmente da Salvino Langella e trascritta da Paolo Chiaselotti

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