LA STORIA LE STORIE - INDICE
LA FONTANA
Racconto di Porfidio Curlotti


2. La lingua di Alberada.
Per un istante si illuse che Dio avesse voluto esaudire il suo desiderio inconfessabile di voler distruggere quei tre rilievi muliebri, ma poi, più razionalmente, attribuì ciò che gli era accaduto ad un'allucinazione dovuta alla particolare luce dell'alba sui rilievi architettonici. In effetti, quando aveva saputo che gli studiosi avevano identificato i busti laterali con le due mogli di Roberto il Guiscardo, la pressione sanguigna ebbe un'impennata tale che dovettero ricoverarlo d'urgenza all'ospedale. Fu dimesso con la prescrizione di calcioantagonisti e con la raccomandazione di un tenore di vita equilibrato e sereno, che don Goffredo riusciva a mantenere in tutte le ore del giorno, tranne nei momenti in cui passava dinanzi la fontana, che per lui era e restava la fontana di Santomarco. Ed essendo quello l'unico passaggio per andare alla canonica, don Goffredo ogni volta girava le spalle alle fontana e camminava di lato, con gli occhi puntati su una parete della chiesa completamente intonacata e priva di aperture, crepe, gronde e quant'altro potesse attirare la benché minima attenzione.
A qualche parrocchiano curioso spiegò che questo suo modo di camminare lo aiutava nei problemi circolatori e nessuno osò mettere in dubbio le sue parole. Ad un altro, noto per essere ciarliero e pettegolo, disse addirittura che volgere le spalle alla fontana gli aveva salvato la vita, raccomandandogli di non farne parola con nessuno. La voce, al contrario, si sparse rapidamente e in breve tutti si convinsero che quelle tre figure, così a lungo studiate, dovessero avere qualche influenza nefasta. Con il passare dei giorni e dei mesi tutti i cittadini di San Marco costretti a percorrere quel breve tratto di via presero l'abitudine di voltare le spalle alla fontana come avevano visto fare al prete. Qualcuno, nel frattempo, scoprì che la figura di destra, quella identificata dagli studiosi con Alberada, mostrava la lingua. Gli studiosi interrogati al riguardo affermarono che si trattava di un gesto "apotropaico". Il termine usato, sconosciuto alla maggior parte delle persone, produsse un terrore così forte che nessuno si recò più ad attingere acqua alla fontana, nessuno si fermò ad osservare le tre cariatidi e le madri, attraversando quel tratto di via con i loro bambini, prontamente coprivano loro gli occhi con una mano per evitare l'affascino, ovverosia un oscuro maleficio che la statua avrebbe potuto trasferire sulle creature indifese. L'espressione usata inizialmente da persone colte, e tuttavia inclini alla superstizione, "Avissa guardà l'apotropaica!", divenne col tempo e con l'uso tra le persone più ignoranti, che erano la maggior parte: "Avissa guardà l'atra paica?!".
L'equivoco lessicale finì per rendere nefaste e invise tutt'e tre le sculture.
La rivalutazione storico-artistica della fontana fece sì che fosse censita tra i beni del BAAAS - un ente il cui acronimo sembrava fatto apposta per accrescerne il mistero - e da quel momento, con la dicitura "Fontana di Sichelgaita" fu inserita tra i monumenti del paese. Divenne ben presto meta di visitatori, dapprima provenienti dai comuni viciniori e, in seguito, da ogni parte del mondo. Quando arrivava una comitiva di turisti, questi venivano accompagnati dinanzi la fontana da un cicerone del luogo, il quale, volgendo le spalle alla fontana, indicava i nomi delle figure senza guardarle. Alberada, colei che mostrava la lingua, era definita "l'altra, la paica", nella convinzione che quel termine sconosciuto significasse l'antipatica. E siccome Sichelgaita, nome difficile da ricordare, faceva rima con paica, ecco che in breve l'originario nome di Fontana di Santomarco divenne La fontana della paica e sussessivamente, per estensione a tutte le tre figure, La fontana delle paiche.
Chi non si era rassegnato non solo a quest'ultima volgarizzazione, ma all'intera operazione di rivalutazione culturale, era il parroco, Don Goffredo, il quale, ogni qualvolta attraversava lo spazio vuoto tra i gruppi di turisti e il cicerone, era costretto a sentire queste assurde spiegazioni sull'origine della fontana.
Quando la fontana era chiamata di Santomarco, le figure erano semplicemente tre altorilievi decorativi, e la fontana serviva solo a soddisfare il bisogno primario di persone e animali: dissetarsi. E c'era di più! Una tradizione secolare voleva che fosse in origine la fonte in cui l'evangelista Marco battezzò tre giovinetti e la loro madre, convertitisi al cristianesimo. Ora la fontana era stata trasformata, tra idolatria e superstizione, in un simbolo di neo-paganesimo. Qualche volta don Goffredo aveva anche pensato di ricorrere a gesti estremi, come quello di distruggere nottetempo le teste a martellate o di staccarle a colpi di scalpello e buttarle nel fiume. Aveva anche cercato in buona fede di dare una diversa interpretazione alle tre figure, ovvero che si trattava delle tre Marie: la madre di Gesù, Maria Maddalena e Maria di Cleofa, ma aveva dovuto ritrattare le sue incaute affermazioni quando ad essere definita "la paica" fu la Maddalena, con la conseguenza che i fedeli chiesero che quadri, statue e ogni genere di raffigurazione di quest'ultima venissero coperte o rimosse. Don Goffredo fece marcia indietro e disse che le donne avevano capito male.
In seguito accadde qualcosa che contribuì a rendere ancora più intricata la situazione.
La Fontana racconto di Porfidio Curlotti