GUGLIELMO BORRELLI (24 Aprile 1892 - 24 Aprile 1984)
Guglielmo Borrelli, nacque nel 1892 in contrada Marinello, ma si trasferì
dopo alcuni anni in contrada Ghiandaro di San Marco Argentano dove visse fino al
1984, anno della sua morte.
Di umili origini contadine, il giovane Guglielmo fin da piccolo mostrava uno spirito
ribelle alle convenzioni del tempo. Nel 1915, all'età di 23 anni fu chiamato
alle armi per combattere nella prima guerra mondiale. E così partì
da un paesino caldo della provincia di Cosenza per recarsi verso le gelide trincee
di confine del Trentino.
La mancanza di cibo, unitamente al freddo e alle condizioni atmosferiche estreme,
costringeva i soldati a cibarsi di quelle rare erbe e radici spontanee che sporadicamente
sbucavano dalla neve. Le precarie condizioni igieniche aumentavano il rischio di
infezioni, soprattutto in presenza di ferite. I pidocchi, eterni e fastidiosi coinquilini
di quei miseri corpi, venivano combattuti posando manate di neve gelida sugli indumenti
sempre più inzuppati d'acqua.
Il giovane Guglielmo -da sempre amante di puledri- fu mandato a far parte della
cavalleria pesante. In quel plotone gli fu affidato il trasporto di armi e munizioni
nelle vicine trincee di confine e, considerata le sua naturale dimestichezza con
i cavalli, anche il compito di addestrare i puledri. Proprio perché riusciva
ad ammaestrare anche quelli più selvaggi, si conquistò ben presto
la stima dei graduati, e grazie al suo ottimo lavoro, in un periodo di armistizio,
gli fu concessa una licenza premio per ritornare nella sua terra.
Ma il suo arrivo a casa fu preceduto da una notizia inaspettata: un telegramma del
comando gli intimava di ritornare immediatamente al fronte.
Arrivato al confine, scoprì che il motivo di quell'ordine era ben più
grave di quanto potesse immaginare: era un "ordine di fucilazione per il soldato
Borrelli Guglielmo", con la motivazione che due cavalli da lui addestrati avevano
ucciso due soldati che avevano cercato di sellarli.
Il giovane Guglielmo si giustificò dicendo che quei cavalli erano mansueti
e che un comportamento del genere si poteva verificare solo con atti di violenza
compiuti sugli animali. Quando l'ordine era già prossimo a essere eseguito,
il povero Guglielmo chiese ed ottenne di poter dimostrare che quei cavalli erano
perfettamente addestrati e incapaci di arrecare male o danni.
E così si diresse nel recinto, sellò un cavallo e lo guidò verso il
graduato che aveva sostenuto la pesante accusa nei suoi confronti. Fece inchinare
docilmente il cavallo dinanzi a lui, poi salì in groppa e senza esitare si
diresse verso l'altro cavallo che, trattenuto per le redini, fece trottare per alcuni
giri nel recinto. Quindi, alzandosi inaspettatamente in piedi sulla sella da vero
maestro, fece accostare l'altro cavallo, e quando questo iniziò a trottare
parallelo al suo, gli mise un piede sulla groppa, cavalcando entrambi come fanno
i cavallerizzi nei giochi equestri.
Non fu solo la prova di un addestramento perfetto e delle sue abilità, ma
la dimostrazione che i suoi animali erano docili e disponibili ad ogni ordine. I
graduati e i soldati, rimasti di stucco di fronte a quello spettacolo, gli tributarono
un fragoroso applauso. Gli ufficiali si resero conto che su quegli animali erano
state senz'altro esercitate delle violenze che ne avevano provocato reazioni incontrollabili,
e sospesero l'esecuzione.
Finita la guerra, Guglielmo ritornò a casa e al suo abituale lavoro, quello
del contadino, coltivando la propria terra e quelle altrui. Un giorno un signore
della zona gli chiese se gli poteva zappare la vigna. Guglielmo, che era un grande
lavoratore, accettò di buon grado. E così armato della propria zappa
lavorò il terreno con estrema cura. Zappò in una maniera così
perfetta che al ritorno il proprietario del terreno esclamò: "Gugliè,
para cca ccià passatu u mbiarnu!!" ("Sembra che su questo
terreno ci sia passato l'inferno"), e da quel giorno fino ad oggi Guglielmo
e tutti i discendenti furono chiamati con il soprannome "mbiarnu".
Guglielmo si sposò ed ebbe quattro figli, nati tutti prima del secondo conflitto
mondiale.
Proprio durante la seconda guerra mondiale un altro avvenimento segnò la
vita di Guglielmo. Lo stato di indigenza generale dell'Italia, caratterizzato dalla
fame e dalla miseria di tanti cittadini, affliggeva anche San Marco Argentano. I
generi di prima necessità erano razionati e in molti casi le persone più
povere non potevano acquistarli.
Guglielmo, nonostante la crisi, sbarcava il lunario grazie al suo lavoro, ma non
sopportava le ingiustizie sociali e, davanti ai soprusi dell'epoca, non riusciva
a rimanere impassibile. Così, un giorno, armato di spirito solidaristico,
assieme ad altri, fu il promotore di una manifestazione in piazza Selvaggi contro
il carovita. La piazza era piena di gente che, accorsa da ogni parte, protestava
contro la difficile situazione che la guerra aveva provocato. I negozianti avevano
provveduto chi a serrare le porte e chi a far presidiare il proprio negozio dalla
forza pubblica. Il clima si riscaldava, la folla premeva minacciosa, quando, all'ennesimo
rifiuto di concedere i generi di prima necessità, Guglielmo -con uno scatto
felino- riuscì a disarmare un piantone a guardia di una bottega e ad atterrarlo.
Entrato nel negozio portò fuori alcuni prodotti distribuendoli a piene mani
ai manifestanti, i quali entusiati, ad ogni uscita, lo acclamavano scandendo il
suo nome.
Dopo alcuni minuti accorse in aiuto del piantone sopraffatto un secondo soldato
ed entrambi, fucili alla mano, ingiunsero di riconsegnare i generi sottratti al
negoziante. Al rifiuto deciso uno dei due puntò minaccioso il fucile pronto
a fare fuoco contro quella folla, proprio quando di fronte si trovava una donna
con un bambino in braccio. Guglielmo accortosi del pericolo che la donna correva,
afferrò il soldato alle spalle, cercando di strappargli dalle mani il fucile. Partì
un colpo che fortunatamente non colpì nessuno ma sfregiò la mano di
Guglielmo. Allo sparo tutta la popolazione scappò e in pochi secondi la piazza
si svuotò. Nonostante la ferita alla mano Guglielmo riuscì a disarmare
anche il secondo soldato, e subito dopo si diede alla fuga, dolorante ma contento
per quello che aveva fatto a favore degli altri cittadini.
La seconda guerra mondiale era finita da un po', ma la miseria e la desolazione
avevano lasciato ferite profonde nella società dell'epoca, specie per chi
viveva nel centro storico del paese. Chi abitava nella periferia, invece, riusciva
a coltivare verdure, ortaggi e questi gli consentivano di alleviare seppur in minima
parte la drammatica condizione.
Guglielmo, dedito da sempre all'agricoltura, riusciva ad avere ottimi risultati
nella produzione dei prodotti agricoli. Capitò un giorno nel centro storico
del paese normanno, e lì vide la disperazione e l'angoscia della gente che
non aveva cosa mangiare, decise così, di ritornare subito nelle sue campagne,
riempire il suo carro trainato da buoi di tanti prodotti della terra per portarli
alla gente del centro storico per cercare, con il suo umile contributo, di alleviare
quelle sofferenze causate da una delle pagine più tragiche della nostra storia.
24 aprile 2013
Antonio Parise
pronipote
Nella prima foto in alto Guglielmo Borrelli con la Croce al merito di Cavaliere
di Vittorio Veneto, nell'altra nella sede municipale a fianco al sindaco dott. Francesco
Talarico (gli altri, da sinistra: il figlio Francesco Borrelli, l'assessore Fabrizio
Sabato, Battista Florio, il primogenito del sindaco)
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