VENTURA Il cognome Ventura compare a San Marco dagli inizi dell'Ottocento, con l'arrivo di due capostipiti, provenienti uno da Rende e l'altro da San Vincenzo la Costa. Ovviamente quando parliamo di capostipiti ci riferiamo alle persone che hanno dato origine in loco alle rispettive famiglie. Come al solito l'opportunità per parlare di questo cognome, inizialmente scritto nella forma maschile Venturo ma subito trasformato o riportato alla sua originaria trascrizione Ventura, che non sarà mai cambiata nel corso degli anni, è la ricorrenza di un evento riguardante un appartenente a questo ceppo. Si tratta del matrimonio di Michele Venturo, un giovane bracciale di Rende, con una contadina di Cetraro, Nicoletta Bianco. Era il primo agosto del 1826, come oggi. Dall'atto di matrimonio sappiamo che lo sposo aveva 23 anni, era nato come ho detto a Rende, dal fu Antonio e dalla fu Elena Golia. L'anno precedente si era sposato a San Marco un fratello di Michele, Salvatore, ventenne, con una quindicenne del luogo, Maria Saveria Aloia. Per entrambi, orfani dei genitori, la potestà tutoriale, richiesta a quei tempi per l'assenso al matrimonio, era esercitata da uno zio materno, Giuseppe Golia. I due fratelli Venturo si stabilirono nella contrada in cui abitavano le spose, precisamente in località Ponticello. Dagli atti conservati nell'archivio dello stato civile di San Marco Argentano e, in copia originale, nell'Archivio di Stato di Cosenza, è in qualche modo possibile ricostruire la storia delle famiglie spostatesi da altri comuni o di singoli individui, come nel caso dei fratelli Venturo. Il luogo era un contrada in cui si contentrarono pochi nuclei familiari, tra i quali vari Di Cianni, alcuni dei quali senza alcun comune legame parentale. Le terre che venivano date in coltivazione appartenevano ai ricchi proprietari del tempo e non compaiono tra i beni appartenenti al demanio. Ponticello si trova lungo la strada che dalla valle del Macchione, passando per il Richetto, raggiungeva Santopoli e la zona montuosa. Le contrada limitrofe sono Perizito, già feudo ecclesiastico i cui beni erano destinati al maritaggio di fanciulle povere, Santo Stefano, citata nell'atto di donazione del Guiscardo e della moglie Sichelgaita all'abbazia della Matina, Santa Venere, anch'essa citata nell'atto predetto. La zona si presenta fortemente accidentata e quindi adatta solo ad alcune coltivazioni, ma soprattutto al pascolo e alle attività connesse ai lavori boschivi, quali taglio, trasporto e lavorazione del legname. Gli ultimi proprietari che negli anni si succedettero a quelli originari furono le famiglie Valentoni e Amodei e i lavoratori stagionali o permanenti che lavoravano o risiedevano nelle loro terre erano essenzialmente provenienti da piccoli centri del tirreno, soprattutto Cetraro. Nel caso dei Ventura essi, i due ceppi, provenivano da aree interne: da Rende uno e da San Vincenzo la Costa l'altro. Si tratterebbe di due giovani lavoratori senza alcun apparente legame con altre famiglie giunte in precedenza, ma spulciando tra i nomi ad essi legati spunta il matrimonio avvenuto a San Marco nel 1824 di quello zio tutore, Giuseppe Golia, con una donna di Rogliano, Rosa Mazzei. Dall'atto apprendiamo che Giuseppe era vedovo di Carmina Aiello, che non nacque nè morì a San Marco. Dobbiamo quindi ritenere che Giuseppe fosse giunto a San Marco già vedovo, intorno agli anni Venti. Cerchiamo di scoprire se vi fossero altri Golia in quel periodo e scopriamo che un fratello di Giuseppe, Pietro, anch'egli nato a Rende, morì ventenne a San Marco in contrada Santo Stefano e che una sorella, Anna, si sposò nel 1827 a San Marco con Francesco Mazzei, un vedovo di Rogliano. Scopriamo ancora che Francesco Mazzei era fratello di Rosa, la moglie di Giuseppe. Siamo giunti alla conclusione che il primo ad arrivare fu Giuseppe, lo zio tutore, probabilmente chiamato da famiglie che già conosceva, e che questi si adoperò per la sistemazione dei nipoti Michele e Salvatore Ventura. L'attività svolta da tutti era quella di braccianti, ma non è escluso che negli anni o nello stesso tempo svolgessero la loro attività con animali da allevamento o da trasporto, anche per una serie di apparentamenti con famiglie che svolgevano tali attività. In quegli anni e fino agli anni Cinquanta del secolo trascorso, il possesso di beni strumentali e i mestieri erano alla base dei legami parentali, per cui troviamo spesso matrimoni di famiglie artigiane, di allevatori, massari, e via dicendo. Del resto nel proverbio "Moglie e buoi dei paesi tuoi" gli animali non sono solo un riferimento geografico ma ai beni e alle competenze. Quale fu il seguito della storia dei due fratelli? Salvatore ebbe due figli maschi: Antonio e Pasquale, Michele un solo maschio e due femmine, ma fu proprio questi ad estendere il cognome sul territorio con ventidue individui tra figli e nipoti. L'altro ceppo, quello proveniente da San Vincenzo la Costa, si estinse nel corso dell'Ottocento per mancanza di discendenti maschi. E Giuseppe Golia, lo zio protettore, che fine fece? Si sposò una terza volta con Maria Pepe di San Lauro e morì a cinquantasette anni nel quartiere del Puzzillo, oggi via Tarrutenio. San Marco Argentano, 1 agosto 2020 Ulteriori notizie con gli alberi genealogici dei due ceppi Ventura si trovano sul sito L'Ottocento dietro l'angolo |
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