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FERRARI EPAMINONDA


Il primo agosto del 1874 fu registrata la morte di una gentildonna di Cosenza avvenuta a San Marco Argentano nel quartiere Costa di Fazzaro.
A dichiararne la morte furono i signori Gaetano Misuraca fu Saverio di anni quarantasette e Francesco De Pasquale fu Emiddio, entrambi proprietari, senz'altro conoscenti della defunta, ma soprattutto domiciliati in quartieri vicini, rispettivamente Sant'Antonio Abate e Vecchio Seminario o Vescovado.
Il certificato di morte contiene tutti gli estremi riguardanti la defunta: si chiamava Isabella, era figlia dei furono Antonio Ferrari Epaminonda e Caterina d'Aquino, era vedova di Filippo Fera e aveva novant'anni. Tutti i nomi predetti erano preceduti, come l'usanza del tempo imponeva e nonostante vi fossero state l'eversione della feudalità e la soppressione del governo dei Borbone, dal titolo onorifico di don e donna, accompagnato dalla precisazione che trattavasi di gentildonne o proprietari.
Non deve destare meraviglia che anche di fronte alla morte, come per le nascite e i matrimoni, il Comune continuasse a registrare questi privilegi, nonostante sui registri fossero prestampati fin dall'età bonapartista le indicazioni di signore e signora. Questo termine era ripetuto come distinzione sociale rispetto a tutti gli altri cittadini che non potevano essere definiti "signori", perchè braccianti, contadini, operai, artigiani, negozianti, tavernieri e via dicendo.
Oggi, tranne i preti, nessuno viene più chiamato con il don, ma fino a qualche decennio fa esso era ancora usato, non più sugli atti ufficiali, ma nel linguaggio corrente. "Avere il don" era indice di prestigio sociale.
San Marco Argentano era uno di quei tanti comuni calabresi che continuò ad usare questa distinzione, non solo con riguardo alle origini, ma anche come forma di rispetto nei confronti di coloro che il don se lo erano ... conquistato sul campo per essere industrianti, negozianti, artigiani. Braccianti, contadini e operai ne restavano esclusi. L'istruzione, il lavoro, le lotte sindacali e il progresso socio-economico segnò la fine di quest'ultimo retaggio medievale.
Ritornando ad Isabella Ferrari Epaminonda, ai suoi genitori e al marito defunto, dobbiamo dire che gli appellativi documentati nell'atto ufficiale della morte, erano pienamente giustificati e possono essere d'esempio sul come, quando e perché alcune famiglie avessero acquisito tali privilegi.
Il cognome Ferrari trae origine dal mestiere di fabbro-ferraio. Notiamo subito, però, che esso è nella forma plurale, il che sta a significare che è di più antica data rispetto al cognome Ferraro molto diffuso anche nel nostro Comune. Il dubbio, legittimo, che Ferrari possa aver origine dall'umile attività di chi si occupava della lavorazione del ferro, è cancellato dal blasone che i Ferrari avevano adottato da tempo immemorabile. In esso compare un compasso, cioè lo strumento di lavoro di vari artigiani, tra i quali appunto i fabbri-ferrai. C'è anche un altro aspetto che caratterizza questa famiglia, ed è il doppio cognome. Non sempre questo dato è indicativo di origini antiche, bensì spesso era frutto di tardivi riconoscimenti o di adozioni, ma nel caso della famiglia Ferrari esso deriva dalla necessità di distinguere tra di loro i vari rami di un ceppo originario.
I Ferrari avevano origini napoletane, gli Epaminonda calabresi, il matrimonio tra due appartenenti alle predette famiglie portò alla nascita di questo ramo, la cui presenza a Cosenza è ampiamente documentata (in alto uno dei palazzi di famiglia risalente al Cinquecento).
Ma cosa c'entra questa antica e nobile (erano marchesi) famiglia con San Marco Argentano? Ci risulta dagli atti d'archivio che nessun membro visse, si sposò o morì nella nostra città, tranne Isabella che si sposò nei primissimi anni dell'Ottocento con Filippo Fera e qui ebbe tre figlie e un figlio, i quali, ovviamente presero il cognome paterno Fera. Insomma di questa importante famiglia cosentina nulla è rimasto se non la documentazione relativa ad Isabella. Di lei sappiamo le cose anzidette e che abitò nel popoloso quartiere del Crité almeno fino al 1814. Siccome la nascita dell'ultima figlia risulta avvenuta nel quartiere cosiddetto di Sir Andriace, limitrofo con quello chiamato Costa di Fazzaro, è probabile che si trattasse dello stesso luogo diversamente denominato nel corso degli anni.
La famiglia Fera possedeva anche un casino rurale, oggi un rudere, in località Pietrabianca. Là vi morì il venticinque agosto del 1860, all'età di settant'anni il marito di Isabella, Filippo Fera. Non è escluso quindi che la famiglia abitò per periodi più o meno brevi anche in quella località. Il casino passò poi alla famiglia Selvaggi come dote dell'ultimogenita di Filippo e Isabella, Maria Raffaela Fera, che si sposò con Francesco Selvaggi nel 1837.

Altre notizie sulla famiglia Ferrari Epaminonda sul sito Nobili Napoletani e sulla famiglia Fera sul sito L'Ottocento dietro l'angolo

San Marco Argentano, 1° agosto 2020

Paolo Chiaselotti



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