E` interessante scoprire come i cognomi abbiano avuto nel corso dei secoli modificazioni tali da non essere,
in alcuni casi, più riconducibili ai cognomi originari.
La modifica più frequente è il passaggio da una forma singolare ad una plurale, o da una forma femminile
ad una di appartenenza. Sono entrambe spiegabili con il riferimento non più ad un singolo antenato da cui traeva origine
un ceppo familiare, ma alla pluralità di individui portatori di quel cognome, nel caso dei plurali, e non più
ad una originaria progenitrice, bensì alla serie di discendenti, maschi e femmine, contraddistinti
da un cognome derivato.
Per fare alcuni esempi, i Lombardi sono i successori di un primitivo Lombardo, termine generico con cui era appellato
un uomo del nord dell'Italia. Il nostro dialetto spiega bene questo passaggio da un ceppo familiare a ceppi distinti,
nell'espressione un tempo usata: "
A chini appartena?", dove la risposta poteva essere al singolare,
con espresso riferimento ad un capofamiglia, o al plurale per indicare un insieme indistinto di famiglie che portavano
quel cognome. La risposta, in quest'ultimo caso era: Appartiene a quelli dei Lombardo o ai Lombardo.
A sciogliere ogni dubbio interveniva l'uso del soprannome, che talvolta era scritto, nero su bianco, anche sui documenti
ufficiali.
Il plurale dei cognomi patronimici o matronimici si risolveva spesso con le preposizioni Di, De, Del, Dello. Abbiamo così
i De Maria, De Giacomo o Di Giacomo, Del Vecchio, Della Vedova e via dicendo.In questo caso il cognome non si pluralizza
perché questa funzione viene appunto svolta dal partitivo che lo precede.
Nel sud il cognome singolare ha continuato ad essere più presente rispetto al nord. La domanda che Dante pone in bocca a Farinata degli Uberti nella Divina Commedia :" Chi fuor li maggior tui? ", spiega bene, anche nel prosieguo del
colloquio, la valenza dei componenti di un ceppo familiare rispetto al signolo individuo.
Partendo da queste semplici considerazioni si potrebbe aprire un dibattito su individui e aggregazioni sociali, ma ovviamente
questo non è lo scopo della presente esposizione, mentre credo sia estremamente interessante scoprire come alcuni cognomi
abbiano risentito e pagato caro (!) l'influsso della parlate locali e come i tentativi di trasferire nei documenti ufficiali
forme italianizzate di un cognome abbiano dato origine a madornali errori interpretativi.
Voglio entrare subito in argomento con un caso riportato anche tra le genealogie familiari
sammarchesi.
Il caso riguarda un tal Giuseppe Fedele, originario di Sangineto, che si sposò e visse a San Marco nell'Ottocento,
dando origine, a seguito dei suoi due matrimoni, ad una discendenza protrattasi per tutto il secolo fino al trasferimento
dell'ultimo discendente in territorio di Mongrassano.
La registrazione originaria del cognome fu Vidiri, trasformatasi in Viridi e quindi italianizzata nella forma definitiva,
con gli ultimi discendenti, in Fedele. Il motivo di tutto questo pasticcio nasce, probabilmente, dalla trascrizione della
dizione con cui il cognome fu pronunciato dal genitore interessato, e successivamente mutato da una involontaria metatesi.
Certamente, oggi, ci meravigliamo di una simile leggerezza da parte dell'ufficiale dello stato
civile, ma a quel tempo non si andava troppo per il sottile nel registrare nomi e cognomi dei nati, presentati da uno
dei genitori assieme alla dichiarazione di essere legittimo figlio della coppia.
La registrazione non era preceduta dalla
richiesta di documenti ufficiali di matrimonio e se la coppia proveniva da altro comune l'ufficiale si
faceva ripetere più volte il cognome cercando di interpretare voci e suoni dialettali nella lingua ufficiale.
Compito veramente arduo, che non trovava neppure un utile appiglio nei certificati di battesimo della parrocchia, considerato
che il parroco aveva a cuore soprattutto il nome che veniva dato alla creatura messa al mondo e marginalmente al cognome.
Quella che noi oggi chiameremmo l'italianizzazione delle voci dialettali, a quel tempo, in Calabria si sarebbe chiamata
la napoletizzazione di una parola calabrese, considerato che il napoletano era di fatto la lingua del Regno e, per quanto
riguarda i cognomi, anch'essi erano espressi in dialetto (Catafaru, Iuoriu, Crivieddru, Firarru ecc.).
Insomma a noi oggi viene da sorridere o addirittura da non credere a questa arretratezza linguistica e immagino che nessuno
di voi mi crederebbe se gli dicessi che l'ufficiale d'anagrafe di San Marco (ancora non era stato aggiunto l'appellativo Argentano),
in pieno regime borbonico, decise di registrare la nascita di un bambino con il cognome Ullo, convinto in buona fede che
il genitore, analfabeta, dichiarasse il proprio cognome, Gullo, alla maniera calabrese, che in alcuni casi fa precedere le vocali
A, O, U da un suono gutturale. Il risultato fu che Gaetano, al contrario dei fratelli, dei genitori, e successivamente dei figli
(una volta corretto l'errore), si trovò unico e solo a dover sopportare l'ingiuria di una genealogia inesistente.
E se nel caso esaminato ci fu una perdita della testa in altri ci fu la perdita del piede, ovvero della parte finale del
cognome, per quel maledetto vizio calabrese di non completare mai le parole in modo netto e deciso, o se vogliamo per quel
dannato accento che cadendo sulla prima sillaba sbiascica la sillaba finale. Rummolo e Rummo, fratelli al pari di Romolo e Remo,
si trovarono estranei per ... un soffio!
Per chiudere vorrei riportare il caso di un cognome davvero insolito e dal suono talmente stridente da immaginare il suo
portatore una persona perennemente in collera! Il cognome è Sgrignieri, scritto anche senza la i, che ho trovato
trascritto nei registri enagrafici e dello stato civile di San Marco, con il piacere di conoscere anche una discendente
vivente in Argentina. Dpo aver cercato a lungo e inutilmente di trovare una qualche etimologia di questo stranissimo
cognome, mi sono imbattuto casualmente in un certificato riportante il cognome Sangriguorio, derivante dalla voce dialettale
San Gregorio, scritto con la S di Santo puntata seguita dalla voce Griguorio. Le consonanti e vocali erano scritte in maniera da essere confuse con altre lettere, per cui la U appariva come una N e la O come una E, con il risultato che l'originario
San Gregorio poteva diventare un ... beato S.Grigneri ! A volte si diventa santi senza saperlo, come accadde a un tal Andreace,
forse un Ardoino o un Gonzaga, titolare di un Ser onorifico per nobiltà di lignaggio, che si vide intitolare rione e territorio
montano con l'appellativo celeste di S. Iace, un santo derivato dalla fretta di abbreviare i tempi.
San Marco Argentano, 23 novembre 2019