AIELLO Aiello è un cognome moto diffuso in Italia. Potremmo pensare che esso derivi dal nome del borgo in provincia di Cosenza, ma siccome esistono altri due paesi con lo stesso nome, uno in Campania e l'altro nel Friuli -a quanto pare tutti derivanti dal latino agellus, cioè campicello, piccolo podere- dobbiamo concludere che il cognome Aiello deriva dalla voce latina. In ogni caso si tratta di un toponimo. A San Marco comparvero due ceppi con tale cognome, uno proveniente da Positano che si estinse nella prima metà dell'Ottocento, e un secondo proveniente dalle "terre di San Felice", ovvero dal Comune di San Fili, i cui discendenti sono tuttoggi presenti nel nostro Comune. Come ho avuto occasione di spiegare per altre genealogie, anche in questo caso ho consultato il Portale degli Antenati messo in rete dal Ministero della Cultura e, al fine di ricavare il maggior numero di informazioni sulle origini familiari, ho letto tutti gli atti allegati ai cosiddetti processetti che formavano il fascicolo matrimoniale degli sposi. Nel caso degli Aiello, anzi Ajello, come troviamo scritto il cognome fino agli anni Sessanta dell'Ottocento, i documenti allegati sono vari e ricchi di notizie, che ho volutamente riportato nella parte iniziale dell'albero genealogico a pie' di pagina. C'è un altro aspetto delle mie ricerche a cui non ho mai fatto cenno, e cioè ad una particolare curiosità che nasce in me di fronte ad alcuni cognomi. Non saprei spiegarne il motivo, in quanto non accade per tutte le genealogie da me sviluppate, ma solo per alcune e gli Aiello rientrano tra queste. La loro storia inizia con la nascita di Maria Maddalena Ajello nel 1811. Il padre Vincenzo è uno zappatore di San Fili, la madre, Rosa Vivona, una contadina nata a Mottafollone, residente nella contrada Falcicchia con la madre. L'anno successivo muoiono sia Maddalena che Rosa e Vincenzo si risposa dopo due mesi con Rosa Raimondo, continuando ad abitare nella stessa contrada Falcicchia dove nasce Carolina, che morirà di pochi giorni. Vincenzo e la moglie si trasferiscono in una contrada poco più a monte, Sciancarella. Anche qui, però, due figlie, Rosa e Maria, gemelle, moriranno a pochi giorni dalla nascita. La residenza della coppia nel 1816 è, quindi, documentata in contrada Santo Pietro, dove nasce il primo maschio, Francesco Saverio. Anche lui, però, avrà vita breve: a tre anni dalla nascita il suo nome compare nel registro dei morti. La residenza della coppia in questa circostanza era il quartiere urbano di Santa Caterina. Due mesi dopo nasce Michele, a monte del paese, nel quartiere della Riforma. A giudicare dalle varie date di nascita e di morte dei figli, si ha l'impressione che Vincenzo e Rosa si spostassero verso le zone più alte del paese, quasi alla ricerca di aria più salubre, ma i motivi dei loro trasferimenti da un quartiere all'altro potrebbero essere legati al lavoro di zappatore e bracciante generico svolto da Vincenzo. A conferma di quest'ultima ipotesi abbiamo scoperto che un fratello di Vincenzo, di nome Domenico, anch'egli operaio agricolo, sposato con figli, che ebbe all'incirca uguali vicissitudini, dopo due spostamenti da Falcicchio a Santo Pietro e Sciulli, fece ritorno nella contrada Falcicchio. Sta di fatto, ad ogni modo, che sia Michele che gli altri due figli di Vincenzo, Francesco Saverio e Pasquale, nati tutti in contrada Riforma, vissero a lungo: il primo abbracciando la carriera militare e l'altro facendo il calzolaio. Di Pasquale non abbiamo trovato notizie dopo la nascita avvenuta nel 1825. I passaggi dalla condizione di zappatore e bracciante di Michele ad artigliere nel regio esercito dei Borbone e, nel caso di Vincenzo, ad artigiano, rappresentavano all'epoca un salto di qualità abbastanza inusuale, considerato che l'unica 'ricchezza' a cui gli operai agricoli aspiravano erano la buona salute propria e dei figli per poter lavorare per il proprio padrone. Aprire una bottega richiedeva, oltre all'esperienza presso un 'mastro' calzolaio, un capitale che nessun bracciante possedeva, a meno che un proprietario non si fosse preso a cuore qualcuna delle tante persone al suo servizio, ma questo accadeva nella maggior parte dei casi sempre e soltanto con i figli naturali. Essendo Michele e Vincenzo nati legittimamente dal matrimonio dei detti genitori, il loro progresso sociale ed economico lo si deve solo all'ambito familiare e, forse, a quei legami che nascevano da comparaggi, frequentazioni e amicizie con persone di altri ceti. Dando un'occhiata ai testimoni citati negli atti dello stato civile, a volte, si possono scoprire cose interessanti. Nel caso in questione nell'atto di matrimonio del 1845 tra Francesco Maria Ajello, ventitreenne, e Pasqualina Pisano, più grande di lui di cinque anni, i testimoni sono un domestico e tre artigiani, di cui un calzolaio anziano. Considerando che la famiglia della sposa era ben introdotta nel tessuto sociale ed economico sammarchese, le figure dei testimoni dimostrano che Francesco Ajello si era guadagnato un posto di 'rispetto' per il lavoro che svolgeva e per saper leggere e scrivere, come dimostra la sua firma in calce all'atto di matrimonio. Che egli avesse un carattere deciso e una visione politica del contesto sociale in cui viveva lo dimostrano gli atti del processo del 1848 che lo vedono, assieme a Vincenzo Salvatore (suo cugino) e altri, imputato di attentato, cospirazione e associazione in banda armata finalizzati a sovvertire l'ordine costituito. Dando un'occhiata nell'ambito della famiglia della moglie scopriamo che anche due componenti di essa subirono uguale processo. Al contrario, ho trovato tra i documenti consultati, che il fratello Michele aveva fatto parte per quasi venti anni del "Reggimento Regia Artiglieria dal 25 marzo 1840, epoca della sua ammissione al corpo, ad oggi [gennaio 1859]" senza aver mai "contratto matrimonio né sponsale in fonte alcuna" e che al momento delle pubblicazioni della promessa solenne di matrimonio il governo borbonico era prossimo ad essere sconfitto (le nozze furono celebrate ad ottobre del 1860). Debbo dedurre che egli non fu uno dei tanti coscritti alla leva, rimasto in servizio per semplice convenienza, ma un artigliere scelto al servizio di sua maestà il re Ferdinando di Borbone. Insomma abbiamo sufficienti elementi per poter dire che la famiglia Aiello seppe farsi strada dopo l'arrivo a San Marco., ma vediamo cosa accadde dopo l'Unità d'Italia. I figli di Francesco con la prima moglie, Alfonso e Beniamino, continuarono l'attività artigianale del padre. Si sposarono, ma non furono loro a proseguire la discendenza fino ai nostri giorni, anche se un figlio di Alfonso, Francesco, sarà ricordato per la sua partecipazione alla Grande Guerra e per la morte conseguente sopraggiunta a conflitto ultimato. Il secondo matrimonio di Francesco con Esposito Ambriosio Clementina (che nel 1891 risulta emigrata in America) aprirà la strada alla generazione successiva degli Aiello, che da calzolai divennero muratori forse anche per l'apporto di un altra famiglia, i Fragale di San Sosti, di cui Consalvo Aiello sposò una figlia. Il resto della storia vede i matrimoni di due figli di Consalvo, Vincenzo e Filippo, rispettivamente con Rosaria Milizia di Rossano e Gilda Felisone di San Marco. Sarà attraverso il primo matrimonio che si svilupperà il ramo Aiello oggi presente a San Marco, mentre altri si formeranno all'estero in seguito all'emigrazione di alcuni componenti. Altre notizie alla pagina Aiello. San Marco Argentano, 15 giugno 2024 Paolo Chiaselotti |
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