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COMMERCI AMOROSI ...



Mi chiamano Nenè ...

Questa volta voglio affrontare un aspetto 'scabroso' della storia di San Marco Argentano, ma vi confesso che ho difficoltà a trovare le parole giuste e ne è la prima prova l'aggettivo virgolettato da me usato, che non si addice affatto alla donna dalla pelle liscia e levigata nell'immagine di apertura.
Anche il titolo, "Commerci Amorosi", è frutto di un arrovellamento dovuto al fatto che l'uso di aggettivi dispregiativi nei confronti di persone mi provoca un certo disagio. Fortunatamente gli atti d'archivio da cui ho tratto le notizie usano termini che considero non semplicemente accettabili, ma etimologicamente ineccepibili, per indicare la condizione di una donna come quella sopra raffigurata. Oggi definire una donna briffalda o druda (quest'ultimo termine ha anche il genere maschile) è inconcepibile, considerato che i termini sono obsoleti e che nessuno, o quasi, ne conosce ormai il significato. Forse drudo, a coloro che hanno letto la Divina Commedia può ricordare il termine usato da Dante per definire l'innamorato di Taide, per tacere dell'ingiuriosa parola riservata a lei.
Insomma con questi due termini venivano indicate le donne che intrecciavano amori al di fuori del matrimonio. E con questi termini le troviamo indicate in alcuni atti di archivio riguardanti San Marco Argentano. Salvatore Cristofaro nel narrare i giorni della Repubblica Partenopea quando anche a San Marco nel 1799 furono introdotti i principi della rivoluzione francese, usa la parola briffalda per indicare una donna che assieme ad uno spretato si esibì in una pantomima matrimoniale sotto un albero della libertà eretto nella piazza di basso. Il Cristofaro la definisce 'impudica briffalda', attribuendo al termine briffalda il significato di accattona, vagabonda, a cui associa l'assenza di pudore. Essendo un sacerdote, egli condanna non tanto la condizione della donna e i suoi costumi, quanto piuttosto il sacrilego atto matrimoniale fra la ridda vortuosa di sfrontati compagni nel quale un sacerdote fingeva di concludere con la donna a par di moglie lordo contratto.
Per restare in tema di matrimonio ho trovato in un atto del 1826 una curiosa definizione di rapporti prematrimoniali. Nell'atto vengono riconosciuti i figli della coppia nati da commercio avuto tra essi loro sposi, un'espressione che lascia perplessi pensando al significato che oggi attribuiamo al commercio, che se interpretato come relazione tra persone assume il significato di meretricio, cioè di prestazione sessuale a pagamento.
Sembrerà strano ma i nostri progenitori non sbagliavano nell'usare la parola commercio per indicare un rapporto carnale, almeno sotto il profilo etimologico, e il sindaco di allora, Giuseppe Fera, che compilò personalmente il documento, apparteneva ad una famiglia colta e avvezza per dimestichezza con il linguaggio legale all'uso di termini appropriati.
Vediamo perché quel commercio sia appropriato anche nel caso di relazione amorosa a seguito della quale nacquero dei figli.
Il vocabolo trae origine da merce che deriva dal latino e dai verbi che indicano meritare, ma anche spartire, condividere. Poiché la società evolvendosi praticava scambi tra le varie popolazioni, commercio poteva indicare non solo la compravendita di un bene, ma anche la sua condivisione o spartizione, il che implicava non acquisti e profitti in senso economico-monetario, quanto rapporti tra persone diverse per un fine comune. Ecco, quindi, da dove nasce quel commercio scritto in calce ad un atto di matrimonio per significare un rapporto reciproco e consensuale. E pur vero che anche meretricio e mercimonio hanno la stessa origine, ma in questo caso soggiaciono ad una diversa fonte di commercio, quello che viene definito comunemente illecito: la prostituzione.

Non so se qualcuno si sia mai chiesto se a San Marco nell'Ottocento ci fossero prostitute che si concedevano per denaro. A quanto pare il fenomeno esisteva e ne abbiamo documentazione attraverso due deliberazioni, diverse tra loro per contenuto, ma entrambe attestanti la prostituzione. Il termine usato è lo stesso, inequivocabile, solo che nella prima deliberazione se ne fa un accenno indiretto, solo per essere preso a pretesto di un piccolo interesse privato. Verrebbe da dire: beh, visto che la prostituta offre il proprio corpo per interesse, che c'è di male se la sua azione fa l'interesse di un altro? Qualcuno avrà pensato ad un giro di prostituzione e ad un 'pappone' protettore. Macché, l'accenno alla prostituzione e all'esercizio in luoghi aperti al pubblico servì ad un signore per chiedere la chiusura di un arco di collegamento fra i suoi immobili e l'utilizzo esclusivo dello spazio sottostante: "la chiusura di un sopporto sotto la sua abitazione il quale comunque serve di transito fra due pubbliche vie pure perché serve di pretesto al getto delle mondizie che lo rendono fetido oltre che sarebbe un luogo di aguato in tempo di notte e di prostituzione clandestina per il luogo nascosto che occupa"
L'uso del condizionale potrebbe non dare certezza che a San Marco e nei luoghi nascosti si praticasse l'amore tintinnante, ma una delibera della giunta municipale del 1863 fa capire che esso esisteva e che addirittura si erano diffuse le malattie vinerie, costringendo le povere donne al ricovero obbligatorio presso il sifilicomio di Cosenza. Le spese dei ricoveri ricadevano sul Comune, che doveva pagare per ciascuna di loro cinque grani al giorno.
Ci furono azioni amministrative, oltre alle predette, che contrastarono questo o altri fenomeni analoghi, quali l'abbandono di infanti nati da relazioni illecite? E in quali casi?
Bene, qui incontriamo una nuova dizione che fa parte del lessico classico, usata come ho detto finanche dal sommo poeta: la druda. Anche in questo caso, tuttavia, mentre il significato esplicito era amante in senso spregiativo, l'etimologia della parola indicava sentimenti nobili quali amore, fedeltà, attaccamento. Ovviamente anche l'amore può essere di vario genere, ma soltanto per un uso disinvolto che noi facciamo delle parole. Ad esempio fare l'amore è diventato sinonimo di copulazione, mentre questa ormai ignobile definizione era un tempo sinonimo di unione matrimoniale.
Chi era la druda? era come ho detto l'amante nota o ignota di qualcuno, formando una coppia che nel linguaggio giuridico vive more uxorio, ovvero alla maniera in cui vivono le coppie sposate. Poiché oggi non desta alcuno scandalo la convivenza, il termine amante è transitato nella cerchia dei tradimenti ovvero di coloro che si infilano di soppiatto in mezzo ad una coppia a vantaggio dell'uno e in danno dell'altro, senza alcun riferimento al genere.
Druda era più semplice, esplicito, immediato e universalmente comprensibile: solo una persona volgare avrebbe usato il termine che Dante affibbiò a Taide,ma non solo, nel suo Inferno. Essere il drudo o la druda di chicchesia poteva essere riprovevole, ma per il Comune e i suoi amministratori rappresentava a volte un problema serio.
Vediamo in quali casi.
Siamo nel periodo del governo borbonico, quando i giovani per sottrarsi al servizio militare obbligatorio, inventavano situazioni familiari precarie e ognuno di loro cercava di accreditarsi come sostegno alla famiglia. Uno di questi giurò di essere lui il capofamiglia, visto che il suo fratello maggiore viveva altrove. L'amministrazione dell'epoca, il decurionato, scoprì invece che quel fratello maggiore abitava in quella casa, dalla quale si allontanava di giorno per mantenere la sua druda, per farvi ritorno la sera. Ma questo è niente. Ben più grave, invece, si rivelò per i risvolti inaspettati che ebbe, l'azione del sindaco e del cancelliere del Comune nell'anno 1848, quello per intenderci dei moti insurrezionali. In questo caso i moti erano ben altro, e potevano al massimo limitarsi a quel naturale ondeggiamento del bacino che contraddistingue la gran parte delle pulsioni amorose. Per farla breve, non sappiamo per quali reali motivi, ma conosciamo solo quelli ufficiali, il sindaco del Comune aveva fatto avvertire le drude di due noti personaggi del luogo, le quali dimostravano chiaramente di essere incinte, a dover dar conto dei parti che avrebbero dato alla luce. Sic et simpliciter! come avrebbero detto i latini.
Nessun aspetto moraleggiante viene messo in risalto nel caso in questione, per cui la parola druda viene usata nella sua accezione più comune di donna legata sentimentalmente a qualcuno, che poi rispecchia l'origine etimologica con significato amica, fedele, favorita, compagna ecc. Ciò che interessa delle due drude è la loro condizione di donne prossime a partorire e il possibile abbandono dei nascituri, perché il Comune si sarebbe dovuto accollare le spese di mantenimento di due nati da genitori ignoti.
L'azione originò ben altro e di una tale gravità che sia i nomi delle due donne che la presunta nascita dei loro figli uscirono completamente dalla scena e, quel che più conta, dagli atti processuali, in cui si parla di due generiche drude. Non ho incontrato tra le centinaia di documenti consultati altri atti in cui compaiano i termini e l'espressione del rapporto commerciale anzidetta, ma il semplice fatto che in un piccolo centro della Calabria pre e postunitaria ci sia stato qualcuno che ne abbia fatto uso, rende giustizia all'errore linguistico che se ne fece in seguito e fino ai giorni nostri nell'associare le drude alle brigantesse.

La foto in alto, tratta dal'archivio fotografico del Novecento dell sito www.sanmarcoargentano.it, è una cartolina ritrovata tra le pagine di un libro di uno studente universitario degli anni Trenta

San Marco Argentano, 23.2.2024

Paolo Chiaselotti
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