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L'EPIFANIA DEI ... 'MOMMI


Premessa indispensabile.

Alcune storie che via via vengono in mente rimandano a Camilleri: al Camilleri dei racconti (della regina di Pomerania, di gran circo Taddei ecc.), non a quelli del commissario (esattamente come con il Simenon di Maigret e il Simenon della scomparsa del signor Monde o delle campane di Bicetre). Ecco perché alcuni di questi racconti che vado scrivendo sono sotto il titolo "camilleriana", una sorta di omaggio allo scrittore.


Allora come oggi 5 gennaio tarda sera vigilia di epifania a Torano ...
Intanto era una festa, se non la più "mangiona", certamente una delle più attese. E non solo per i bambni che ricevevano qualche dono, sempre povero ma sempre dono. Calze ripiene di cioccolate in forme di monete con la carta luccicante oro, caramelle, immancabile qualche arancia maltese quando riuscivano ad ottenerle. Fregandole il più delle volte nei rari agrumeti delle campagne più remote fin sotto Cavallerizzo. L'arancia maltese, o meglio "u purtugallo" o "purtugaddru", per i poveri più intraprendenti. Le altre arance erano quelle aspre, buone solo per le spremute.

Vigilia di epifania attesa dai bambini, poco piacevole per le mogli e le madri perché le attendeva la preparazione di una cena di tredici portate. Che dovevano essere rigorosamente tredici, anche simili ma diverse (baccalà fritto e baccalà al pomodoro, per esempio), una specie di assioma di "unità nella diversità".
Vigilia attesa dagli animali domestici che mangiavano doppia razione almeno.

Ma poi c'era il teatro. O meglio c'era la chiesa che si prestava per una sera a rappresentazione scenica. Con una dozzina di attori, un regista inossidabile e un discreto pubblico.

Lo spettacolo in chiesa succedeva due volte all'anno. All'epifania e al giovedi santo della rappresentazione dell'ultima cena. Ci si doveva accontentare di una scenografia essenziale. La capanna della natività era collocata sulla parte sinistra prospiciente l'altare, dei fili metallici, con qualcosa di scorrevole e luccicante, attaccati alla parte alta del perimetro del colonnato. Gli attori erano avventizi e arruolati per caso in piazza o volontari per l'occasione. Tanto non dovevano recitare, anzi nemmeno fiatare. Più stavano zitti più accontentavano il regista che poi era anche il protagonista principale, miglior regista miglior attore protagonista della sempre identica ma sempre improvvisata rappresentazione con identico copione.
C'erano i Magi che stavano in fondo e, partendo da un colonnato, giravano intorno al perimetro dello stesso, puntando in questa vaga ricerca verso l'altare. Guardavano il cielo alla ricerca della stella cometa che li avrebbe condotti alla grotta dov'era nato il figlio di Dio. Ma l'ordine e l'attenzione dei magi era disturbata e mal diretta dai ragazzotti che nella scenografia dovevano essere i pastori che cercano di aiutare i magi a trovare la strada e la stella. In questa opera di disturbo qualcuno dal pubblico aggiungeva il suo esilarante contributo. Capo missione dei magi nonché regista unico e autorevole della scena, Don Alfredo, che poi resterà epico nel ricordo popolare. Di tanto in tanto qualcuno faceva muovere, da dietro, i fili del colonnato in modo da far sembrare che luccicasse qualcosa. Don Alfredo, autorevole, diceva: "Non ancora" e continuava a girare. Insomma tutti aspettavano la comparsa della stella cometa, a stiddruzza.
Il bello veniva, e avveniva spesso se non sempre, quando qualcuno, spazientito da questi giri continui, cominciava a gridare: "A vi! (la vedi !)". Molti guardavano in alto e non vedevano niente. Don Alfredo si mostrava contrariato, ma continuava imperturbabile il giro.
Al quarto "A vi! " perdeva le staffe e rivolto al ragazzo-pastore rispondeva secco e roboante: "A vi a fissa 'i mammata! " Seguivano i vaffa e parolacce varie da ogni angolo della chiesa. Se poteva sedarle con qualche ramanzina lo spettacolo continuava, se no era Don Alfredo che faceva comparire lungo il filo, con un cenno a qualcuno che stava dietro le quinte, un qualcosa di luccicante che accortamente veniva tirato e fatto proseguire verso la capanna -ed era la stella cometa- e allora era lui, Don Alfredo -e nessun altro- autorizzato a gridare "A vi?" con l'indice rivolto verso l'alto. Poi tutti davanti alla capanna lasciavano i doni. Per vestirsi da re magi utilizzavano le coperte colorate che trovavano nei vecchi bauli di casa.

Cosí si svolgeva a Torano la festa dell'epifania, la più importante delle festività del Natale.

Era l'apogeo annuale della stiddruzza di Don Alfredo. Poi scorrevano fiumi di vino.

Il giorno dopo Don Alfredo riprendeva davanti alla posta i personaggi che la sera prima si erano resi più indisciplinati e mmommi come diceva lui -ma lo dicevano in molti- per indicare soggetti un po' fresconi.


Firenze, 5 gennaio 2021

Roberto Salerno

Nella foto in alto l'autore del racconto, dott. Roberto Salerno, nel corso di una conferenza (N.d.R.)

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