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SAN NICOLA TRAFUGATO. ![]() Ecco il contenuto del resoconto di Orderico Vitale. Un cantore del cenobio di Bari, tale Stefano, dato che il conte Fulco signore d'Angiò aveva costruito ad Angers un'abbazia in onore di San Nicola1, pensò di lasciare la Puglia e recarsi in Francia. Prima di andarsene, però, rubò la custodia d'argento contenente il braccio di San Nicola usata nelle cerimonie di benedizione, col proposito di donarla al cenobio di Angers. I baresi, constatato il trafugamento, spedirono immediatamente corrieri e uomini fidati lungo tutti i confini e sulle strade che portavano in Francia. Stefano, spaventato, cambiò itinerario e si andò a rifugiare a Venosa. Malato e senza risorse, decise di vendere il contenitore in argento. Intanto la voce del furto e della vendita del prezioso oggetto si era sparsa in tutto il meridione e, ovviamente, anche a Venosa, dove viveva un tale Eremberto che si presentò a casa di Stefano, assieme a monaci del locale convento, imponendogli con minacce di consegnargli le reliquie. Stefano impaurito per le conseguenze del suo gesto, consegnò a Eremberto le preziose ossa, che furono portate trionfalmente nel monastero dov'erano ad attenderli gli altri monaci e l'intera cittadinanza. Da allora San Nicola elargisce i suoi miracoli a tutti coloro che lo invocano. Eremberto, che era un prode cavaliere normanno, decise di farsi monaco. La storia di Orderico Vitale mi ha ricordato che anche a San Marco Argentano nel museo diocesano è conservato un braccio reliquario in argento contenente le 'braccia' di Sant'Ippolito e di Santa Dorotea. Un'iscrizione in latino a caratteri gotici, un tempo fissata alla base del reliquario, spiega il contenuto, il committente dell'opera e la data in cui fu fatta. Era il 20 marzo 1308. L'insieme, dato per disperso o trafugato, fu ritrovato da monsignor Vincenzo Ferraro, attuale direttore del Museo Diocesano, dove la preziosa opera è custodita. Chi volesse saperne di più troverà utili informazioni e immagini alla pagina "Il braccio dell'abate Tommaso" sul sito 'https://viamalvitana.com' curato dal signor Enrico Tassone. Qui voglio soffermarmi su alcune analogie che accomunano i due reliquari. Non mi riferisco soltanto ai contenitori in argento e alla loro forma e funzione, ma al fatto che entrambi, a distanza di otto secoli circa tra essi, rischiarono di essere trasferiti in Francia. Del primo, quello contenente alcune reliquie di San Nicola, non si ha più traccia della sua esistenza, mentre, del nostro contenente le 'braccia' di due santi, Sant'Ippolito e Santa Dorotea, siamo fortunatamente rimasti in possesso di reliquie e reliquario, grazie, giova ripeterlo, all'intuizione e all'attenzione del predetto direttore del Museo. Il fatto che un abate della Matina, poi vescovo di San Marco, volle donare le reliquie proprio di questi due santi, creando un apposito contenitore artistico che le custodisse entrambe, presuppone che vi fosse una particolare devozione o da parte del donatore 2 o da parte della Chiesa ricevente. Viene spontaneo chiedersi come l'abate Tommaso, priore dell'abbazia della Matina, ne sia venuto in possesso. Il sospetto che dietro le reliquie possano essersi verificati casi di indebite appropriazioni, ricettazioni, truffe o forme di sconsiderato collezionismo è legittimo. A leggere quanto sopra riportato nella cronaca di Orderico Vitale, ci si rende conto degli 'appetiti' che le reliquie risvegliavano anche nell'ambito delle stesse istituzioni religiose, al contrario dei reliquari che li contenevano, che pur usati per funzioni liturgiche, soddisfavano letteralmente l'appetito per fame, come attesta la vicenda di Stefano sopra narrata. Non me ne vogliano i fedeli, ma nel caso nostro credo che valga l'opposto: la preziosità storico-artistica del contenitore ha superato di gran lunga l'interesse per il suo contenuto. Credo che, a questo punto, l'intervento dell'antistorico sia indispensabile. E con questo proposito mi sono messo alla ricerca di quale devozione vi potesse essere mai stata a San Marco Argentano nei confronti di detti santi. Intanto, non esiste alcun toponimo che possa aiutarci in questa ricerca, ma nella Platea delle Clarisse troviamo che il barone Francesco Selvaggi, nel donare un censo annuo perpetuo al monastero, impose l'obbligo di "una messa cantata il giorno di S. Hippolito, 13 d'agosto, per l'anima del quondam Signor Pietro Antonio selvaggio suo Padre nella chiesa di S.Giovanni di S.Marco al presente trasportata nella chiesa di detto Monastero.". Nella ricerca di un motivo legato a tale devozione ho trovato, purtroppo, soltanto una conferma di essa nel nome Ippolita dato nel 1591 da Giovan Domenico Selvaggi ad una propria figlia, che sposerà un Catalani-Gonzaga. Tralascio il fatto che alcuni anni prima un'Ippolita Gonzaga denunciò l'uccisione del fratello Barranco, per mano del sopracitato Pietro Antonio, anche se non esluderei che il figlio Francesco possa suffragato la misericordia divina e il perdono della famiglia Gonzaga per la grave colpa del padre. Comunque sia, essendo il reliquario antecedente ai fatti citati, possiamo soltanto dire che il nome Ippolito e la devozione a tale santo sono documentati a San Marco dalla fine del XVI secolo. Per quanto riguarda Santa Dorotea la storia delle famiglie sammarchesi ci dice che anche tale nome, benché poco diffuso, fu registrato nella nostra città e, almeno in due casi (Candela e Selvaggi), assunto da monache clarisse in sostituzione del proprio nome di battesimo, segno che aveva una particolare valenza religiosa. Il fatto che la memoria terrena di due santi così diversi tra loro fosse conservata in un unico reliquario non deve meravigliare, in quanto, spesso, le custodie contenevano frammenti ossei di vari santi, inclusi anonimi. Tuttavia, il 'primato' del nostro prezioso braccio consiste nella presenza di un santo complesso e controverso, impegnato in una scismatica disputa teologica, unito nella spiritualità alla semplice figura di una vergine fruttifera di beni naturali. Per tornare alla funzione originaria per cui i vari bracci venivano creati, il nostro, in due diversi momenti dell'anno, il 9 febbraio e il 13 agosto, veniva sollevato per benedire i fedeli. Da un punto di vista artistico ignoriamo da quale bottega artigiana possa essere uscito questo lavoro su lamine lavorate a sbalzo, sagomate e fissate con bullette. La decorazione con racemi sulle tre fasce, che cingono il braccio al polso, a metà dell'arto e alla base, è di tradizione bizantina, mentre la porticina e il fermo nella parte sottostante potrebbero essere una soluzione successiva per consentire l'ispezione e la visione delle reliquie. I reliquari con le dita unite e il palmo completamente aperto, da quanto ho potuto vedere su Internet, sono piuttosto rari e, solitamente, erano utilizzati per benedire singoli fedeli o nelle cerimonie di consacrazione, sovrapponendoli sul capo o su altre parti del corpo in posizione orizzontale 3. San Marco Argentano, 22 aprile 2025 Paolo Chiaselotti
1 Orderico Vitale parla della fondazione di una città,
ma la città di Angers esisteva già, certamente si riferiva all'abbazia
di San Nicola.
2 Tommaso stando alla scritta che faceva parte del reliquario lo ordinò quando era ancora abate della Matina e, considerati i tempi di grande tumulto all'interno della Chiesa romana e il trasferimento del papato in Francia con l'elezione a pontefice di Clemente V, avrebbe potuto vedere nella figura di Sant'Ippolito (che fu antipapa) un precursore dei tempi, paragonandolo al nuovo pontefice. Il fatto che Tommaso nel 1321 fu nominato vescovo potrebbe avvalorare questa ipotesi. 3 Le braccia dei santi ... di Giulia Menato Foto in alto: braccio reliquario con le ossa dei santi Ippolito e Dorotea 1308 Museo Diocesano San Marco Argentano (Per gentile concessione di mons. Vincenzo Ferraro direttore del Museo) |
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