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LA PRIMA SCARPA? A SAN MARCO!. Quando dissi ad un nostro concittadino che non solo i suoi antenati fabbricavano scarpe fin dal XVIII secolo, ma che addirittura la prima scarpa è documentata nell'XI secolo proprio nella nostra città, dopo un sorriso di comprensibile orgoglio, esplose in una risata convinto che lo stessi prendendo per i fondelli, più che per le suole! Si sbagliava. Così sbaglierebbe chi arrivato a questo punto smettesse di leggere questa pagina. Fra le tante frottole che ogni giorno, impunemente, vengono ripetute per esaltare origini remote del nostro "borgo" magno-greco, bruzio, romano, bizantino, longobardo, arabo, normanno, quella che vi accingerete a leggere ha il pregio di essere stata narrata nientemeno che dal monaco Goffredo Malterra, che ormai tutti sanno essere vissuto nell'XI secolo e essere stato il principale narratore delle gesta di Roberto il Guiscardo e del fratello Guglielmo. La "frottola" di Goffredo Malaterra riguarda direttamente San Marco e il nostro mitico condottiero Roberto d'Altavilla. Essa non sarà mai più ripetuta in nessun altro capitolo della sua opera e, per quanto ne sappia, nessun altro scrittore di cose medievali scrisse o citò il capo di abbigliamento di cui potremmo a buona ragione fregiare lo stemma araldico municipale. La scarpa, sissignori, la scarpa, quella che infiliamo al piede per poter camminare a lungo e senza problemi, fu "inventata" qui, proprio qui, quando San Marco si chiamava ancora castrum Sancti Marci. Non fu un sammarchese ad indossarla per primo, ma se vogliamo davvero "calzare" la storia alle nostre esigenze, possiamo senz'altro vantare una primogenitura di calzatura adattata da un cronista medievale ai nostri piedi (con rispetto parlando). Il fatto che i scarpi 1 fossero state calzate da ... morti di fame non può esser taciuto, e neppure che fu la prima impresa eroica di cui possiamo vantarci. Pensate che io scherzi? o che dica 'minchiate'? giusto per citare il pensiero di coloro, che non avendo mai letto nulla, giudicano gli scritti altrui con la saccenteria dei re della foresta. Ognuno di voi può andarsi a leggere il capitolo XVI del I libro del "DE REBUS GESTIS ROGERII CALABRIAE ET SICILIAE COMITIS ET ROBERTI GUISCARDI DUCIS FRATRIS EIUS" del citato Goffredo Malaterra, per scoprire che non sto affatto scherzando. Il capitolo in questione dal titolo De Roberto Guiscardo, qualiter castrum Sancti Marci firmavit, et qualiter cum Sclavis peditibus praedatum ivit è interamente dedicato a San Marco, un onore, pur nell'apparente leggerezza dell'argomento, che il monaco benedettino non ha riservato a nessun altro, visto che entra nei problemi di vita quotidiana che anche un condottiero forte e astuto come Roberto si trovò a dover risolvere. Io non so cosa ne pensino gli storici, ma a me che sono un antistorico per partito preso, sapere che il futuro duca di Puglia e Calabria, abbia dovuto occuparsi, qui, seduto proprio qui, nel paese in cui io oggi vivo, di problemi di sopravvivenza e di come convincere un'accozzaglia di gente, per lo più delatori, mercenari senz'altro, pronti a tutto per denaro e bottino, a dimostrare di essere uomini e veri soldati, rischiando la vita per ... procurarsi il cibo! beh, pensatela come volete, ma quasi mi viene da piangere! Provate a mettervi nei panni di brutti ceffi che vi chiedono di pagare il conto al ristorante in cui li avete invitati. Come vi comportereste e che parole usereste,dovendo ammettere che non avete soldi e che il ristorante ha chiuso i battenti da almeno un anno? E invece che cosa riuscì a fare il Guiscardo? non solo convinse i brutti ceffi che per essere uomini veri bisognava saper affrontare di petto ogni avversità. "Quando mai si è visto un eroe morto di fame?!", disse loro punzecchiandoli nell'orgoglio, poi, nottetempo, decise di unirsi ai suoi sessanta Sclavos senza farsi risconoscere. I motivi di questo suo gesto potrebbero essere diversi. Malaterra dice che non si fidava troppo, nonostante nell'esortazione li avesse chiamati fedelissimi, ma può darsi che volesse farne da predoni cavalieri, come di fatto avvenne. Fatto sta, che la notte, dice il Malaterra, si veste come uno sclavo, con il loro semplice abito e con -qui sta il punto centrale della nostra storia ... calzaturiera- scarpis 1, ovvero un particolare tipo di calzatura che usavano indossare quegli uomini. Eh sì, le scarpe, quelle che ora tutti chiamiamo con questo nome e fanno parte nella nostra lingua nazionale, nacquero ... a San Marco, nell'appena fondato castrum Sancti Marci. Oh Dio, non che fossero state fabbricate qui da noi, però possiamo vantare un privilegio che nessun altro può citare: il primo e forse unico accostamento alla voce scarpa 1 è esclusivamente unito alla città di San Marco! Altro che Varese!! Il seguito della storia è stato narrato in altre pagine di questa stessa rubrica, ma a me interessa, arrivato a questo punto, invitarvi ad una riflessione che riguarda il modo con cui parlo di cose serie in tono scherzoso. Se lo facessi seriamente, qualcuno potrebbe pensare che io stia dicendo la verità, mentre agendo così faccio nascere il dubbio se quanto ho detto sia vero. La conseguenza è che così mi comporto da educatore, diversamente sarei un presuntuoso. San Marco Argentano, 23/1/2023 Paolo Chiaselotti 1 Poichè il Malaterra scriveva in latino, la parola che indica la calzatura è espressa al caso ablativo plurale "scarpis" (vili veste et scarpis, quibus pro calceariis utuntur) per indicare che si vestì con gli abiti poveri e con le scarpe che i mercenari usavano, diverse dai calceari normanni. Nell'esposizione del Malaterra il genere non è desumibile, per cui potrebbe trattarsi di voce maschile scarpus o femminile scarpa, ma credo che, a questo punto, la questione non ci riguardi! |
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