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PERCHÉ IL GUISCARDO SCELSE SAN MARCO? ![]() Una veduta di San Marco Argentano
Il monaco Goffredo Malaterra nella sua opera "DE REBUS GESTIS ROGERII CALABRIAE ET SICILIAE COMITIS
ET ROBERTI GUISCARDI DUCIS FRATRIS EIUS " dedica l'intero capitolo XVI all'arrivo di Roberto
il Guiscardo a San Marco e a vicende che riguardano la sua presenza nella nostra città.
L'autore spiega la causa che indusse il condottiero normanno a lasciare Scribla, un presidio nel territorio dell'attuale Spezzano Albanese, dove risiedeva con i suoi uomini, alcuni cavalieri e sessanta sclavi, fanti esploratori di origine slava da tempo presenti in Calabria. Vedendo che essi si ammalavano per i miasmi dovuti all'insalubrità del luogo, cercò un posto più salubre. La scelta di allontanarsi dalla base delle sue incursioni contro i Calabri per la sua nocività ambientale comportava per il Guiscardo una decisione immediata e non priva di rischi. Doveva decidere se allontanarsi da quel territorio e rinunciare alle sue azioni di 'conquista' o rimanere in zona, cercando un posto più favorevole. È lo stesso storico a spiegare il problema a cui Roberto stava andando incontro. Dice, infatti, Goffredo Malaterra che Roberto, invece di fare marcia indietro, si inoltrò maggiormente, comportandosi non come il codardo che cerca di evitare il nemico, ma quasi andandogli incontro, si spostò verso quello che era più vicino ed eresse un accampamento detto di San Marco. Dal racconto del Malaterra emerge un aspetto che potrebbe dar luogo a interpretazioni diverse. La prima, ad esempio, potrebbe essere la seguente: Roberto volutamente si spinse in un territorio 'nemico' e vi piantò il suo accampamento? Oppure dobbiamo interpretare le parole dello storico come un avanzamento in un territorio che poteva essergli ostile, piuttosto che ritirarsi in un altro più sicuro? Come lo stesso storico afferma nel seguito del capitolo, Roberto non conosceva il territorio, che era invece ben noto ai suoi esploratori sclavi, per cui la sua avanzata verso 'il nemico', va interpretata come un atto di coraggio in una terra nemica, ma non verso un nemico specifico. A conferma di ciò c'è l'espressione usata da Malaterra che chiarisce questo aspetto. Dice infatti lo storico: "quasi in hostem iens, in viciniorem se conferens" seguito immediatamente dall'informazione che vi si accampò. Quel quasi toglie dalla scena la presenza di un reale nemico, mentre il seguito della frase esalta l'azione coraggiosa del Guiscardo per essersi accampato in quei luoghi. E qui sorge un dubbio: è impossibile che egli ignorasse che il territorio ricadeva sotto la giurisdizione del vescovo di Malvito ed è altrettanto strano che Malaterra non ne parli. Devo dedurne che il suo arrivo destò allarme, ma nessuna reazione, tanto da sollevare il sospetto che il suo insediamento possa essere stato in qualche modo accettato se non addirittura concordato con il vescovo di Malvito. La narrazione di Goffredo Malaterra è fatta in maniera da collegare la causa dell'abbandono di Scribla per l'ammalarsi dei suoi uomini con la ricerca di un luogo più salubre, ma nello stesso tempo evidenzia la volontà di continuare le incursioni, spostandosi in un luogo più vicino e piantandovi l'accampamento. Da un punto di vista letterario-sintattico tutte le proposizioni utilizzate dallo storico per spiegare la partenza da Scribla e l'arrivo a San Marco sono racchiuse in un unico periodo privo di punti di interruzione, che si legge in un sol fiato. Esso contiene tutto: localizzazione della dimora, azioni militari in essere, constatazione delle cause ambientali della spossatezza dei suoi uomini, ricerca di un luogo salubre, equiparazione dell'allontanamento ad un atto di viltà, decisione di non arretrare e di spingersi più avanti, ricerca di un avamposto in territorio presumibilmente nemico, individuazione dell'avamposto, decisione di accamparsi sul luogo.1 Da un punto di vista strategico la scelta di una roccaforte naturale rispondeva al duplice scopo del Guiscardo di un presidio ubicato in un luogo salubre, da dove poter continuare in sicurezza la sottomissione dei Calabresi. L'erezione di un castrum non apparve, però, agli abitanti del territorio, ovvero tutti quelli dei dintorni (circumanentes), come la scelta di una dimora, bensì come un'azione militare, un atto in ogni caso ostile. Non ci fu nessun nemico armato ad attenderlo, ma neppure i residenti rimasero nelle loro dimore preferendo fuggire con le loro derrate alimentari nel timore di essere derubati. Dove fuggirono? Malaterra dice che andarono a rifugiarsi nei castra più vicini, senza che i nuovi occupanti tentassero di assediarli. Roberto e i suoi si accamparono o, come interpreta qualcuno, costruirono una fortezza? Poiché lo storico, immediatamente dopo aver parlato dell'erezione del castrum, aggiunge che, dopo averlo impiantato (firmato castro), il dapifer, l'addetto alle vettovaglie, riferisce che il cibo è completamente finito, è impossibile pensare a chissà quale castrum, se non ad un accampamento che tenne impegnati gli uomini del Guiscardo al massimo per qualche giorno, giusto il tempo per rendersi conto che non c'era possibilità alcuna di trovare rifornimenti alimentari. Il fatto che, a seguito di questa amara constatazione, il Guiscardo non abbia assalito i castra in cui si erano rifugiati gli abitanti del circondario con le loro scorte alimentari, ma abbia preferito dare ascolto ai suoi sclavi di attaccare uno sperduto villaggio tra i monti, raggiungibile attraverso un percorso accidentato e rischioso, conferma il mio dubbio di un possibile accordo con Malvito per la permanenza dei normanni sul posto.
1 Robertus vero Guiscardus, cum apud Scriblam moraretur, Calabros fortiter impugnans, cum videret suos propter
infirmitatem loci et aeris diversitatem languescere, saniorem locum expetens, non quidem ut timidus hostes devitando
retrorsum vadens, longius recepit. Sed potius, quasi in hostem iens, in viciniorem se conferens, castrum,
quod Sancti Marci dicitur, firmavit.
San Marco Argentano, 10 marzo 2025
Paolo Chiaselotti |
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