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L'ANTISTORIA

PRATO MARCO


Claude Lorraine (1676), Giacobbe, Labano e le sue figlie

Claude Lorraine (1676), Giacobbe, Labano e le sue figlie

Credo che molti tra i sammarchesi interessati e impegnati a scoprire le origini della propria città, tra i quali mi colloco indegnamente anch'io, non abbiano prestato sufficiente attenzione ad un "prato Marco" citato da Goffredo Malaterra nella sua opera "DE REBUS GESTIS ROGERII CALABRIAE ET SICILIAE COMITIS ET ROBERTI GUISCARDI DUCIS FRATRIS EIUS".
È comprensibile, poiché noi cultori delle frivolezze storiche locali, tra i quali mi permetto di vantare indiscutibili primati, ci soffermiamo maggiormente (per non dire quasi esclusivamente) su ciò che ci interessa più da vicino, ovvero il Guiscardo e il castrum Sancti Marci. Tutto il resto della 'storia' è una 'rottura di palle'. L'espressione volgare è mia e mi scuso con i lettori, ma ci tengo a spiegare perché ho voluto usarla.
Avendo assunto con me stesso l'impegno di narrare l'inedito e il futile, andandoli a scovare tra le pieghe delle cronache del tempo, sono costretto a leggermi pagine intere di vicende che non ci riguardano, nella speranza di trovare un qualche minimo riferimento ad un luogo, ad un personaggio, ad un evento collegabili a San Marco.
In questa quasi quotidiana ed incessante attività mi è capitato di imbattermi oggi in un prato Marco che ha destato immediatamente la mia attenzione. Ho dato una rapidissima lettura al capitolo in cui era inserito (il XXVI del libro IV) e giunto alla fine ho sperato tanto che la conclusione di esso ci riguardasse più ancora dello stesso prato. Perché?
A conclusione del capitolo ho letto la seguente frase: "Ibi se impregnavit comitissa Adelasia de comite Rogerio."
Ora, ditemi voi, se la notizia che la contessa Adelasia si fosse fatta 'imprenare' dal conte Ruggero avesse riguardato la nostra città, quali e quanti spunti storici avremmo potuto trovare a beneficio dei visitatori della torre!!
Purtroppo, una lettura più ponderata, ha dissolto quelle visioni piccanti di prati, pecore e montoni che avrebbero potuto fare da cornice ad un finale travolgente.
E invece ...
Leggo e rileggo quel dannato capitolo e non vi trovo nulla che possa riportarmi ad una qualche vicenda nostrana, tranne il prato Marco, che ignoro da dove il Malaterra lo abbia tirato fuori e a quale località o luogo possa riferirsi.
Non posso escludere che in Calabria esista un prato chiamato Marco, ma è certo che nel territorio di San Marco esiste una località chiamata Prato. Per quante ricerche abbia fatto in rete non ne ho trovato altre con questo nome.
Il Malaterra dice che in quella località, nell'anno 1098, il conte Ruggero (fratello del Guiscardo) sostò per un bel po' di tempo, in attesa del poderoso esercito che ritardava il suo arrivo a causa dell'attraversamento dello Stretto e dei passaggi angusti lungo le montagne. Dove era diretto? In aiuto del nipote Riccardo, principe di Aversa, intenzionato a riprendersi Capua, che una proditoria sollevazione dei suoi abitanti gli aveva sottratta.
Non abbiamo riferimenti geografici che possano aiutarci a stabilire la posizione del luogo sopradetto, ma il Malaterra parla di un numero incalcolabile di uomini e di tende. Poiché in altre parti delle 'Gesta' l'autore dimostra di conoscere bene i nomi delle località in cui si svolsero i vari eventi e in particolare luoghi abbastanza vasti da poter accogliere eserciti accampati, il fatto che in questa occasione abbia specificato un luogo chiamato prato Marco non può ritenersi una qualsiasi pianura prossima a San Marco, ma una particolare zona che sappiamo esistere ed essere stata oggetto di donazione da parte del Guiscardo all'abbazia della Matina, cioè la contrada Prato. In un documento del 1065, infatti, e in altri successivi, Prato risulta essere un vicus in territorio di San Marco, per cui quel prato Marco assume grande importanza ai fini della conoscenza dei percorsi viari che attraversavano la Calabria e in modo particolare di quelli che consentivano il transito di eserciti, incluse le aree per il loro acquartieramento.
Se l'accampamento, che per quanto sopradetto, doveva essere di dimensioni notevoli, fosse stato posto nei pressi di Tarsia, come era avvenuto in occasione delle vicende riguardanti il conflitto tra il gran Conte Ruggero, accorso in aiuto di Ruggero Borsa contro Guglielmo di Grantmesnil, il Malaterra lo avrebbe senz'altro detto, aggiungendo, come fece in quel caso, che esso si trovava sotto il castrum di Tarsia, 'lungo il fiume Fullone che proviene da San Marco'.
Nel caso in questione, invece, non accenna al fiume, non accenna a Tarsia, ma unicamente ad un prato accostato senza possibilità di equivoci al nome proprio Marco, quindi ad un luogo che sappiamo essere esteso, collinare e non nella pianura del Fullone.
Ora, poiché da parte di un giovane studioso del luogo, il dott. Enrico Tassone, è stata avanzata l'ipotesi dell'esistenza di una strada pedemontana chiamata malvitana, il fatto che un insieme di uomini e di tende, talmente vasto da non potersi contare, non si sia castrametato nella vasta area del Crati, che per alcuni studiosi continuava a mantenere l'antico percorso stradale della via Popilia, bensì in una zona molto più interna e più prossima a Roggiano, può significare una cosa sola. Lascio, però, a chi ha avanzato la sua encomiabile intuizione ogni altra considerazione su quanto ho ricavato da una fortuita lettura, forse erroneamente interpretata, sperando soltanto che non esista alcun prato Marco in altre parti della Calabria.
Aggiungo solo una considerazione su questo insolito e ignorato toponimo, ovvero la possibilità che esistesse nel momento in cui Roberto il Guiscardo, lasciata Scribla, si spostò a San Marco, il che spiegherebbe il motivo della denominazione del suo presidio, non attribuibile a motivi devozionali, ma all'esistenza di un vicino vicus che aveva tale nome.

C'è un altro argomento che ritengo di un certo interesse nel paragrafo riguardante prato Marco e che non può essere assolutamente sottovalutato in quanto esso rappresenta la parte centrale dell'esposizione che il Malaterra fa a proposito della sosta in quel luogo. Egli dice che sui monti della Calabria, vedendo armenti e greggi di pecore, ma anche di capre, sottratti ad uso dei Saraceni, gran parte dei quali facevan parte dell'esercito, giustamente, per analogia, ti potrebbe venire alla mente, o avendolo letto o avendolo appreso da altri, il gregge di Labano e Giacobbe.
Non ho le competenze per spiegare il parallelo tra i Saraceni con le loro bestie e Giacobbe pastore al servizio di Labano; so soltanto che si tratta di un passo della Genesi, ma il fatto che Malaterra lo abbia evidenziato come conseguenza della sosta a prato Marco mi fa venire a mente, per analogia, il territorio che si estende ai piedi del massiccio del Pollino, i pascoli montani e in particolare il nome di un antico borgo: Saracena!


San Marco Argentano, 12 novembre 2023

Paolo Chiaselotti

NOTE:
Riccardo, principe di Aversa, era figlio di Giordano, figlio illegittimo del conte Ruggero

Questo è il testo del capitolo che ci riguarda:
Sed in prato Marco aliquantisper commoratus, exercitum, maris transmeatione et arto scopulosorum montium transitu tardantem, dum veniat, sustinet, videns super iuga montium Calabriae greges armentorum et pecorum, sed et caprarum, in usus Saracenorum, quorum maxima pars exercitui intererat, occupari, ut merito, a collatione similis argumenti, gregum Laban et Iacob, si legisses, vel certe, aliquo referente, didicisses, recordari potuisses

Il Malaterra, nel parallelo tra le greggi dei Saraceni e quelle di Labano e Giacobbe, si rivolge al lettore facendolo diventare il soggetto dell'accostamento per analogia, ma il soggetto reale è il gran conte Ruggero che attende e osserva i monti intorno. L'espediente, sempre che abbia ben interpretato il testo latino, credo sia dovuto al fatto che sarebbe stato inverosimile che il Malaterra fosse addirittura a conoscenza dei pensieri del protagonista. La narrazione in tal modo risulta completa di luoghi, fatti e protagonisti, inseriti non in una banale descrizione di luoghi che non avrebbe avuto alcun senso, ma nel contesto dell'esaltazione di un grande condottiero che compie uno dei suoi ultimi viaggi e al suo rientro vittorioso sarà acclamato e desiderato. Credo che, se il prato Marco ci riguarda, il Malaterra ci abbia regalato, con questa sosta, una delle pagine più apprezzabili dell'intera sua opera.

Nel paragrafo seguente Malaterra spiega quanto fosse grande l'esercito:
Congregato exercitu, quis armatorum millia numerare potuisset, cum ipsa tentoria, bitumine palliata, vis ullo numero concludi potuerunt? Tam pomposo plus solito exercitu comes apulos fines visum intendit ...

La mia indecente e provocatoria introduzione all'argomento di oggi trae spunto dalla chiusura del capitolo XXVI con la notizia inaspettata della principessa Adelasia del Vasto che si fa ingravidare dal conte Ruggiero nella città in cui l'ormai anziano e piagato conte era rientrato tra l'ammirazione generale. Ora ditemi voi se ho ben interpretato il pensiero del Malaterra con la mia indecente presentazione ... "comite provectioris aetatis et corporis plagarum laborumque asperitatis viro vigilantiore existente. Nam et ab omni exercitu eius vigilantia admirationi erat, omnesque eius exemplo vigilantiores reddebantur, anno Dominicae incarnationis MXCVIII. Ibi se impregnavit comitissa Adelasia de comite Rogerio. "

Forse mi sono spinto oltre il lecito, ma ad un antistorico il massimo che può capitargli è di trovare una puntuale conferma al suo appellativo, con l'aggravante di avvalersi impropriamente del latino. Poco male: confido sempre in chi ne sa più di me.


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