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L'ANTISTORIA



ROBERTO IL GUISCARDO: IL FINTO FUNERALE


Morto L'episodio di oggi, narrato da Gugliemo di Puglia nel secondo libro delle Gesta Roberti Wiscardi, rientra tra gli stratagemmi più noti messi in atto dal nostro Marque Normand. Esso, assieme al rapimento di Pietro di Tira, è l'argomento per il quale i turisti in visita alla torre di San Marco Argentano mostrano maggiore curiosità e attenzione, oltre ovviamente al camminamento sotterraneo attraverso il quale si sarebbe raggiunta l'abbazia della Matina.
Guglielmo di Puglia non dice in quale luogo si sia svolta l'azione, ma da quando ero fanciullo mi fu sempre raccontato che si trattasse della vicina Malvito, per cui non avendo io trovato alcun copyright della location, affermo che il Guiscardo elaborò qui a San Marco il suo piano di attacco a Malvito!1

Dunque, dice Guglielmo che dopo una cena finita in rissa col fratello Umfredo, alla cui spada scampò per mano del figlio di questi, Gocelino, finì buttato in una segreta e quindi in strada. Non è una novità, come pure il seguito delle sue incursioni a danno dei Calabresi. Fatto sta che con questa brutta fama, nessuno lo voleva come vicino, figuriamoci se lo avrebbero fatto entrare in una città. Anche i monaci, tutti bizantini, non ne volevano sapere di accogliere forestieri, anche se di fede cristiana.

Ecco, allora, che a Roberto gli si accende provvida l'idea malvagia, come la lampadina dei fumetti (utile figmentum versutus advenit), cioè affidarsi ad un morto!

Roba da matti, ma da dove gli venivano queste idee così stravaganti?! Semplice come l'uovo di colombo. Se un forestiero vivo non può entrare in città, chi può entrarvi? Un morto! È lo stesso Guglielmo a dirlo con un'espressione beffarda: quos fallere vivi non poterant homines, defuncti fictio fallit.

E allora ecco che viene organizzato un finto funerale con tanto di cadavere ricoperto da un telo cerato com'era nell'uso normanno, collocato in una bara sul fondo della quale vengono nascoste delle armi. Il cadavere, essendo finto il funerale, è ovviamente un uomo nel pieno delle sue forze, che viene portato fino alla soglia del monastero. Improvvisamente, quello che appariva un normale funerale, si trasforma in un'invasione a mano armata. I contadini presi alla sprovvista non oppongono resistenza e, non sapendo dove fuggire, vengono tutti catturati.

E bravo, Roberto, ti sei fatto la prima casa! dico io, mentre Guglielmo, prendendosi un'inaspettata confidenza con il nostro duca, ci va più pesante: illic praesidium castri primum, Roberte, locasti.

Pesante anche per noi sammarchesi, però, perché fa nascere un problema grande più di una casa. Se lì, dove sorgeva un monastero, nacque il primo presidio del castrum, mi sorge il dubbio che non possa trattarsi di Malvito, roccaforte ben presidiata con un vescovo a cui Roberto pagò diritti sulla Matina.
C'è di più. Guglielmo di Puglia riferisce che Roberto non modificò nulla in quel monastero, dove rimasero gli stessi monaci greci che lo possedevano e , valoroso e avveduto com'era, prese a benvolere, più dei suoi stessi uomini, i molti reclutati nel castrum. Eletto conte in quella regione, fu appoggiato da alcuni cavalieri di nome Torsteno, Arenga e Ruggero, un abile stratega, ai quali concesse le piazzaforti del territorio.

Poiché la questione riguarda la Storia non me ne occupo, mentre mi chiedo da antistorico se la storia del morto sia proprio vera. Anche perché essa circolava ai tempi dei Vichinghi ed era attribuita ad un tale Alstignus, pagano, protagonista di una Historia Normannorum scritta da Dudone di San Quintino agli inizi dell'XI secolo. Il racconto che ne fa l'autore, in latino, è ricco di particolari, ad iniziare da una finta malattia, che si trasforma in una finta conversione, quindi in una finta morte e infine in un finto funerale che consentirà ad Alstignus e ai suoi uomini di sottomettere dei cristiani in Francia. Vorrei tanto scendere nei particolari che vi assicuro sono veramente sorprendenti, ma oscurerebbero la figura del nostro duca che voglio far rimanere, per il momento, l'unico protagonista dell'antistoria.

Ad una prossima puntata.


San Marco Argentano, 19 aprile 2019

Paolo Chiaselotti

1 Chiunque venga a San Marco Argentano avrà la sensazione di vivere, più che altrove, la presenza del duca. Gli abitanti, niente affatto astuti, godono fama da tempo immemorabile di gente talmente ospitale, da dare l'onorifico titolo di don al forestiero che si appresta a farvi ingresso. E l'ingresso al borgo normanno viene fatto coincidere con la Matina, ove sorge l'antica abbazia benedettina. Una volta raggiunta la rocca ci si imbatte nel duomo e nella sede vescovile, considerata da sempre e da tutti la prima dimora del Guiscardo, dove Alberada partorì Boemondo. Appena giunti in piazza il palazzo, fino al settecento, detto della corte ducale e la chiesa degli Amalfitani, sede della potente congrega dell'Immacolata, oggi museo diocesano. Infine, sulla sommità della collina, la torre, maestosa e tetra al suo interno. Si dice, e pare sia vero, che, a lustri, il Guiscardo torni in primavera a prender possesso della sua antica dimora, o vi mandi una delle sue donne a governarla.


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