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ENTRATA DEL GUISCARDO A SAN MARCO. Roberto d'Altavilla, detto in seguito il Guiscardo, "entrò a San Marco". Non bussò alla porta, sapendo benissimo che non l'avrebbero fatto entrare, ma neppure assediò gli abitanti. Fece qualcosa che era nella sua indole innata: giocò d'astuzia. Pur consapevole del rischio di essere sebastianizzato per le frecciate che mi sto attirando, tuttavia voglio illudermi che le prove che porterò a sostegno della mia tesi siano dirimenti di un dubbio che da anni attraversa la nostra comunità: esisteva la città di San Marco prima dell'arrivo del Guiscardo? Ho 'scoperto' che Roberto d'Altavilla entrò a San Marco. Da dove l'ho appreso? Leggendo il passo di uno storico dell'epoca al quale Ruggero Borsa, figlio di Roberto, aveva commissionato una storia sul proprio genitore. L'autore si chiama Guglielmo di Puglia, l'opera, un poema in latino, narra le "Gesta Roberti Wiscardi", che potete trovare in rete al seguente indirizzo: https://www.thelatinlibrary.com/williamapulia.html. Guglielmo di Puglia parla dell'intenzione di Roberto di prendere un castrum o urbem (usa entrambi i termini latini) e della difficoltà di accedervi per la presenza di numerosi vicini, inclusi monaci greci, che non permettevano a nessun forestiero di entrare. Roberto ricorre allora all'espediente del funerale, infilando nel feretro, coperto da un telo cerato secondo l'uso normanno, un suo uomo con delle spade, seguito dal corteo funebre. Giunti al limitare del monastero per la sepoltura, gli uomini del Guiscardo prendono le armi e tutti i coloni che vi lavoravano, colti di sorpresa, non potendo nè difendersi, nè fuggire, vengono fatti prigionieri. A questo punto Guglielmo di Puglia si rivolge al Guiscardo come se gli parlasse in forma diretta, dicendogli: " Là, o Roberto, ponesti il primo presidio del tuo castro (Illic praesidium castri primum, Roberte, locasti)". Dopo di che spiega che nessuno stravolgimento fu apportato al monastero e che i monaci greci restarono dove si trovavano. Si vuole che il luogo fosse Malvito, ma non risulta da nessun documento che il Guiscardo abbia posto il suo castro a Malvito. Si potrebbe ipotizzare l'esistenza di un convento greco in località Prato o un monastero ai piedi di San Marco o addirittura sull'altura dove Malaterra dice che Roberto castrum firmavit. Il guaio è che la storia del finto funerale circolava da tempo in ambito normanno e prima ancora nelle saghe nordiche, per non parlare di Boemondo che, stando al racconto di Anna Comnena, pare fosse scampato alla morte con un espediente simile. Gli storici, quindi, sollevano dubbi sulla veridicità dell'episodio. Tuttavia l'affermazione che l'autore delle Gesta rivolge al suo eroe: il primo presidio del tuo castro, non si basa sul modo in cui l'azione fu compiuta, bensì sulla conquista territoriale e sulla destinazione futura di tale conquista: la creazione di un castrum. Per quanto riguarda il non ricorso alla violenza, ma ad uno stratagemma, il motivo non consiste nella pericolosità dei suoi abitanti, bensì nel fatto che i Normanni non sarebbero potuti entrare in quanto forestieri e ad impedire loro il passaggio sarebbero stati dei monaci greci, non considerati affatto nemici. Prova ne sia che anche il signore di Bisignano è considerato 'amico' dal Guiscardo, che lo rapirà con la scusa di voler essere 'adottato' come un figlio. Veniamo ora al luogo dove si trovavano il monastero e il territorio che il Guiscardo occuperà. È possibile che si tratti della nostra città? È possibile. Non dobbiamo, però, tener conto dei luoghi da sempre ritenuti strategici, come la Motta, la sottostante cattedrale o la torre, ma dobbiamo escluderli, in quanto inesistenti, dal 'futuro castro' di cui parla Guglielmo di Puglia. A questo punto abbiamo un monastero e un certo numero di coloni colti di soprpresa. Gli uomini in armi impediscono ogni sorta di reazione e l'ingresso è aperto agli altri soldati. Questo è ciò che ci viene narrato. Ciò che non ci viene narrato lo sappiamo dal Malaterra, compreso il nome del luogo: San Marco. Si tratta di un toponimo, come i tanti che incontreremo nelle Carte Latine, derivato dalla presenza di un monastero o di una chiesa o di qualsiasi altro riferimento religioso, non escluso quello che ricordava il passaggio di Marco, vero o leggendario che fosse. Ancora oggi, usiamo i toponimi al posto dei nomi delle strade: Riforma, Sacramento, Santopoli, Santa Maria, Sant'Antonio, Santo Marco ecc. E i monaci greci avevano nei confronti di Marco molto di più di una semplice venerazione. Il toponimo San Marco, tuttavia, mi ricorda il luogo in cui oggi si trova la chiesa di San Marco Evangelista. Perché dico questo? Perché la storia di questa chiesa è abbastanza controversa, ad iniziare dalla sua collocazione fuori le mura, da una datazione incerta e dal fatto che fino all'Ottocento esisteva una strada che partendo dalla fontana di Santo Marco arrivava a valle del Comune. Ci sono anche altri indizi circa una possibile origine bizantina della chiesa, la pianta centrale, una sua antica denominazione dell'Epifania, che per le chiese orientali coincide con il battesimo di Gesù. In aggiunta a tutto ciò ho trovato nella Platea delle Clarisse che il convento era tenuto ancora nel 1632 al pagamento di un censo alla Badia di San Marco, oltre quello dovuto alla Matina. Insomma, l'ipotesi che un monastero potesse esistere presso l'attuale chiesa di San Marco o che San Marco fosse il nome con cui veniva indicato il monastero e/o il luogo in cui esso sorgeva non mi pare infondata, e non contrasterebbe con l'affermazione del Malaterra, di un castrum quod dicitur Sancti Marci. Anche volendo attribuire allo stesso Guiscardo in considerazione di una sua presunta devozione, testimoniata dal nome dato al suo primo figlio e successivamente ad altra città della Sicilia, l'apposizione del nome al castrum, essa non contrasta con la presenza di un luogo religioso dedicato all'Evangelista. Ritornando al poema epico di Guglielmo, i versi successivi riguardano: la formazione in loco di un contingente armato, l'accresciuta fiducia dei suoi uomini, la 'nomina' a conte di quella regione, la premiazione di tre suoi fidi, Torsteno, Arenga, Rogerus, ai quali assegna città ricadenti nelle terre a lui a suo tempo concesse. Da ciò desumo che quella semplice allocuzione: qui, o Roberto, ponesti il primo presidio del tuo castro, dice molto di più di uno stratagemma fine a se stesso. Dice che Roberto aveva posto le basi del suo insediamento. A San Marco. Altrimenti dove? San Marco Argentano, 1/2/2023 Paolo Chiaselotti 1 Nota
Se a qualcuno sorgesse il dubbio che esistesse una città, castrum, castello o borgo,
Guglielmo non avrebbe detto "in quel luogo collocasti il primo presidio del castro". Inoltre
non sarebbe bastato catturare i coloni a servizio dei monaci, ma bisognava sottomettere tutti
gli abitanti (cives o milites o entrambi) con la forza delle armi o col terrore. Non solo
Gugliemo non ne parla, anzi dice che i monaci continuarono la loro vita di sempre, ma messun cronista
riferisce un evento di questa portata che, nel caso avesse riguardato una città, non sarebbe
stato sottaciuto. Ancor più esplicito è nella premessa all'inganno: Qui cum discedens
huc praedabundus et illuc non aliquod castrum posset captare vel urbem, arte locum quendam
molitur adire;, cioè scendendo, ora depredando ora cercando di impossessarsi di un castro o di
una città, decide di entrare in un luogo con l'inganno. Chi sono i vicini di questo luogo?
grex habitans etiam monasticus, abitanti greci e per giunta monaci.
I seguenti versi di Guglielmo escludono che nell'area occupata vi fossero tracce o rovine di un precedente insediamento ove potersi rifugiare o dove potessero trovarsi altre persone: Evaginatis comitantes ensibus illumPur avendo qualche perplessità sulla correttezza linguistica di un accusativo (illum, forse illuc! cioè là, in quel posto), tuttavia il significato che ne traggo mi pare abbastanza chiaro: "gli uomini del corteo, estratte le spade, assalirono i coloni del luogo ingannati dalla finzione. Che cosa fecero gli sciocchi? Non potendo difendersi, né dove fuggire, vengono tutti catturati." La voce "colonos" non credo lasci alcun dubbio sulla dipendenza servile di essi dal monastero greco. |
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