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ROBERTO IL GUISCARDO: L'ATROCE VENDETTA Il fatto è narrato da Guglielmo di Puglia nel libro terzo delle GESTA ROBERTI WISCARDI. L'episodio avvenne nel contesto delle dispute tra Roberto e il nipote Abagelardo (o Abelardo), figlio del defunto fratello Umfredo. Nella lunga esposizione in versi delle lotte per il possesso dei territori della Puglia e della Campania, lo scrittore inserisce questa notizia: hic Gradilo privatur lumine captus, testibus exuitur. In parole povere avviene che un tal Gradilone, catturato, è privato della vista e dei coglioni. Forse qualche lettore si scandalizzerà per la volgarità del termine da me usato, ma la mia chiarezza vuole togliere ogni dubbio che possa trattarsi di testimoni oculari!1 Ciò chiarito, vediamo come il narratore inserisce l'evento nel racconto di una spedizione contro la città di Salerno e di una deviazione verso la città di Ascoli che si era ribellata. Secondo il racconto di Guglielmo di Puglia vari conti si erano uniti ad Abagelardo nella guerra contro Roberto il Guiscardo e tra questi vi erano un tal Gradilone (altrove detto Guidilone) e un certo Balduino: il primo aveva sposato una sorella di Abagelardo, del secondo sappiamo solo che sapeva farsi valere colla lingua e con le armi. Fatto sta che entrambi furono sconfitti dal duca, ma mentre il primo fu accecato e castrato, il secondo non subì alcuna mutilazione, ma fu soltanto fatto prigioniero, colpevoli entrambi di aver dato appoggio ad Abagelardo. Perchè tanta crudeltà? La mutilazione degli avversari rientrava tra gli atti normalmente eseguiti. Lo stesso Guglielmo in un altro passo del racconto riferisce huic manus, illi pes erat abscisus; hunc naso, testibus illum privat; dentibus hos, deformat et auribus illos, la cui traduzione è superflua considerato che ognuno può facilmente individuare le parti anatomiche mutilate. Anche Goffredo Malaterra, come abbiamo visto in una precedente puntata dell'antistoria, riferisce come i fratelli Ruggero e Roberto abbiano accecato Gualtiero catturato nel castrum Guillimacum. Lo stesso autore al capitolo XXXVI del Libro III narra l'accecatura di ben dodici persone da parte del conte Ruggero, fratello del Guiscardo, colpevoli di aver tramato contro di lui assieme al proprio figlio Giordano nesciente filio, duodecim priores huius erroris unum post alium sibi arcessens, oculos privari fecit. Insomma togliere qualche appendice o cavare gli occhi non era così infrequente a quei tempi e nel caso in questione, quello riguardante la vendetta compiuta sul povero Gradilone da Roberto, non escluderei che l'efferatezza sia stata commessa proprio perchè la vittima aveva sposato una sorella dell'odiato nipote. Chissà che il proverbio Parenti Serpenti non nacque proprio allora? E per concludere ... in bellezza, sempre restando nella cerchia parentale del Guiscardo, ecco cosa fece il fratello di Sichelgaita, Gisulfo, ad un povero prigioniero, noto, al pari della sua famiglia, per bontà e generosità. L'episodio è narrato da Amato di Montecassino e riguarda la richiesta di riscatto (il cognato Roberto il Guiscardo aveva fatto scuola!) di un nobile di Amalfi, tale Mauro di Mauro, tenuto prigioniero da Gisulfo in un sotterraneo privo di luce. Gisulfo chiese trentamila bisanzi alla famiglia per la sua liberazione, ma i fratelli ne possedevano solo mille. Si mise di mezzo finanche l'imperatrice Agnese, che aveva fama di donna sommamente cristiana e pia, benefattrice verso la Chiesa, i prigionieri e i poveri. Giunta a Salerno si gettò ai piedi del principe Gisulfo, promettendogli di pagare cento libbre d'oro e di farsi tagliare un dito a garanzia del pagamento per la liberazione di detto Mauro. Anche l'intero collegio di San Benedetto si diede da fare per la sua liberazione. L'imperatrice fu umiliata dal Principe, e del tutto inutili furono le sue preghiere rivolte al tiranno. Costui che non temeva nè il giudizio divino, né l'umano disprezzo, dapprima fece cavare al prigioniero l'occhio destro, poi gli fece tagliare un dito al giorno sia delle mani che dei piedi. Lo sventurato nutrito a malapena, il corpo ridotto ad una larva, fu fatto immergere, era inverno, nell'acqua ghiacciata. Dopo tanto martirio, fu annegato in mare e raggiunse Nostro Signore Gesù Cristo. Quando si dice che si stava meglio quando si stava peggio si dice una sacrosanta verità. Peccato ,però, che nessuno se ne fosse accorto. Ad una prossima puntata. San Marco Argentano, 23 marzo 2019 Paolo Chiaselotti 1 I due piccoli testimoni, appunto i testicoli, erano così detti dal latino testis, che indicava il testimone, il martire (testimone della fede) e il testicolo (testiculus diminuitivo di testis). Perchè fossero così chiamati appare chiaro dalla loro assistenza passiva. Da questo potremmo trarre spunto per una amabile discussione sull'altro termine volgare da me usato, che derivando dal greco Koleos, riguarda impropriamente il sacchettino, o vagina (!), che contiene i suddetti. Quanto sopra per restituire, almeno al linguaggio, la sua originaria appartenenza e nel contempo per appianare quel comprensibile aggrizzo dei portatori delle suddette testimonianze. |
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