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L'ANTISTORIA

MELAZ E MARCO BOEMONDO (4° episodio)

Nella precedente puntata Melaz suggerisce a Boemondo come costringere il padre e i suoi consiglieri, dopo averli fatti prigionieri, a giungere a patti.

Boemondo, quindi, con grande piacere, rinchiuse con la forza Dalimanno con tutti i suoi in una stanza, sorvegliata da uomini armati. Quindi distribuì altri soldati in posti diversi e suggerì ad ognuno come comportarsi, e così fu padrone dell'intero palazzo, con tutti i suoi annessi, per quasi quindici giorni. Permise che entrassero solo le mogli e gli innocui servitori eunuchi, perchè provvedessero a somministrare per sè per gli altri il cibo necessario messo loro a disposizione.

Dalimanno era dispiaciutissimo che la sua casa fosse stata trasformata in carcere e che sua figlia, erettasi a giudice, lo facesse tenere segregato. Malediceva con forza Maometto, il suo dio, incolpando e deplorando tutti gli amici, i suoi uomini e i suoi cavalieri, che permettevano ad un pugno di prigionieri, per giunta stranieri, di trattarlo come un miserabile nel suo regno. I baroni rinchiusi con lui lo persuasero a far pace con i Cristiani, per consentirgli per quel poco che gli restava di vivere libero. Infine la sua caparbietà fu stemperata dalla paura. Nel colloquio con Boemondo, chiese la pace, concedendogli di andarsene libero con tutti i suoi.
Liberò tutti i prigionieri che languivano nelle sue prigioni e gli offrì finanche sua figlia.
L'astuta Melaz, nell'udire ciò, riferendosi a Boemondo, rispose: «Tutte le parole escono facilmente dalla bocca, ma non tutte sembrano sincere. Certamente sono seducenti, accetta, però le ambigue promesse di mio padre; e benché ti siano state date, valutale opportunamente, fino a quando non sarai certo di aver vinto per la consistenza di una indubbia salvezza. Vengano inviati ad Antiochia da entrambe le parti ambasciatori arcinoti, sia condotta una coorte di tuoi cavalieri, circondato riguardosamente dai quali, raggiungerai la tua terra senza tranelli, evitando imboscate di eventuali malintenzionati».

Furono inviati, pertanto, Riccardo di Principato e Sarkis di Mesopotamia, che narrarono tutti i retroscena agli esultanti Antiocheni.
Tancredi, quindi, comandante dell'esercito, inviò dei messi per radunare cavalieri e prigionieri pagani, e unitamente ai suddetti baroni, che fungevano da guida, si avviò. Fu rilasciata, allora, la figlia dell'ammiraglio d'Antiochia, Cassiano, liberata dal carcere cristiano dopo molte implorazioni. Interrogata sul motivo del suo pianto, rispose che piangeva tanto, perchè quell'ottima carne di maiale della cucina cristiana non si poteva masticare!
I turchi e la gran parte degli altri Saraceni disprezzano la carne suina, benchè divorino avidamente le carni dei cani e dei lupi, dimostrando in tal modo che sono al di fuori di ogni legge di Mosè e di Cristo e di non condividere né il Giudaismo, né il Cristianesimo.

Intanto Boemondo parlava spesso e affabilmente con Dalimanno, e siccome era saggio e modesto, si sottometteva a lui e, per raffreddare le intemperanze di molti, che lo stesso tiranno non poteva controllare fino in fondo, lo adulava adeguatamente.
Seduceva con ossequi e parole garbate sia lui che coloro che gli stavano appresso e li attraeva a sé attraverso il piacere della pacata conversazione. Poco alla volta i tribuni della provincia e gli ottimati apprendevano l'insegnamento del nuovo maestro e interrogavano con insistenza il principe straniero, signore del loro legittimo principe, perchè approfondisse maggiormente gli argomenti e quando egli permetteva loro di parlare con il proprio principe, lo elogiavano assai.
Quasi fosse lui il loro vero signore, lo provocavano sul vantaggio della repubblica, e facendo presente di desiderare ardentemente l'amicizia di un cotanto condottiero, spesso gli ricordavano la battuta del comico nell'Andria di Terenzio: «... Visto che non può accadere ciò che vuoi, cerca di volere ciò che si può...» (TERENT., Andr. II, 1.).
E aggiungevano inoltre: «Nell'immediatezza di una vittoria stentata restiamo delusi, per aver avuto efficaci protezioni nell'uccidere gli avversari del nostro Stato, lieti in modo stolto e indegno della totale rovina altrui. Ed ecco che il nostro dio, l'esecrabile Maometto, ci abbandonò di colpo e, perdute le sue virtù, cadde dinanzi al Dio dei Cristiani.
E così, miracolosamente, il Cristo crocifisso, detto l'Onnipotente -come tutti i nemici possono testimoniare a proprie spese- liberò inaspettatamente per mezzo di tua figlia, coloro che ritenevi essere ben assicurati ai ceppi con l'ordine che fossero sempre reclusi e poi, armati, li ricoprì nella battaglia di notevoli trofei e del sangue di fratelli e nipoti nostri intrise le loro lance. E per giunta assegnò loro la reggia della città dove sono le tue ricchezze, mettendo nelle loro mani sia te che i notabili del tuo regno e, senza combattere, come docili ancelle, li trasferì afflitti nella stanza adibita a carcere.
Non entriamo da fuori sino a te senza il permesso dei forestieri, né siamo in grado di portarti aiuto alcuno. Contro di loro non osiamo insorgere tutti insieme, perché immediatamente riverserebbero su di te le loro rabbie. Se, infatti, si avvicinasse il grande re dei Persiani Soldano con tutta la sua virtù, e tentasse di espugnare questa fortezza, nei Franchi tanta è la probità e talmente grande la forza della difesa, che essi oserebbero resistere e prima di essere presi, infliggerebbero gravi danni ai nostri concittadini. Meglio è dunque pacificare il nemico con l'amore piuttosto che incitarlo temerariamente alla letifera rabbia
».
Dalimano, allora, con tali consigli si acquietò.
Accettata, dunque, l'amicizia del valoroso condottiero, nella propria casa poteva già comandare liberamente, a vantaggio di tutti, ed elargiva spontaneamente ai Cristiani doni tratti dai suoi tesori.
Nella prossima puntata la liberazione di Boemondo ...


San Marco Argentano, 20 maggio 2023

Paolo Chiaselotti
La prima immagine è tratta da un dipinto di Benozzo Gozzoli, la seconda da un dipinto di Velaquez, entrambe riguardanti l'incontro di San Francesco con il sultano Al-Malik.
Il testo sopra è una traduzione personale del racconto in latino di Orderico Vitale.
Testo consultato: "Patrologiae cursus completus: sive biblioteca universalis ...", Volume 188, di Jacques-Paul Migne 1853, "Historia ecclesiastica", Ordericus Vitalis, Tomus CLXXXVIII, pars III liber X cap. XXI, XXII, XXIII, pag.774 e seguenti (digitalizzato da Google)


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