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" Gesta Francorum et aliorum Hierosolymitanorum" - Liber II - cap.V, VI | |
Gesta Francorum Libro II - cap.V
Mandauit infelix imperator simul cum nostris nuntiis uni ex suis, quem ualde diligebat, quem et corpalatium 1 uocant, ut nos secure deduceret per terram suam, donec ueniremus Constantinopolim. Cumque transiremus ante illorum ciuitates, iubebat habitatoribus terrae ut nobis asportarent mercatum, sicut faciebant et illi quos diximus. Certe tantum timebant fortissimam gentem domni Boamundi, ut nullum nostrorum sinerent intrare muros ciuitatum. Volueruntque nostri quoddam castrum aggredi et apprehendere, eo quod erat plenum omnibus bonis. Sed uir prudens Boamundus noluit consentire, tantum pro iustitia terrae quantum pro fiducia imperatoris. Vnde ualde iratus est cum Tancredo et aliis omnibus. Hoc factum est uespere. Mane uero facto, exierunt habitatores castri, et cum processione deferentes in manibus cruces, uenerunt in presentiam Boamundi. Ipse uero gaudens recepit eos, et cum letitia abire permisit illos. Deinde uenimus ad quamdam urbem quae dicitur Serra, ubi nostra fiximus tentoria, et sat habuimus mercatum, illis diebus conueniens. Ibi Boamundus concordatus est cum duobus corpalatiis, et pro amicitia eorum ac pro iustitia terrae iussit reddi omnia animalia quae nostri depredata tenebant. Deinde peruenimus ad Rusam ciuitatem. Grecorum autem gens exibat et ueniebat gaudens in occursum domini Boamundi, nobis deferens maximum mercatum, ibique nostros tetendimus papiliones in quarta feria ante Cenam Domini; ibi etiam Boamundus totam gentem suam dimisit, perrexitque loqui cum imperatore Constantinopolim, ducens tamen secum paucos milites. Tancredus remansit caput militiae Christi, uidensque peregrinos cibos emere, ait intra se quod exiret extra uiam, et hunc populum conduceret ubi feliciter uiueret. Denique intrauit in uallem quamdam plenam omnibus bonis quae corporalibus nutrimentis sunt congrua; in qua Pascha Domini deuotissime celebrauimus
[continua da Libro II] - cap. VI Cum imperator audisset honestissimum uirum Boamundum ad se uenisse, iussit eum honorabiliter recipi, et caute hospitari extra urbem. Quo hospitato, imperator misit pro eo, ut ueniret loqui simul secreto secum. Tunc illuc uenit dux Godefridus cum fratre suo; ac deinde comes Sancti Egidii appropinquauit ciuitati. Tunc imperator anxians et bulliens ira, cogitabat quemadmodum callide fraudulenterque comprehenderet hos Christi milites. Sed diuina gratia reuelante, neque locus neque nocendi spatium ab eo uel a suis inuenta sunt. Nouissime uero congregati omnes maiores natu qui Constantinopoli erant, timentes ne sua priuarentur patria, reppererunt in suis consiliis atque ingeniosis scematibus quod nostrorum duces, comites, seu omnes maiores imperatori sacramentum fideliter facere deberent. Qui omnino prohibuerunt, dixeruntque: 'Certe indigni sumus, atque iustum nobis uidetur nullatenus ei sacramentum iurare.' Forsitan adhuc a nostris maioribus sepe delusi erimus. Ad ultimum quid facturi erunt? Dicent quoniam necessitate compulsi nolentes uolentesque humiliauerunt se ad nequissimi2 imperatoris uoluntatem. Fortissimo autem uiro Boamundo quem ualde timebat, quia olim eum sepe cum suo exercitu eiecerat de campo dixit, quoniam si libenter ei iuraret, quindecim dies eundi terrae in extensione ab Antiochia retro daret, et octo in latitudine. Eique tali modo iurauit, ut si ille fideliter teneret illud sacramentum, iste suum nunquam preteriret. Tam fortes et tam duri milites, cur hoc fecerunt? Propterea igitur, quia multa coacti erant necessitate3. Imperator quoque omnibus nostris fidem et securitatem dedit, iurauit etiam quia ueniret nobiscum pariter cum suo exercitu per terram et per mare; et nobis mercatum terra marique fideliter daret, ac omnia nostra perdita diligenter restauraret, insuper et neminem nostrorum peregrinorum conturbari uel contristari in uia Sancti Sepulchri nellet aut permitteret. Comes autem Sancti Egidii erat hospitatus extra ciuitatem in burgo, gensque sua remanserat retro. Mandauit itaque imperator comiti, ut faceret ei hominium et fiduciam sicut alii fecerant. Et dum imperator haec mandabat, comes meditabatur qualiter uindictam de imperatoris exercitu habere posset. Sed dux Godefridus et Rotbertus comes Flandrensis aliique principes dixerunt ei, iniustum fore, contra Christianos pugnare. Vir quoque sapiens Boamundus dixit, quia si aliquid iniustum imperatori faceret, et fiduciam ei facere prohiberet, ipse ex imperatoris parte fieret. Igitur comes accepto consilio a suis, Alexio uitam et honorem iurauit, quod nec per se nec per alium ei auferre consentiat, cumque de hominio appellaretur, non se pro capitis periculo id facturum. Tunc gens domni Boamundi appropinquauit Constantinopoli. |
Gesta Francorum Libro II - cap.V -
Lo sventurato imperatore comandò al messaggero più fidato, quello che chiamano il curiale1, assieme ai nostri ambasciatori
di scortarci attraverso il suo territorio fino a raggiungere Costantinopoli. E allorquando passavamo davanti alle loro città [il messo]
ordinava agli abitanti dei luoghi di consentirci acquisti, cosa che facevano anche quelli sopradetti. Senza dubbio tale era la paura della fortissima gente
al seguito di Boemondo, che a nessuno di noi era consentito di attraversare le mura delle città. E [quando] i nostri decisero di assalire e razziare
un castro pieno di ogni bene, il prudente Boemondo non lo permise, sia per la legge del luogo che per la fiducia datagli dall'imperatore,
per cui si arrabbiò molto con Tancredi e con tutti gli altri. Questo avvenne la sera, al mattino gli abitanti del castro, in fila
portando croci in mano, si presentarono davanti a Boemondo, che li accolse con gioia e permise loro di andarsene felici e contenti. Poi giungemmo in una
città detta Serra (Seres?), dove fissammo le tende e facemmo affari, in rapporto ai tempi, abbastanza convenienti. Qui Boemondo si accordò con
due curiali e ordinò, per l'amicizia verso di loro e per rispetto delle leggi locali, di restituire tutti gli animali che i nostri avevano razziato.
Quindi giungemmo nella città di Rugia [in Siria, oggi Qal'at Yahmur], da dove, al contrario che altrove, i Greci uscivano
andando con gioia incontro a Boemondo e mostrandoci mercanzia di ogni genere. Il mercoledì della Quaresima, ci accampammo lì con i nostri padiglioni.
Boemondo vi lasciò tutti i suoi uomini e andò assieme a pochi cavalieri a parlare con l'imperatore di Costantinopoli. Tancredi prese il comando dei Crociati
e vedendo i pellegrini acquistare il cibo, disse tra sè che doveva cambiare rotta e portare tutta quella gente dove si stava bene. Imboccò, così una
vallata piena di ogni bene adatto a soddisfare il fabbisogno alimentare;, dove celebrammo la Pasqua del Signore con tutta la devozione possibile.
[continua da Libro II] - cap. VI - Quando l'imperatore udì che stava arrivando un personaggio come Boemondo, diede ordine di riceverlo con tutti gli onori e di ospitarlo, prudentemente, fuori città. Una volta alloggiato, l'imperatore gli mandò a dire di andargli a parlare in segreto. Ma vi si recò il duca Goffredo assieme a suo fratello, mentre nel contempo stava avvicinandosi alla città il conte di Sant'Egidio. Al che l'imperatore preoccupato e pieno di rabbia, meditava sul modo di catturare con l'astuzia e l'inganno quei Crociati, ma grazie ad una 'soffiata' dello Spirito Santo, egli e i suoi non trovarono tempo e luogo per mettere in atto il disegno. All'ultimo momento, infatti, tutti i nobili che si trovavano a Costantinopoli, preoccupati di restare senza patria, si resero conto, dai suoi consigli e dalle capziose intenzioni, che duchi, conti e altri dignitari nostri avrebbero dovuto prestare giuramento di fedeltà all'imperatore. Coloro che erano contrari, dissero: «Siamo davvero indignati, e ci sembra giusto non prestargli alcun giuramento». A questo punto resteremo spesso delusi dai nostri superiori. Alla fine cosa faranno? Diranno che 'ob torto collo' si erano sottomessi per necessità alla volontà di un lurido2 imperatore. Al fortissimo Boemondo, invece, che temeva fortemente, perchè in passato lo aveva cacciato più di una volta dall'accampamento con tutto il suo esercito, [l'imperatore] a patto che gli avesse prestato spontaneamente giuramento, avrebbe dato un territorio distante quindici giorni di viaggio da Antiochia per una estensione pari a otto giorni di viaggio. E così [anche Boemondo] gli prestò giuramento: se [l'imperatore] avesse tenuto fede ai patti, mai avrebbe oltrepassato i suoi confini. Cavalieri tanto forti e tenaci! perché fecero ciò? Ecco il motivo: perché costretti dal bisogno3. L'imperatore diede la sua parola a tutti i nostri uomini, giurò inoltre che sarebbe venuto assieme a noi con il suo esercito per terra e per mare, che ci avrebbe concesso tutti i commerci terrestri e marittimi, che avrebbe risarcito puntualmente ogni nostra perdita e che non avrebbe permesso a nessuno di turbare o impedire il cammino dei nostri pellegrini verso il Santo Sepolcro. Il conte di Sant'Egidio, invece, era alloggiato in un borgo fuori città, e i suoi uomini erano rimasti dietro. L'imperatore, allora, gli comandò di prestargli omaggio e giuramento come gli altri. Mentre il primo ordinava, il conte meditava vendetta contro l'esercito dell'imperatore. Ma Goffredo, Roberto conte di Fiandra e altri principi gli dissero che sarebbe stato ingiusto combattere contro i Cristiani. Quel saggio uomo di Boemondo gli disse che se avesse fatto qualche ingiustizia all'imperatore e se non gli avesse prestato giuramento, egli si sarebbe schierato dalla parte dell'imperatore. Pertanto il conte, accolto il consiglio dei suoi, promise solennemente ad Alessio vita e onore, e che non avrebbe acconsentito che gli fossero tolti per colpa sua o di altri, e se chiamato [da altri] a servire, non lo avrebbe fatto nemmeno in pericolo di morte. Solo allora la gente al seguito di Boemondo potè raggiungere Costantinopoli. |
San Marco Argentano, 16 giugno 2023
Trascrizione e traduzione: Paolo Chiaselotti 1 Ho tradotto arbitrariamente il termine corpalatium in curiale sulla base di informazioni desunte dal dizionario Du Change, in cui trovo i termini latini Curopalatae, Cura Palatium, Cura Palatii, dove cura, proprietà, sta per Curia - Il termine fu tradotto anche in Donatum (Quae quidem dignitas eadem est, quae Curopolatae. Nam caeteri Scriptores hac donatum passim tradunt. Evagrius lib. 5. cap. 1) 2 Altrettanto arbitrariamente ho interpretato quel nequissimus riferito all'imperatore, desumendo dallo stesso dizionario du Change nequus, nullità, chiacchierone, sporco ecc. ecc. - In ogni caso il superlativo usato è di assoluto disprezzo 3 Interpreto quel coacti erant necessitate con il fatto che non potevano tornare indietro, in quanto enormemente indebitati per la crociata. In alto immagini dei protagonisti di questo episodio della I Crociata. Da sinistra Boemondo, il nipote Tancredi, Roberto II di Fiandra, Raimondo conte di Sant'Egidio, Goffredo di Buglione, l'imperatore Alessio I (immagini tratte da Wikipedia) Testo latino tratto dal sito https://www.thelatinlibrary.com/medieval.html |
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