INDICE ANTISTORIE |
MARCO BOEMONDO ALLA CROCIATA - UNDICESIMO EPISODIO.
L'AMBASCIATA CRISTIANA A QUELLA TURCA: PERCHÈ CE L'AVETE CON NOI? ...
GESTA FRANCORUM - LIBRO IX, cap.XXVII-XXIX. Il cronista ci dice, nel successivo capitolo, che egli era assieme ai combattenti e alla gente con a capo Stefano Carnotense, un conte francese di Chartre, che li aveva abbandonati ed era fuggito sulla sua fortezza posta su un altura. Spogliatala di ogni cosa si diresse dove sapeva esserci l'imperatore Alessio e gli rappresentò una disfatta totale e l'urgenza che si ritirasse con tutto il suo esercito. L'imperatore, spaventato, si rivolse a Guidone fatello di Boemondo (fratellastro), spiegandogli l'accaduto e la prospettiva della ritirata. Guidone piange e si dispera e tutti si rivolgono a Colui che ritengono il Responsabile, minacciandoLo di dimenticare per sempre Lui e il Suo Nome. Si trattava di Dio e per molti giorni nessuno di loro, fosse vescovo o abate, fosse chierico o laico, osava invocare il nome di Cristo! Continua la disperazione di Guidone con urla e atti di autolesionismo, fino a spezzarsi le preziose dita, inconsolabile di una fine ingloriosa e rammaricandosi di non esser morto al parto o, spezzandosi l'osso del collo cadendo da cavallo. Come molti dei lettori sanno, l'esternazione violenta delle ansie, a volte, riesce a riportare il sereno nel turbinoso affluire di sangue al cervello. Tra ricordi e rimpianti, come per incanto, circondato dagli amici che cercano di consolarlo, gli balena un raggio di speranza: e se quel vigliacco del conte carnotense mentisse?! Gli si affaccia improvvisamente il ricordo di un simile episodio in cui il conte era stato protagonista: «Forse credete a questo codardo cavaliere mezzo canuto. Anch'io, finché veramente non udii parlare di alcune azioni militari in cui avvenne la stessa cosa. Ma si allontanò vilmente e con disonore, come un miserabile vigliacco, e qualunque cosa il miserabile annunzi, sappiate che è falso.» L'imperatore, allora, ordinò che tutti coloro che erano al seguito del vile conte fossero riportati indietro, col risultato che molti pellegrini si fermarono per sempre lungo il percorso. Inoltre fece fare terra bruciata di tutti i territori in cui i Turchi sarebbero potuti avanzare. Quando ci sono disguidi con i Santi o con il Padreterno la colpa è ovviamente sempre dell'uomo. E infatti, se si fosse provveduto subito a cercare la lancia che Andrea apostolo aveva indicato a quel tal pellegrino Pietro, forse si sarebbero evitate migliaia di morti e decine di sconfitte! Il cronista ci spiega nel capitolo XXVII che, dopo uno scavo durato dalla mattina alla sera, con l'impiego indefesso di tredici uomini nel luogo indicato da Pietro, fu trovata la famosa lancia. Tripudio generale, popolo in festa e immediata convocazione del consiglio di guerra col seguente ordine del giorno: perché i Turchi ce l'hanno con i Cristiani? A formulare questa ed altre impegnative domande vengono mandati come ambasciatori Pietro l'eremita e un tal Erluino i quali compiono diligentemente il mandato e riferiscono per filo e per segno quanto era stato detto nel colloquio da entrambe le parti. Per prima cosa i delegati cristiani avevano chiesto alla delegazione turca il motivo per cui occuparono le terre dei cristiani, se per convertirsi al cristianesimo oppure per combatterlo. In ogni caso era meglio per tutti che se ne andassero con cavalli, muli, asini, cammelli, pecore e buoi! Al che i Turchi replicarono, con un certo nervosismo, che né aspiravano alla cristianità, nè volevano che i Cristiani continuassero a restare nella terra delle genti effeminate, cioè quella che apparteneva all'impero bizantino. Se poi, continuaronono i Turchi, i cristiani avessero deciso di cambiar Dio, allora sarebbero stati i benvenuti, altrimenti ZAC!, taglio delle teste, o CLANG-CLANG, condotti in catene nel Korazan come schiavi. Le parole chiare e senza equivoci, interpretate dall'Erluino, che sapeva entrambe le lingue, non fecero altro che accrescere la paura dei Crociati. Il Signore, a cui in un attimo d'impeto e di sconforto si erano irriverentemente rivolti, fu rinominato e glorificato con il triduo del digiuno, processioni presso le chiese ancora intatte, comunioni, elemosine e messe, tante messe. Con questi riti speravano di rappacificarsi con l'Eterno e con questa speranza organizzarono gli schieramenti nel modo seguente per riprendere la guerra: Primo schieramento con a capo Ugo Magno con Francigeni e conte di Fianfra Secondo schieramento, il duca Goffredo con il suo esercito, Terzo schieramento, Roberto il Normanno con i suoi cavalieri Quarto schieramento, il vescovo di Le-Puy (che, non si sa come e perchè, aveva la lancia del pellegrino Pietro) Quinto schieramento, Tancredi Sesto e ultimo schieramento, Boemondo con la sua milizia Raimondo conte di Sant'Egidio rimase con un contingente a sorvegliare il castello dal quale i Turchi sarebbero potuti scendere in città Gli schieramenti escono dalla porta antistante la moschea, preceduti da vescovi, presbiteri, chierici e monaci, tutti con la croce in mano, mentre dall'alto delle mura altri fanno gli auguri benedicendo i partenti con le croci in mano. Curbaram nel vedere quella massa di cavalieri e gente comune allineata con tanto ordine e solennità ebbe il presentimento che potesse accadere qualcosa di soprannaturale. Chiamò il suo emiro raccomandandogli di fare attenzione se avesse visto sul capo di uno dei tanti, innumerevoli, nemici accendersi una fiammella 1: era il segno che i Turchi avevano perso la guerra e dovevano ritirarsi! Paura e superstizione giocarono un brutto tiro al supremo comandante persiano: cominciò a ritirarsi gradatamente, e i Cristiani ne approfittarono per dargli addosso man mano che arretravano. Alla fine i Turchi si trovarono divisi tra montagne e fiume. Entrambe le parti tentavano di accerchiare il nemico e, nonostante la disposizione strategica degli eserciti cristiani disposti su sette fronti, le frecce e i giavellotti turchi colpivano inesorabilmente i Crociati. Mentre lo scoramento si stava insinuando tra le fila cristiane, ecco comparire d'un tratto dalle montagne eserciti a non finire tutti con cavalli bianchi e bianchi vessilli. I crociati si chiedono sbalorditi chi fossero quegli uomini e infine si resero conto che ... ERA L'AIUTO INVIATO DA CRISTO, GUIDATO DAI SANTI GIORGIO, MERCURIO E DEMETRIO !! Roba da non credere, direte voi, ma il cronista afferma che dovete crederci, perché furono in molti a vederli. Tra visioni, speranze e certezze il morale dei Cristiani crebbe al punto che osarono entrare nel cuore della forza avversaria, ovvero proprio là dove i Turchi erano accampati. La conclusione fu che i nemici dovettero fuggire cercando di rifugiarsi sulle montagne, inseguiti dai cavalieri cristiani fino al Ponte di ferro e poi fino al castello di Tancredi. I Siriani e gli Armeni del posto completarono l'opera. Il bottino abbandonato dai fuggitivi nel loro accampamento era ernorme: oro, argento e gioielli, e inoltre pecore, buoi, cavalli, muli, cammelli e asini e, ancora, frumento, vino, farina e tanto altro ancora. Dio fu ricordato e benedetto come in passato. Intanto l'emiro che aveva favorito l'ingresso di Boemondo all'interno di Antiochia, saputo che i Turchi avevano perso la guerra, volle esporre il bianco vessillo dei Crociati. Provvide a darglielo il Conte di Sant'Egidio, ma avendo un debole per Boemondo lo rifiutò, chiedendo espressamente quello del suo vecchio amico. Non solo, ma si accordò con il valoroso sammarchese (Boemondo era nato a San Marco in Calabria), si convertì al Cristianesimo assieme a molti dei suoi sudditi. Era la vigilia dei Santi Pietro e Paolo. L'anno il 1098. Finisce qui il Libro IX. Alla prossima puntata!
1 Il cronista ci presenta un Curbaram ben informato sull'iconografia cristiana e in particolare quella del fuoco che
rappresenta lo Spirito Santo. Questa e altre affermazioni o descrizioni di riti fanno supporre che l'autore delle GESTA
fosse un monaco.
Nota: Com'è noto, Boemondo si fermò ad Antiochia, da cui trasse il titolo di principe. L'autore delle Gesta anticipa in alcuni sostanziali episodi il futuro possesso della città da parte del condottiero sammarchese (era nato, infatti, a San Marco, in Calabria, nel castrum fondato dal padre Roberto il Guiscardo). Il primo riguarda la proposta fatta agli altri capi della Crociata di assegnare la città al cavaliere che con qualsiasi mezzo vi sarebbe entrato per primo, il secondo riguarda Stefano di Chartre (al seguito del quale il cronista afferma esserci stato anch'egli) che, in fuga per codardia, incontra l'imperatore Alessio Comneno accorso in aiuto dei Crociati, dicendogli di tornare indietro essendo ormai morti tutti i Cristiani. Il terzo episodio riguarda il vessillo innalzato su Antiochia, dopo la fuga dei Turchi, non da Boemondo ma dall'emiro che lo aveva aiutato ad entrare per primo. Tutti e tre gli episodi tendono a giustificare la presa di possesso di Antiochia da parte di Boemondo e la mancata restituzione al suo legittimo proprietario, l'imperatore bizantino. Attraverso il link sottostante troverete, come sempre, il testo integrale di questo episodio con la traduzione a lato. Nel caso il lettore notasse eventuali errori di traduzione o interpretazione del testo latino se li tenga per sé. GESTA FRANCORUM - LIBRO IX Il testo latino è reperibile al seguenti indirizzo: https://www.thelatinlibrary.com/medieval.html San Marco Argentano, 22 agosto 2023 Paolo Chiaselotti |
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