TENTATO OMICIDIO PER DUE RICOTTE.
Sono sicuro che i lettori, leggendo il titolo, avranno pensato che all'origine del tentato
omicidio ci siano la povertà e la fame, e cioè che qualcuno, per procurarsi un
po' di cibo, sia ricorso alla violenza. La condanna del gesto, credo da parte di noi tutti, è
senza appello: non ci sono attenuanti quando si uccide qualcuno, fosse anche per
procurarsi del cibo! E che diamine, saremmo alla barbarie!
Uccidere per fame: oh Dio, a che punto può arrivare l'uomo! E poi, non per un tozzo
di pane, fatto comprensibile anche se non giustificabile, ma per un latticinio!
cioè per un di più. Diciamolo pure: per una prelibatezza!
La storia di oggi ci insegna, però, a non avere mai opinioni preconcette, nel senso
che un'affermazione all'apparenza chiarissima, qual è il titolo, può essere
diversamente interpretata.
Cominciamo col dire che non c'è scritto da nessuna parte che chi ha tentato di
uccidere lo abbia fatto per il bisogno o il desiderio di mangiare due ricotte, nè
che avesse fame e neppure che fosse povero. E allora proviamo a capovolgere i nostri stereotipi
considerando l'ipotesi che l'autore del tentato omicidio non fosse affatto povero e che non
avesse fame e neppure desiderasse mangiare delle ricotte!
Ecco che allora potremmo essere indotti a pensare che il ricco, pur di difendere i suoi beni, è
addirittura capace di uccidere! Uccidere per due ricotte! Oh Dio a che punto può arrivare
l'avidità umana! Uccidere per impedire che qualcuno si impossessi di due miseri e insignificanti
latticini!
Ma se la storia di oggi deve insegnarci a non aver mai opinioni preconcette, non vale nemmeno l'assunto
che basti rovesciarle come un calzino, per comprendere la realtà dei fatti, perché essa,
la realtà, è molto spesso così lontana dalla nostra immaginazione da presentarsi,
-capovolgendo il concetto di Karl Marx- come una farsa piuttosto che come la tragedia che temevamo.
La storia, realmente accaduta a San Marco a metà Ottocento, è talmente inverosimile che
se ve la raccontassi dubitereste della sua veridicità, per cui ve la trascrivo pari pari come
l'ho trovata tra gli atti della Gran Corte Criminale conservati nell'Archivio di Stato di Cosenza.
Vincenzo Tunno di Fagnano nel 12 maggio 1857 dichiarava alla giustizia che il suo padrone
don Vincenzo Candela di Giuseppe di Sammarco, nella contrada
Scarniglia territorio di S. Marco suddetto, dispiaciuto di non aver dato (il dichiarante)
la sera precedente della ricotta ad alcuni maestri mandati da lui, aveagli scaricato contro un colpo
di fucile per ucciderlo, ma ne era rimasto miracolosamente illeso, comunque dei proiettili gli avessero
rasentato il capo e quindi l'avea inutilmente inseguito perché non si era fatto egli raggiungere.
Che dopo due ore circa il Candela, essendo esso Tunno fuggito, l'avea inseguito per ucciderlo con una
pistola che asportava dalla tasca interna della sua giacca, ma non avea potuto raggiungerlo.
Il motivo di tanta furia omicida è spiegato da un altro testimone, un pastorello di nove anni
di nome Fedele, figlio di Pietro Iacovini, di Fagnano.
La sera di lunedì 11 di questo mese (maggio) il figlio del nostro padrone, Don Vincenzo
Candela, avea mandato nell'ovile la sua domestica Angela Maria a dirci che avessimo dato della
ricotta calda a due maestri che con lui faticavano, e noi avevamo risposto per l'affermativa,
comunque con nostro discapito, perché i foresi dell'ovile siamo a parte dell'utile. Intanto
invece di due come il figlio del padrone avea ordinato, se ne presentarono sei, lo che non poteva
da noi sopportarsi e quindi Vincenzo Tunno, altro pastore, disse che soltanto due fossero
rimasti a mangiare la ricotta gratuitamente, ma gli altri quattro se volevano cibarsene le avessero
pagate a giusto prezzo, perché egli a stomaco vuoto avea dovuto per tutto l'inverno pascolare
le pecore e niuno gli avea somministrato un pane!
San Marco Argentano 20.5.2021
Paolo Chiaselotti