PIANGERE A CARO PREZZO .
Il quadro a lato fu realizzato da Pablo Picasso nel 1937 e raffigura una donna
che piange stringendo tra i denti un fazzoletto. L'artista ha voluto rappresentare da più
punti di vista e su piani diversi forme e momenti di uno straziante dolore.
Ho scelto questa immagine per ricordare un fatto avvenuto a San Marco oltre centotrenta anni
fa, riguardante l'incarcerazione di una donna.
Considerando l'epoca dell'avvenimento, forse sarebbe stato più appropriato un dipinto impressionista,
del genere di Monet o di un macchiaiolo nostrano, ma la luce che ammorbidisce i toni avrebbe
stemperato la drammaticità dell'evento accaduto. Lo strazio lacerante del quadro di Picasso
che induce, invece, più al sorriso che alla pietà, ben si addice alla vicenda di cui fu
protagonista una donna di San Marco Argentano per i suoi aspetti quasi tragicomici.
Del resto, la disperazione che si dipinge sul volto di chi prova un dolore immenso non trasforma
il viso in "una maschera di dolore"?!
Chi era e che cosa fece questa donna di tanto grave da finire in prigione?
Maria Teresa, questo il nome della donna, non aveva mai avuto a che fare con la
giustizia. Ultima di sei figli di Antonio Cristofaro, un contadino di Cervicati trasferitosi a San
Marco nel quartiere del Puzzillo, per tutta la sua vita svolse lavori di donna di casa e di
contadina. In aggiunta a questi, essendo nubile, avrà certamente dato una mano di aiuto
nel crescere vari nipoti, figli di due suoi fratelli sposati, soprattutto quelli di Gaetano rimasto
vedovo ben due volte e padre di nove figli.
Insomma posso ben dire che Maria Teresa nel corso dei suoi quarantasei anni non ebbe nè il tempo,
nè l'occasione per farsi una propria vita, anche perché alla morte del padre, avvenuta quando
lei aveva poco più di trent'anni, dovette sobbarcarsi il compito ingrato di sostituire il capofamiglia.
Possiamo immaginarla con le maniche perennemente "
abbazate" e le mani occupate
alternativamente tra attrezzi di lavoro, panni da lavare, masserizie varie e impegni di casa,
senza avere neppure un minuto da dedicare a se stessa.
Ora immaginate questa donna, con tutti questi problemi che le occupavano la giornata, trovarsi un
bel giorno in un'aula giudiziaria a dover spiegare i motivi per cui avesse cercato di trafugare
merce da un negozio.
Immaginate la vergogna, il rossore, l'imbarazzo di una donna che in vita sua non aveva fatto
altro che occuparsi dei bisogni altrui senza ricavarne alcun beneficio: Dio solo sa come, fossero finite
nella sua borsa quelle cose.
Immaginate quanti "
mi iuru" su questo o quel defunto avrà lacrimato la povera
Maria Teresa, cercando di impietosire anche quel cuore di pietra del negoziante, che pure considerava
mezzo parente, avendo in comune un matrimonio con la famiglia Vivona.
Non lo so, non lo so come sono finiti nella borsa, continuava a ripetere, sarà stato per
distrazione, dovete credermi, solo per distrazione! Nessuna intenzione di rubare, figuratevi, poi,
proprio a don Ciccio. Ho così tanti pensieri per la testa, credetemi, che non pensavo
a quello che facevo. Li avrò guardati, forse mi piacevano, forse volevo comprarli, e allora
invece che rimetterli dove li avevo presi, li avrò infilati senza volerlo nella borsa!
E magari a riprova di non essere una ladra avrà mostrato al giudice e ai presenti le sue
mani segnate dalla fatica, mordendosi le dita bagnate dalle lacrime, come si usava fare al colmo
della disperazione.
Non ci fossi mai entrata in quel negozio! avrà detto quasi a volere e potere modificare il passato.
Credetemi, signor giudice, non volevo rubare!
Io mi ostino a voler descrivere il comportamento di una donna di cui non conosco assolutamente
nulla, se non i pochi dati descritti riguardanti il fatto, i coprotagonisti e i legami parentali.
E ovviamente, come avrete capito, non so affatto cosa disse, come si comportò, cosa
fece, tranne la discolpa documentata agli atti del processo: ero distratta.
A suggerirmi questo dramma inesistente è stata la maschera di dolore creata da Picasso. Le
invocazioni, la supplica, il pianto di Maria Teresa e soprattutto la sua inverosimile giustificazione
ben si addicono alla donna del dipinto, in cui colori e abbigliamento sono da spettacolo mentre
il dolore viene esibito nelle sue forme più drammatiche.
A chi era diretta tutta la dolorosa esternazione di Maria Teresa? Al giudice, ovviamente, ma essa
è nello stesso tempo il grido disperato di leggerle nell'anima le sue intenzioni, la sua vita,
il suo passato. Tutto, purchè le sia salvato l'onore.
Il giusto processo non persegue le intenzioni, non può tenerne conto, perché esse non
sono atti. Processare le intenzioni è un assurdo giuridico, per cui nessuno può essere
imputato, giudicato e condannato per aver pensato di rubare. Ma Maria Teresa non ci aveva neppure
pensato a rubare, aveva semplicemente messo nel posto sbagliato la merce che, forse, desiderava. Una
disattenzione che le costò un mese di carcere e le spese processuali, perché come ebbe modo
di spiegare il giudice che non tenne conto della sua distrazione, ovvero dell'assenza totale di una
volontà delittuosa, perché la mente era altrove, "
sarebbe dannoso se si volesse
indagare l'intenzione perché gli errori giudiziari si moltiplicherebbero".
Questa fu la risposta del giudice al tentativo della donna di giustificare il suo gesto e con questa
motivazione Maria Teresa Cristofaro, il 23 agosto del 1883, fu condannata ad un mese di reclusione, che
dovette scontare nella sezione femminile del carcere circondariale del tempo, ubicata nell'ultima
stanza della torre, per avere cercato di trafugare dalla bottega del signor Francesco Pastore sei
fazzoletti del valore di settanta centesimi di lire il ventisei luglio dello stesso anno.
San Marco Argentano, 23 agosto 2021
Paolo Chiaselotti