MORTI SOSPETTE.
I fatti che sto per narrarvi, accaduti a San Marco nel lontano 1810, sono del tutto inediti.
La storia trae spunto dalla morte, avvenuta il 25 aprile del 1811, di
un giovane sarto sammarchese
di nome Crescenzo Picarelli, recluso nelle carceri di Cosenza per omicidio. Oltre
all'accusa non ho trovato altro nell'atto di morte, tranne i nomi dei testimoni, due carcerieri,
e l'ora della morte.
Chi era la vittima?
Nella ricerca di altri documenti contenenti il suo nome ho trovato un atto di morte del ventinove
ottobre 1809, in cui il nominativo di Crescenzo compare come
testimone della morte di una bambina
di pochi mesi, figlia di una coppia originaria di Positano, tutti abitanti nello stesso quartiere
di San Giuseppe.
Non avendo altre fonti da cui attingere informazioni sono andato a rileggermi gli atti di morte
del periodo compreso tra quest'ultima data e la data della morte di Crescenzo, nella speranza di
trovare qualche indizio su eventuali morti violente, anche se non potevo escludere che il delitto
potesse essere stato commesso altrove.
Dopo aver controllato i mesi residui del 1809, verificando che vi fosse scritta la formula di
rito indicante la morte avvenuta per cause naturali, per puro caso ho trovato un fascicolo
allegato al registro dell'anno 1810 contenente più dettagliate informazioni sui decessi,
compreso l'accertamento diretto della morte da parte del funzionario dello stato civile e
l'autorizzazione al seppellimento.
In questo fascicolo ho trovato la registrazione di una morte non attribuibile a cause naturali,
che vi trascrivo integralmente: "
ed avendo osservato con l'ispezione oculare il cadavere,
lo stesso tenea segni evidenti di morte violenta ..."
La vittima era un giovane ventiseienne assassinato nella sua abitazione. Si chiamava
Rafaele Guaglianone
e abitava con la moglie nel quartiere Santa Caterina. A dichiarane la morte, avvenuta il venti di aprile
del 1810, erano stati due conoscenti dell'ucciso, domiciliati nello stesso quartiere, Francesco Fava di
anni cinquanta, calzolaio, e Pietro Siciliano di anni 30 bracciale (così erano indicati operai
agricoli o generici). La vittima, anch'egli bracciale, si era sposato da alcuni mesi con Maria
Saveria Bernardo, una giovanissima donna di appena quindici anni. Dal loro atto di matrimonio ho
potuto ricavare tutti i dati riguardanti gli sposi. Rafaele era nato nel 1784 a Sant'Agata, il paese
della madre, defunta, mentre il padre era nato e risiedeva a Belvedere.
La moglie, Maria Saveria Bernardo,
di dieci anni più giovane, era nata a Cetraro, ma, battezzata il giorno successivo a San Marco,
era vissuta da sempre nel nostro Comune. Orfana di padre dal 1806, aveva abitato con la madre Elena Caruso
e con una sorella più piccola nella stessa casa in cui abitava dopo le nozze. Quindi il
marito fu ucciso se non in presenza, comunque,
nell'abitazione condivisa con la suocera e la
piccola cognata.
Arrivato a questo punto dell'indagine potrei ragionevolmente dedurre che
tra i sospettati del delitto
potrebbe esserci proprio quel
Crescenzo Picarelli, morto nelle prigioni di Cosenza l'anno successivo.
Ma la ricerca di una conferma mi ha spinto a saperne di più sui testimoni e, proprio mentre
scrivevo questa storia (il bello della diretta!) scopro che
Francesco Fava aveva un figlio, di nome
Antonio il quale, guarda caso, era ...
anche lui un assassino,
o per meglio dire, lo sarebbe diventato alla fine dello stesso anno, il 1810. Come lo abbia scoperto
è presto detto: sfogliando la trascrizione dei vari atti d'archivio, scopro che il 14 dicembre
del 1813 muore Antonio Fava di Francesco,
recluso nelle carceri di Cosenza.
Se pensate che le sorprese finascano qui, posso dirvi che vi sbagliate. Di grosso. Proprio da questo
secondo delitto si dipana una trama degna di un racconto o di un film giallo. Lasciatemelo dire: non
ho affatto la stoffa dell'indagatore, ma la curiosità di sapere chi fossero e cosa facessero
i nostri predecessori, al solo scopo di ricostruire la vita quotidiana nella San Marco dell'Ottocento,
mi ha aiutato a trovare storie come questa che vi sto narrando.
Nell'atto di morte di Antonio Fava leggo che era anch'egli un sarto -non mi chiedete se entrambi gli
assassini avessero usato le forbici per le loro esecuzioni, perché non lo so-
condannato dalla
Gran Corte Criminale alla pena dei lavori forzati perpetui e ad un'ora di gogna, oltre al pagamento
di tutte le spese processuali,
per avere deliberatamente ucciso Cassandra De Stefano.
Mi sa, me lo sento nelle ossa, percorse da brividi, che da qui comincia a dipanarsi una trama
inaspettata!
Ho due vie da seguire:
chercher la femme, ovvero mettermi alla ricerca di chi fosse questa donna,
affidandomi all'intuizione di Alessandro Dumas padre, oppure proseguire nella lettura dei decessi
successivi alla morte di Rafaele Guaglianone. Scelgo questa seconda via, che reputo più
razionale.
Visto?! Che cosa vi avevo preannunciato? Che
il seguito avrebbe riservato altri delitti.
Non ci crederete, ma vi giuro che subito dopo la registrazione della morte di Rafaele avvenuta il 20
aprile 1810, che cosa trovo? Altri
due omicidi !!
E 'cche ca... !! direte voi,
li vai a cercare apposta!, e spero che non vi salti in mente
di darmi dello jettatore, visto e considerato che si tratta di persone morte e sepolte
due secoli prima che io mi dedicassi alle ricerche d'archivio. Dico solo che le cose che ho letto,
non fanno sorridere per niente, ma mettono davvero i brividi addosso.
Al numero diciassette del registro dei morti del 1810 compare il nome del citato Rafaele Guaglianone e
immediatamente dopo, al numero diciotto, quello di
Giuseppe Credidio.
Come morì?, mi chiederete.
Morto ammazzato!
E come se non bastasse, trovo un tal
Antonio Talamo, immediatamente dopo, al numero diciannove.
Morto ammazzato anche lui?!, esatto!
Mi fermo qui, non perché tema altri omicidi, ma per mettere al sicuro il buon nome
di
San Marco, che fu teatro di tre delitti, uno dietro l'altro, nel volgere di pochi giorni,
e un quarto, quello di Cassandra, a concludere bellamente l'anno. Ma il motivo principale per cui
mi sono fermato dallo scorrere il registro è l'eccezionalità di questi due omicidi.
Chi erano e come furono uccisi? Entrambi tornavano, probabilmente assieme per farsi compagnia e coraggio,
da una fiera tenutasi a San Benedetto Ullano, dove si erano recati per vendere i prodotti del loro
commercio, e in un tratto di strada deserto e desolato, nei pressi di alcuni ruderi,
furono
aggrediti e uccisi, probabilmente per rapina. Giuseppe Credidio aveva sessantaquattro anni ed era
produttore e venditore di acquavite, oltre che parrucchiere, l'altra vittima era un giovane venditore di
mercerie, originario di Positano, ma abitante da tempo a San Marco con la madre Angela Attanasio, vedova.
L'agguato, perchè di questo si trattava vista l'ora e il luogo in cui avvenne, fu fatto risalire
alle prime ore del
sei maggio del 1810 o alla notte precedente, e i corpi vennero ritrovati il giorno
successivo nella località a monte del paese, lungo la
strada che porta a Mongrassano, detta
della Conicella vecchia, dove, per essere più precisi, sorgeva la chiesa di Santa Maria
ad Nives e un piccolo convento, già residenza estiva dei monaci cistercensi della Matina.
Entrambi gli edifici erano abbandonati e l'antica fiera che vi si svolgeva era stata spostata alla
Riforma. Si trattava quindi di un percorso estremamente rischioso, considerando che alcuni anni
dopo una deliberazione cita i luoghi come ricovero di briganti.
Arrivati a questo punto non ci resta che tirare le somme, anche perché nel prosieguo della
lettura non mi sono imbattuto in altri delitti o morti violente di alcun genere.
Pur non potendo escludere nulla, è difficile che
Crescenzo Picarelli, possa essere
coinvolto in un agguato con altri complici, anche perchè avrei trovato nel suo atto di morte non
una "semplice" accusa di omicidio, ma partecipazione a banda armata, rapina e quant'altro
comportavano i due delitti sopra descritti. Potrebbe, invece,
aver partecipato, assieme al predetto
Antonio Fava all'uccisione di Cassandra De Stefano, e il fatto che la sua morte fosse avvenuta nel
carcere del Tribunale, nella fase quindi del dibattimento processuale, spiegherebbe perché
non troviamo le stesse accuse rivolte al suo eventuale complice Antonio Fava, il cui processo all'atto
della morte si era già concluso.
La genericità dell'imputazione di omicidio potrebbe valere per entrambi i delitti, sia quello
di Cassandra De Stefano che quello di Rafaele Guaglianone, ma addirittura di nessuna
delle due persone, in quanto il delitto potrebbe essere stato commesso fuori San Marco e
riguardare un cittadino di altro Comune.
Qualcosa, però, mi dice che il
giovane sarto fosse coinvolto nell'uccisione del povero
Rafaele Guaglianone. Che cosa? Il fatto che Crescenzo fosse giovane e "non casato",
mi induce a pensare che potesse essere
attratto da una delle tante belle donne, giovani e giovanissime,
dei popolosi quartieri del tempo, e
in casa di Rafaele Guaglianone c'erano la giovane moglie con una
sorella tredicenne, lasciate lì sole ad accudire la casa, visto che anche la madre svolgeva lavori
quotidiani.
Il mestiere di sarto portava certamente Crescenzo a frequentare le case e a conoscere persone e abitudini,
incluse le assenze degli uomini che i gravosi impegni lavorativi, in particolar modo i bracciali,
tenevano lontani dall'alba al tramonto.
Che possa essersi introdotto in casa, o che abbia avuto altra occasione di incontro, e che il fatto possa
essere sfociato in una lite e poi nell'uccisione non sono ipotesi molto lontane dalla realtà,
ma la verità non la sapremo mai visto che la sua morte avvenne prima del processo e che oltre
ai documenti citati non ne esistono altri, almeno che io sappia, che ci possano dare una risposta.
C'è un ultimo, piccolo
mistero, sulla morte di Crescenzo. Nella copia di morte stilata nel carcere
del tribunale troviamo scritto che l'
imputato era casato, senza figli, e zappatore come disse nell'entrare
in detta prigione. È veritiera questa dichiarazione e se sì, perché l'avrebbe
fatta? Perché avrebbe dovuto dichiarare di essere sposato e di professione zappatore? Oppure, come
è più probabile, non gli abbiano chiesto nulla e la dichiarazione fu inventata per
motivi a noi oscuri. Nella trascrizione comunale della comunicazione carceraria risulta
chiaramente che
Crescenzo Picarelli era sarto, come il defunto padre, e che non era affatto sposato.
Si leggono chiaramente le due voci "
sartore" e "
non casato".
E se la sua
detenzione, in attesa di processo, fosse solo dovuta ad
indizi o false dichiarazioni?
Come escluderlo.
Aggiungo di più. In un periodo in cui gli occupanti francesi con i loro sostenitori
si contrapponevano ai nostalgici e ai simpatizzanti del deposto governo borbonico,
chi poteva garantire
l'imparzialità e lo scrupolo nel condurre le indagini? Immaginiamo che Crescenzo fosse stato
accusato di un delitto commesso da altri e ingiustamente incarcerato in attesa di giudizio, chi
lo avrebbe potuto sottrarre alla carcerazione? E soprattutto,
per quali cause morì?
Sulla base di quello che ho scritto e argomentato, oggi con tutte le garanzie che i
tempi consentono, Crescenzo Picarelli sarebbe bell'e spacciato, accusato di aver ucciso il povero
Rafaele Guaglianone e di averne insidiato la giovane moglie.
E
Cassandra De Stefano? Ho cercato di saperne di più su di lei, chi fosse, da dove provenisse,
la sua età, se fosse sposata e con figli, ma purtroppo non ho trovato nulla. Solo
il suo
cognome, che appartiene a famiglie nobili ma anche a gente più modesta,
compare in alcuni atti
d'archivio, ma nulla di più. Il nome, invece, dell'altro
giovane sarto, Antonio Fava, compare con
tutto il suo seguito di condanne, dettagliate, finanche nelle spese di giudizio a suo carico, nell'atto
della sua morte avvenuta nelle carceri di Cosenza. C'è scritto tutto, per filo e per
segno, ma anche nel suo caso
manca un piccolo particolare.
La causa della morte.
14 ottobre 2022
Paolo Chiaselotti
Nessuno dei cognomi citati è collegabile a famiglie oggi esistenti, tranne Giuseppe Credidio,
ucciso per rapina, che era un antenato (sesta generazione) dei signori Credidio di San Marco Argentano.
Nella foto in alto, tratta dal quotidiano on line "I Calabresi", il tribunale di
Cosenza e il carcere a Colle Triglio