MORTE IN MARE.
Erano passati più di quattro mesi da quando madre e figlia non avevano fatto più ritorno. A piangerle
e a chiedersi come fosse potuta accadere una tragedia così inaspettata era innanzitutto il marito, che
si rimproverava di non esser stato con loro e di non aver potuto soccorrere lei e la figlia Teresina. E
poi la nonna Teresa per quell'unica nipotina che il figlio le aveva voluto devotamente dedicare.
Perchè partire, si chiedeva, perchè affrontare quel viaggio così lungo che le portava
via chissà per quanto tempo l'unica nipote, la piccola Teresina.
In casa Falbo non era la prima partenza per le Americhe, ce ne erano state altre, quelle dei figli di suo
fratello Giuseppe, Francescantonio e Vincenzo. Erano stati proprio loro ad invogliare la nuora ad avventurarsi
con la figlia di soli quattro anni in balia del mare! Se fosse stato per lei non le avrebbe mai lasciate andar
via, ma il figlio Ercole l'aveva supplicata di farle partire per raggiungerlo.
Ormai tutti sapevano della sua sventura, ma nessuno poteva farci nulla, se non consolarla. Lei ripeteva
a tutti che le sognava la notte che affogavano, Teresina stretta al collo della madre Raffaela. Il mare
era nero, nero come pece, non c'erano nè luna, nè stelle -ed era vero- e lei affacciata dal
balcone assisteva senza poter fare nulla per salvarle.
Ercole, suo figlio, aspettava, aspettava che arrivassero, la moglie Raffaella e la figlia Teresina. Arrivò
il piroscafo, il Solferino. Sbarcarono tutti, una fila interminabile di persone, uomini, donne, bambini, vecchi,
ma non i suoi. Chiese ad un marinaio se fossero scesi tutti i passeggeri. Tutti gli rispose, tranne quelli che erano
saliti sulla barca! Ercole Ricca non capì, o meglio pensò che alcuni passeggeri avessero dormito nelle
scialuppe di salvataggio e che tra questi potessero esserci anche Raffaela e Teresina.
Cominciò a chiamarle, a gridare ora un nome ora l'altro ora entrambi e solo allora si rese conto che
c'erano altre persone in attesa, come lui, e come lui anche loro avevano cominciato a gridare i nomi di parenti o
amici che fossero.
Ercole si rivolse al marinaio di prima, gli chiese chi fosse rimasto sulle barche, e se tra queste vi fossero
una giovane donna con la bambina. Il marinaio lo guardò a lungo senza rispondergli, poi gli disse di andare
al posto di sbarco che gli avrebbero spiegato tutto. Spiegato cosa, chiese Ercole, cosa mi devono spiegare.
Pensò che Raffaela potesse essere stata arrestata o fermata per documenti non in ordine, ma non
ebbe tempo per chiederlo al marinaio che si era già allontanato.
Si guardò intorno, e poco dopo vide un ufficiale con due marinai dirigersi verso di lui e gli altri che
continuavano a chiamare inutilmente persone che non rispondevano in nessun modo. L'ufficiale si avvicinò
a lui, uno dei marinai che gli stava a fianco era lo stesso a cui Ercole aveva chiesto se sua moglie si fosse
addormentata sulla barca.
L'ufficiale gli chiese se sua moglie si chiamasse Rafaela o Raffaela Molinari. Si, rispose Ercole. Di Cetraro?
No, disse in un primo momento Ercole, di San Marco, San Marco Argentano. Poi si ricordò che la moglie
era nata a Cetraro, e si corresse. Che cosa le è successo? chiese, convinto ancora che si trattasse di
documenti non a posto. Gli venne il dubbio che potesse aver fatto qualche danno sulla barca.
Veda, cominciò a dire l'ufficiale con evidente imbarazzo e con quell'accento del nord che faceva
supporre una sua avversione per tutti quelli che provenivano dalla Calabria, o almeno così gli
appariva ad Ercole, sua moglie con la bambina era tra quelli saliti sulla scialuppa di salvataggio ...
Ercole rispose di farla scendere che avrebbe provveduto a tutto lui, pagamento dei danni o che altro fosse
accaduto. Il silenzio che seguì consentì ad Ercole di accorgersi che anche le altre
persone nel frattempo si erano avvicinate a loro. Si guardò intorno quasi a chiedere ad ognuno di
loro se sapessero cosa avevano combinato di male i passeggeri di cui attendevano lo sbarco.
Poi, di colpo, l'ufficiale chiese a tutti di seguirlo, dirigendosi verso un basso caseggiato con un'insegna.
Entrarono in una grande sala d'aspetto seguendo l'ufficiale e un marinaio, mentre
l'altro chiudeva la porta alle loro spalle.
All'altro capo del mondo, a San Marco, Teresina Falbo e il marito Fortunato erano seduti ad un lato della
stanza, circondati dai parenti di lei e di lui, quando entrò don Luigi. Si era sentito in dovere
di spiegare a quei poveri genitori di Ercole che cosa era successo veramente, perché le voci che
erano circolate in quei quattro lunghi mesi avevano creato più confusione e più dolore,
di quanto la notizia di una morte, sempre tragica, ma non affatto originata da un'aggressione violenta,
avrebbe potuto generare.
Don Luigi fu fatto accomodare silenziosamente e con rispetto a capo del tavolo. Trasse dalla tasca un foglio
su cui aveva appuntato l'atto di morte di Raffaela Molinaro in Ricca e della figlia Teresina, così
come gli era giunto dal Consolato. Iniziò col dire non è vero che, elencando e ripetendo ogni
volta il non è vero, seguito dalle voci fantasiose che avevano accompagnato la notizia della morte.
Fortunato Ricca chiese se quel capitano del piroscafo, Luigi Boffo, Bolfo, o come si chiamava lui, avesse detto
la verità, che la nuora con una bambina in braccio si potesse essere arrampicata su una barca assieme
ad altri. Era una femmina, non era un uomo! E se invece l'avessero buttata apposta dalla nave?!
Don Luigi Credidio, il segretario, cercava di spiegare che i passeggeri erano spaventati per un piccolo incidente
occorso alla nave.
E allora dite che qualcuno della nave aveva ordinato di salire sulle barche e non che Raffaela con
la bambina aveva avuto l'idea, da sola, di saltare in barca! replicava Fortunato a don Luigi. Aggiungendo subito,
con tutto il rispetto e con l'amicizia che ci lega, temendo di offenderlo ed essendo per giunta vicini di casa,
abitanti entrambi al quartiere della Strada nuova. Scusatemi, se vi dico queste cose!
Fortunà, replicava il segretario, non è solo il capitano a dire come sono andate le cose. Ci sono
il medico, e prendendo il foglio ne legge il nome: Stefano Nosi che è domiciliato a Pamparato,
specificando anche il nome del comune per dare maggiore credibilità alle testimonianze, e un certo
Adolfo Covazzo di Genova. Mentre leggeva tutti tenevano la testa bassa tranne il fratello di Teresa, Giovanni
Falbo, che per essere uno dei più anziani tra i presenti e quello con più esperienza e influenza,
teneva gli occhi puntati su don Luigi spostandoli dalla bocca al foglio da cui leggeva i nomi.
Ma pure che fossero salite sulla barca e questa fosse precipitata a mare, perchè non li hanno
ripescati? chiese con la sua voce roca, fissando don Luigi negli occhi.
Erano le tre del mattino, buio pesto, c'era la luna nuova, a quanto risulta, ed è vero perché
il sedici novembre dell'anno scorso, del milleottocentonovantacinque, non c'era luna. La barca era stracolma.
Ah, e nessuno s'è salvato?
Qualcuno, sì, ma questo non lo so perchè il Consolato non
ci ha comunicato tutto tutto. Furono le parole che si scambiarono Giovanni e don Luigi, quasi come in
una sfida.
Poi di colpo Giovanni Falbo prese dal tavolo una busta gialla. L'aprì lentamente e, rivolto a don
Luigi, quasi fosse lui il responsabile della sciagura, lesse il contenuto.
Esordì con il nome, anzi con il titolo: Avvocato Luca Milone, seguito dall'indirizzo, piazza
Depretis 14,
NAPOLI, sillabando con enfasi il nome della città, a significare che non si
trattava di un avvocatuccio di provincia. Ci ha scritto perché a lui si sono rivolti già
vari familiari per il risarcimento che c'era stato un investimento del piroscafo a Gibilterra e che la
colpa non è come si dice dei passeggeri che erano saliti in troppi sulla barca semmai ...
E qui fu fermato dal cognato Fortunato Ricca: a questo certamente ci penserà mio figlio Ercole,
che certamente non se la terrà, così come viene raccontata, la morte di una moglie e di una
gioia di bambina di soli quattro anni!
Il pianto improvviso di Teresa riportò tutti a quello che doveva essere soltanto un momento di dolore
e di preghiera per le due anime benedette. Le donne iniziarono a recitare l'Ave Maria, gli uomini si alzarono
trasferendosi nell'altra stanza.
Don Luigi Credidio, colui che aveva cercato di spiegare come fossero andati i fatti, almeno in base alla
dichiarazione fatta dal capitano Luigi Bolfo del piroscafo Solferino al Consolato d'Italia in Gibilterra
quasi venti giorni dopo l'incidente, una volta uscito, estrasse nuovamente dalla tasca l'appunto per
assicurarsi di aver detto tutto di quanto era accaduto "il sedici novembre milleottocentonovantacinque
alle ore tre nel Capo Tre punte (Costa del Marocco) in conseguenza di investimento del piroscafo in detto
Capo, e per esser precipitati in mare da una lancia che presa d'assalto a nostra insaputa dai passeggieri
si ruppe pel troppo peso che conteneva".
L'unica cosa che aveva dimenticato di dire era che il piroscafo della Navigazione Generale Italiana apparteneva
alle società riunite Florio e Rubattino del compartimento di Genova, tuttavia
appallottolò l'appunto e lo gettò dal ponte di recente inaugurato, pensando che si
trattava di cosa senza alcun interesse per Fortunato e Teresa. Era sufficiente che lo avesse trascritto
correttamente nel registro dei morti.
Si incamminò verso casa continuando a chiedersi perché ci fossero voluti oltre quattro
mesi per sapere come erano andati i fatti e perché il capitano Bolfo avesse fatto la sua
dichiarazione al Consolato con venti giorni di ritardo, ma tenne per sé queste considerazioni che,
in ogni caso, non avrebbero riportato in vita le due anime benedette.
Si fece il segno della croce ed entrò in casa.
San Marco Argentano 28.3.2021
Paolo Chiaselotti