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LA MORTE DELLA SIGNORA TAVANO

La storia di oggi riguarda la morte nel 1870 di una vecchia signora. Si chiamava Giovanna Tavano ed era vedova. È un nome che non ci dice assolutamente nulla, sia perché non ebbe alcuna notorietà e sia perché non esiste oggi persona alcuna che abbia questo cognome.
- E allora dov' è l'interesse per questa morte?
L'interesse, almeno il mio, sta nel cognome Tavano, nella sua origine e nella sua attuale diffusione. Innanzitutto. Poi sul perché questa donna si trovasse nel nostro Comune.
Il cognome, oggi presente soprattutto in Calabria, nel Catanzarese, in Piemonte e nel Friuli, potrebbe essere un'aferesi del nome Ottaviano, o derivare dal nome di quell'insetto molesto chiamato tafano, almeno stando alla vox populi della rete. Ma non vi nascondo che più dell'aferesi di Ottaviano, sono stato attratto dalla seconda voce, che, perdonatemi l'indecenza, mi ha rimandato al ... tafanario, che sarebbe l'ampio posteriore equino preferito dall'insetto. L'involontario accostamento mi è stato suggerito dalle gonne dal voluminoso retro, imposte dalla moda dell'epoca.
Avrei potuto fare a meno di portarvi a conoscenza di questo mio pensiero indecente, ma talvolta sono proprio le curiosità a spingerci ad agire e a cercare risposte ai nostri dubbi.
Mi scuso dunque, a posteriori, per l'irriverente premessa, soprattutto scoprendo dall'atto di morte che Giovanna Tavano era un signora, vedova di don Raffaele. Ci tengo a rimarcare il termine signora, perché esso era usato solo per le persone di riguardo. Alla generalità dei cittadini non era preposto alcun titolo e qualora fosse prestampata la voce signore o signora, essa veniva depennata.
Oliverio era il cognome del marito. Sappiamo che era usciere della "regia giustizia", il che spiega quel don onorifico scritto sull'atto di morte della moglie.
Don Raffaele e donna Giovanna si erano sposati nel milleottocentoventisei. Lui quarantenne, lei di qualche anno più giovane. Dall'atto di matrimonio sappiamo che alle spalle di questi maturi sposi c'era un precedente matrimonio: lui vedovo di Maddalena De Pasquale, lei vedova di Michele Martino; la prima appartenente a famiglia della piccola borghesia, il secondo ad una stirpe di ferrari. Erano, insomma, entrambi cattivi, termine usato fino ad alcuni decenni fa per indicare la condizione di vedovi, ovvero prigionieri del dolore.
Nonostante i documenti consultati, non sappiamo da dove provenisse la famiglia di Giovanna Tavano. Raffaele Oliverio era nato a Fuscaldo. Nell'atto di matrimonio ci sono i nomi dei genitori degli sposi: Giovanna era nata a San Marco da Francesco Saverio Tavano e da Saveria Ruffo, entrambi deceduti alla data del milleottocentoventisei. Non sappiamo altro, tranne una registrazione sullo Status Animarum del 1804 (una sorta di censimento per quartieri) da cui risulta che componenti superstiti di questa famiglia erano due sorelle, donna Peppina di anni venti, donna Giovanna di anni quattordici, figlie del defunto don Francesco Tavano, e Cilla di anni otto, figlia del defunto mastro Domenico Ruffo, probabilmente un fratello di Saveria, la madre delle prime due. Che cosa era accaduto in queste due famiglie, Tavano e Ruffo, da lasciare orfane due sorelle e una loro cugina?
Scavando nei documenti alla ricerca di una risposta sul loro passato, abbiamo scoperto che Cilla si chiamava Giovanna Cecilia ed era figlia orfana di Domenico Ruffo e di Giuseppina De Marco. Di Peppina Tavano non abbiamo trovato alcuna traccia nè precedente, nè posteriore allo Status Animarum anzidetto, per cui riteniamo che si trasferì altrove o, più probabilmente, sia morta prima del 1810, anno del primo registro dei morti custodito negli archivi del Comune. Conosciamo, però, il seguito della storia delle cugine Giovanna Tavano e Giovanna Cecilia (Cilla) Ruffo: quest'ultima si sposò nel 1811, all'età di quindici anni, con Francesco Talarico, mentre la prima si sposò forse un anno prima con Michele Martino.
Dal primo matrimonio Giovanna Tavano ebbe due figlie, oltre ad un primogenito morto prematuro, e due figlie dal matrimonio con Raffaele Oliverio. Le prime due si sposarono con due "forestieri": un massaro di Cervicati, Raffaele Fiorito, e l'altro, Pasquale Ricioppo, un sarto di Cavallerizzo. Una delle figlie di Oliverio, Maria Elisabetta, detta Bettina, sposerà nel 1848 un pittore.
Giovanna Tavano si ritrovò nel corso della sua vita a superare non poche difficoltà; prima orfana e poi per due volte vedova con quattro figlie. Come riuscì a cavarsela? Direi bene, molto bene. Ricorse a quell'aiuto che un tempo era offerto dai legami familiari che si creavano attraverso matrimoni di congiunti e collaterali. Notiamo, infatti, che alcuni cognomi ricorrono in più famiglie legate da vincoli matrimoniali. È il caso del genero Vincenzo, il pittore.
A qualcosa Giovanna dovette rinunciare nel corso della sua sfortunata esistenza, innanzitutto al tenore di vita agiato che le famiglie di origine e quelle delle due unioni matrimoniali le avevano assicurato, pur se per breve tempo, ma anche a quel privilegio di poter aspirare per le proprie figlie ad un matrimonio di prestigio.
Due figlie sposate a due forestieri e una terza sposata ad un pittore, di cui ignoriamo capacità, opere e committenze. E c'era di più. Quel giovane artista di belle speranze aveva un cognome che, pur promettendo un futuro radioso, rivelava un'origine non del tutto lineare. Il suo cognome era Fortunato, il che lasciava intendere che la nascita era frutto di una relazione illegittima. Abituata a ben altro Giovanna acconsentì alle nozze di sua figlia con il giovane, sapendo comunque che il padre naturale era un De Marco, una famiglia abbastanza nota ed agiata, e in qualche modo legata anche a lei attraverso parenti diretti o acquisiti.
Affidò il futuro prossimo della figlia Bettina a Vincenzo Fortunato, e quello più remoto alla coscienza dell'occulto consuocero. I suoi desideri si avverarono: Don Pietro De Marco, dottor fisico, riconobbe Vincenzo come proprio figlio sposandone la madre nel milleottocentocinquantatre. Giovanna Tavano concluse quasi ottantenne, come donna, madre e nonna, il suo difficile percorso terreno, ritornando alla fine ad essere la gentildonna che tutti avevano conosciuto negli anni migliori.

A me piace immaginarla con un lungo abito scuro, dall'ampio rigonfiamento della gonna, come ancora si usava nella seconda metà dell'Ottocento, mentre si chiede chi sia quello sfacciato che ha osato parlare di lei, dei suoi affetti e dei suoi ricordi.

San Marco Argentano 23 gennaio 2021

Paolo Chiaselotti

Vedi anche Cognomi e storie nell'Ottocento


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