ERA IL 9 SETTEMBRE 1889 ...
La storia di oggi è la cronaca di una baruffa tra vicini, di quelle che finivano
a botte e che a ficcarci il naso si rischiava di diventare nemici a morte con alcuno
o con tutti i protagonisti. Di essi, ormai defunti, non mi preoccupo, mentre ho
qualche perplessità nel rivelare la loro esatta identità, temendo
che qualche discendente possa affrontarmi a muso duro e impormi di togliere dalla
rete vicende che dovrebbero essere coperte dalla privacy!
In un'epoca in cui non fa scandalo mostrare il proprio culo su Facebook, parlare
di antenati finiti sotto processo può risvegliare risentimenti per me incomprensibili,
ma a giudizio degli interessati pienamente legittimi. E francamente essere citato
in giudizio per aver violato il diritto alla riservatezza di persone morte e sepolte
nell'arco di due secoli mi metterebbe in seri guai, avendolo fatto per migliaia
di casi!
Mettiamola così: io vi rivelo nomi, cognomi e retroscena a patto che voi
non ne facciate parola con nessuno.
Immaginate di essere in un'aula del tribunale, anzi nella vecchia pretura di San
Marco, che all'epoca dei fatti era ospitata in un palazzetto sottostante la piazza
di basso, da poco intitolata al poeta Vincenzo Selvaggi dei baroni di San Giorgio,
morto all'età di ventidue anni il 12 settembre del 1845.
Se oggi cercate la Pretura, non la troverete più.
"Perchè questa dovizia di particolari?" vi chiederete. Per dare
maggiore veridicità ai fatti, ma anche per creare quell'ambientazione che
vi consentirà di rivivere appieno le vicende del passato.
Sul banco degli imputati, di una sala gremita -i fatti altrui sono sempre occasione
di spettacolo, altrimenti non ci sarebbe il detto che i panni sporchi si lavano
in famiglia- ci sono quattro persone, tre donne e un giovanotto. Quest'ultimo, a
capo chino, resterà in silenzio per tutta la durata del processo.
Il giudice è un signore di circa quarant'anni, che all'epoca sembravano molti
di più, soprattutto con addosso la toga nera prescritta dal regio decreto
emanato dal re Vittorio Emanuele II nel 1865. Insomma quella persona era già
anziana per aspetto e per diritto. A quel tempo non esistevano i cellulari e, quindi,
non poteva sapere se la sua gentile consorte avvertisse qualche disturbo per la
gravidanza da poco iniziata. Immaginiamolo, dunque, impegnato nel suo ruolo giudicante,
con un'aria severa, ma addolcita dall'idea di essere prossimo padre.
Il giudice, ascoltando la donna che sedeva sul banco degli imputati, assieme a due
sue figlie e ad un figlio, tutti con cognomi diversi, avrà pensato senz'altro
a questa stranezza, giungendo alla logica conclusione, lui uomo di legge, che si
trattava di figli nati da differenti matrimoni.
"Benedica!" si sarà detto, riflettendo sul fatto che la donna,
oltre ad aver picchiato la vicina, aveva seppellito tre mariti.
E qui mi viene spontaneo immaginarlo alquanto preoccupato di avere di fronte a sè
una donna che per ben tre volte aveva disinvoltamente violato quei principi del
vivere civile che volevano una vedova vincolata per sempre al suo lutto maritale
e ai figli, propri o del consorte vedovo o di entrambi, come nel caso dell'imputata.
La matriarca, inoltre, doveva incutere un certo timore per il suo passato, per il
numero dei figli messi al mondo, e per il suo ultimo matrimonio.
Vi chiederete chi fosse e cosa avesse fatto il suo terzo marito. Lui niente, ma
un fratello maggiore di nome Francesco "aveva passato gran parte della sua
vita tra i camorristi delle prigioni e la sua fedina penale era così piena
di delitti da far invidia al peggiore dei ladri e manutengoli". Immaginate
che l'intero consiglio comunale, alla notizia della sua scarcerazione, aveva chiesto
un intervento precauzionale al Prefetto!
Vediamo chi era invece la parte offesa, la malcapitata finita nelle mani dalle tre
Erinni.
Sappiamo solo che si chiamava Rosaria Di Cianni. Non conosciamo nè l'età,
nè i nomi dei genitori. Dagli archivi dello stato civile sappiamo che erano
nate due donne con questo nome: una nel 1825, l'altra nel 1861. Direi che potremmo
escludere la prima visto che all'età di sessantaquattro anni era troppo matura
per lasciarsi andare a qualsiasi azione, commento o pettegolezzo che potesse offendere
una donna come Angiola Maria e le sue figlie.
L'altra, che aveva ventotto anni, era madre nubile di un figlio di quattro anni.
Non sappiamo chi fosse il padre, ma sappiamo che la madre, rimasta orfana con altri
fratelli e sorelle, non si sposò e probabilmente fu mandata a servizio presso
qualche famiglia, così come era successo ad un sorella.
A volte le coincidenze ci fanno pensare che le cose non avvengono per caso. Io non
sono tra questi, ma sono convinto che il giudice Gaetano Algaria fosse a conoscenza
che la sorella della donna aggredita era stata violentata a Cosenza dal cancelliere
della pretura che egli ora dirigeva.
Certamente conosceva i trascorsi delle persone che aveva di fronte. Era sicuro di
sapere da che parte stava il bene e da che parte stava il male, la giustizia e l'ingiustizia,
ma anche che i ruoli si potevano invertire.
Io, leggendo questo processo, ho pensato che forse Rosaria Di Cianni se la fosse
cercata, per aver parlato male della vedova o dei suoi figli.
Il giudice, attenendosi ai fatti, la pensò diversamente. Condannò
gli aggressori. Le pene inflitte furono commisurate all'entità del reato:
due giorni di carcere e cinquantuno lire di multa ad Angela Maria, venti lire di
ammenda a Francesca e a Grazia, dieci lire a Michele.
Ma quale potrebbe essere stato il movente dell'aggressione? Purtroppo non lo sappiamo,
ma spulciando tra i vari rapporti di parentela, tra le nascite e i matrimoni, sono
riuscito a trovare qualcosa che potrebbe essere all'origine della spedizione punitiva.
Ho scoperto che una figlia di Angela, e precisamente Grazia, coimputata, all'epoca
dei fatti era anch'essa, al pari dell'aggredita, madre nubile di un bambino di otto
anni, il quale a distanza di tempo sarebbe stato riconosciuto dal padre naturale,
un tale di nome Angelo.
Forse, ma non abbiamo alcuna certezza, quel giovane fu la causa scatenante della
rissa, considerando che due delle donne in causa potevano aver interesse a dare
un padre ai loro figli.
Insomma una questione di gelosia e forse anche di legittima rivendicazione. Il seguito
della storia ci dice che un tale Angelo riconobbe il figlio avuto da Grazia e che
Maria Rosaria rimase nubile. Potrebbe essere stato questo il motivo scatenante?
È possibile.
Angela Maria era madre e nonna e ciò che appare strano è che a partecipare
alla rissa furono la figlia maggiore del primo marito, sposata e madre di cinque
figli, una figlia del secondo marito, madre nubile, e il figlio del terzo marito,
appena maggiorenne.
Ma in tutta questa storia c'è qualcosa che non torna: Grazia aveva due fratelli,
maggiorenni e sposati, che non parteciparono a questa resa dei conti. Allora potremmo
pensare che la causa fosse Michele. Perchè? L'anno successivo lo troviamo
sposato, appena ventenne, con una coetanea, senza alcun passato da farsi perdonare
e con alle spalle una solida famiglia.
Anche questa motivazione potrebbe essere valida, supponendo che Michele sia solo
accorso per sedare la furia delle tre donne.
Questa è la complicata storia di oggi, ma forse al lettore interessa conoscere
anche il seguito cioè cosa accadde ai protagonisti negli anni a venire.
Su questo posso tranquillamente soddisfare ogni curiosità.
Angela Maria non si pentì mai di nulla. Maria Francesca si dedicò
anima e corpo alla famiglia. Michele, come ho detto, si sposò l'anno successivo.
Grazia, o chi per lei, costrinse il padre del suo unico figlio a dargli il cognome.
Francesco, il cognato delinquente di Angela Maria, morirà sei anni dopo.
Il giudice Gaetano Algaria continuò ad amministrare la giustizia nella pretura
circondariale di San Marco almeno per altri tre anni, padre felice di due figli.
Solo di Maria Rosaria, la parte offesa, non abbiamo trovato più alcuna notizia.
Dimenticata o emigrata nelle Americhe con il figlio.
Forse un giorno qualcuno mi scriverà per raccontarmi il seguito della sua
storia.
San Marco Argentano, 9 settembre 2018
Paolo Chiaselotti
Il pretore Algaria con tutta probabilità discende da una famiglia di Cassano
allo Jonio che ha tra i suoi personaggi più illustri Francesco Antonio Algaria,
pittore, e Gaetano Algaria, cantore della Cattedrale, vissuti nel Settecento. In
un annuario della Sicilia del 1905-1906 Gaetano Algaria è giudice a Caltanissetta.