ERA IL 7 LUGLIO 1822 ...
I dieci amministratori -tanti erano quando il consiglio comunale si chiamava decurionato-
potevano avere torto o ragione all'epoca dei fatti che vi racconteremo, ma certamente
odiavano profondamente una persona, sia per i suoi comportamenti privati, ma ancor
più per quelli d'ufficio.
Inizieremo col dirvi il nome di questa persona. Si chiamava Francesco Palma, Che
cosa ci faceva a Sammarco? Era il giudice, un giudice regio, cioè diretta
emanazione del re delle due Sicilie -allora eravamo i ... siciliani al di qua del
faro- che amministrava la giustizia in nome di re Ferdinando nel circondario di
Sammarco, che comprendeva tutti quei paesi che in seguito faranno parte del Mandamento
Giudiziario, da Cervicati fino a Cerzeto.
Una domenica di luglio -non perchè ispirati da Dio, ma perchè nella
prima domenica del mese si teneva la sessione ordinaria- i nostri amministratori,
o meglio gli amministratori dei nostri antenati, si riunirono per prendere in considerazione
l'amministrazione della Giustizia praticata dal Regio Giudice Signor Francesco Palma.
La prima cosa che viene da pensare è se l'amministrazione avesse un qualche
compito istituzionale nel merito. No, e ad un attento osservatore non sarà
sfuggito che la riunione dei dieci eletti aveva il fine di "
prendere in considerazione",
cioè di dire la propria opinione, non richiesta né da alcuna norma
né da alcun organo superiore, sul comportamento e sulle decisioni del suddetto
giudice.
Che cosa mai avrà dunque spinto quei sedicenti rappresentanti della città
-allora il voto non era un suffragio universale, votavano solo proprietari e alfabetizzati,
circa un centinaio di persone- a dare un parere non richiesto sul Regio rappresentante
della giustizia bitrinacre o tricalabra che dir si voglia?
Mi pare di udire la risposta, non la vostra, ma quella dei diretti interessati dell'epoca:
Perché è nu piezzu 'i ...(irripetibile)
A quel tempo le sedute non erano pubbliche, e quindi non sappiamo neppure per tradizione
orale quanto abbiano potuto dire, in maniera più o meno veemente e colorita,
quei dieci bravi cristiani, però possiamo cercare di "trasporre" su un piano
immaginifico audiovisivo il contenuto della loro deliberazione.
Tenteremo, dunque, di sceneggiare la seduta del sette luglio 1822, come se avessimo
potuto assistervi.
Il sindaco, Giovanni Selvaggi, trentadue anni, introduce l'argomento, specificando
che l'oggetto delle discussione riguarda il giudice Francesco Palma. Silenzio.
E come pratica l'amministrazione della Giustizia.
Sguardi che si incrociano, teste basse. Silenzio assoluto.
Don Giovanni Selvaggi continua: nell'intero circondario.
Don Gaetano Rinaldi scrive: ... nell'intero circondario.
Si sente solo la penna che si intinge nel calamaio.
Don Gennaro Fazzari, si alza e chiude le finestre nonostante il caldo. Nessuno obietta:
don Gennaro è un saggio.
- Un malcontento generale - prosegue il sindaco.
Tutti, o quasi annuiscono. Antonio Seta, dottore fisico, si gira verso il suo vicino
che solleva la testa come se guardasse il soffitto, con gli occhi chiusi.
Silenzio. Anche del pennino.
- Malcontento per gli ausi di potere - Abusi, scrive Rinaldi, che comprende il significato
delle parole biascicate o dette a mezza bocca.
Silenzio.
- Non è meglio eccesso di potere? - avanza timidamente don Filippo Talarico.
- Già scritto abusi! don Filippo - precisa il segretario Rinaldi.
Sbadiglio di don Filippo.
- Continuo? - chiede il sindaco.
Silenzio.
- Arresti illegali -
- Non basta arresti? Arresti sono arresti. È la sostanza che conta - don
Michele Valentoni.
- Caso mai: troppi arresti, oppure: arresti per i quali a volte non se ne vede del
tutto la ragione - don Gennaro.
- Già scritto Arresti illegali! - precisa don Gaetano Rinaldi.
- Carcerazioni dei testimoni in affari correzionali e in contravenzioni - prosegue
il sindaco.
- Questa è sporca -
- Indegna di un giudice -
- Estorcere la confessione -
- Pur di uscire è ovvio che uno mente su tutto e su tutti -
Ognuno fa a gara per esprimere il proprio biasimo. Il sindaco è costretto
ad alzare la voce:
- Intrusione in affari amministrativi -
- Esatto! Tu, giudice regio, io vengo da te e ti dico questo o quello? Mi intrometto
nelle tue cose? -
- Mandi le guardie: portatemi questa delibera, le spese, sequestrate i rendiconti.
Ouh! -
- Questa è! Gravissima! È ingerenza -
Don Giovanni Selvaggi: - Aspettate che mo' viene il bello -
Attesa.
Scandendo le parole:
- Procurando l'arresto degli imputati e negando il diritto alla difesa!! Stiamo
scherzando?! -
- Se continua così oggi siamo rimasti sette, domani saremo quattro -
Mani sotto il tavolo per gli scongiuri.
Il sindaco incalza: - Privandoli anche di domandare appello !!! -
Coro di interventi con improperi (qui non trascritti).
- Questo è abuso. Abuso. È violenza privata. È come metterti
dentro e buttare la chiave! -
- No, siamo al colmo. Dopo questo cosa c'è? Solo la morte! -
I commenti si intrecciano, si accavallano, le voci si fanno concitate, parolacce,
bestemmie e insulti si alternano alle considerazioni. Scappa anche qualche lacrima
all'immagine di una moglie lasciata a casa con i figli e il marito portato via in
catene.
Il caldo non da tregua. Don Gaetano Rinaldi ha difficoltà a scrivere, quando
improvvisamente qualcuno grida:
È nu puorcu!
Un attimo di imbarazzo. Il pensiero corre ai commenti salaci fatti al circolo sulle
consorti di alcuni decurioni. Malelingue, voci prive di fondamento, ma una di seguito
all'altra al sindaco e al segretario giungono le precisazioni da inserire in delibera:
- dando cattivo esempio col suo costume immorale -
- colle donne -
- e lascivo! -
- O no? - chiede prudentemente don Filippo, proponente dell'ultimo capo di accusa,
al sindaco.
- Certo. Lascivo! L'essenziale è che la deliberazione la firmiamo tutti -
risponde don Giovanni Selvaggi guardando ognuno dei presenti negli occhi.
Tutti d'accordo, purché vada nelle mani giuste.
In un crescendo di entusiasmo ogni consigliere suggerisce un destinatario:
- A Sua Eccellenza il Consigliere di Stato Ministro di Grazia e Giustizia -
- Al Regio Procuratore generale presso la Gran Corte Criminale -
- A Sua Eccellenza il Signor Commissario del Re le due Sicilie -
- Quale Due Sicilie. Per le tre Calabrie -
- E anche al Signor Regio Procuratore -
Vengono riletti i destinatari. Tutti d'accordo. Approvato.
Il sindaco: - Va be', ma cosa deliberiamo? -
- Di ... di ... di mandarlo a casa sua! -
- Di destituirlo con vilipendio e farlo girare come esempio di cattiva giustizia
per tutto il Regno -
- Siamo seri! -
Silenzio.
Don Michele Valentoni: - La competenza a questo punto è del sindaco. Noi
diciamo che deve essere destituito, punto, poi resta al sindaco di fornire tutti
gli elementi utili quando se ne ordinerà l'istituzione. Non vi pare? -
A tutti parve.
Il sindaco voleva obiettare che ... ma tutti i decurioni erano già usciti,
tranne il decurione segretario don Gaetano Rinaldi che ultimò di scrivere
la deliberazione.
Gli anni passarono. Cambiarono i decurioni. Il giudice regio Francesco Palma rimase
al suo posto.
San Marco Argentano, 7 luglio 2017
Paolo Chiaselotti