Era il 7 ottobre 1930 ...
Quando mi accingo a parlare di una ricorrenza lo faccio sempre con un sentimento
di profondo rispetto per le persone che, vive o morte, sono protagoniste o in qualche
modo partecipi della storia da me narrata.
Quella di oggi è una ricorrenza particolare per una serie di motivi. Il primo,
che reputo il più importante, è che si tratta dell'anniversario di
una morte, che pure se lontana nel tempo richiama sempre alla mente il ricorrente
dolore dei vivi.
Un dolore che cambia da persona a persona, per sensibilità, legami, età,
ma che per tutti coloro che hanno avuto modo di provarlo è un sentimento
strettamente legato all'amore per l'altro.
L'altro motivo è che la morte, avvenuta come oggi, riguarda una bambina di
nove anni. Pur essendo passati quasi novant'anni da quella data, io vi invito a
pensare al dolore dei genitori, anche se non ne conoscete nomi e storia familiare,
e a quello della madre in modo particolare.
Un fratellino, Antonio, con i suoi sette anni, e quindi con una diversa percezione
del lutto, provò certamente anche lui un profondo turbamento. È probabile
che data la sua giovanissima età egli abbia avuto più paura che dispiacere,
anche perchè, appena due mesi prima, gli era morta un'altra sorellina di
appena un anno, Rosa.
I bambini a cui muore un famigliare sono impauriti, ma nello stesso tempo sollevati
al pensiero di essere sempre vivi. Tutti sappiamo che una delle domande ricorrenti
di un bambino è quella che riguarda la fine della vita. Nella fase del lutto
ciò che li colpisce è tutto l'apparato scenico: l'allestimento funerario,
i pianti, le grida seguite dal silenzio, la penombra e via dicendo.
Possiamo dire che l'esternazione del dolore fosse diversa negli anni di cui parliamo,
cioè degli anni Trenta, anzi del 1930, l'VIII anno dell'era fascista? Forse
in quella casa il dolore era più composto, anche se esso si riproponeva a
distanza di soli due mesi nelle stesse forme e nella stessa sostanza: due future
donne, partorite a distanza di sei anni una dall'altra, morte nello spazio di due
mesi. Una madre, Maddalena, china a piangere sulle due piccole bare la prima domenica
di agosto e poi il secondo martedì di ottobre, mentre tutt'intorno si udivano
importuni e inopportuni rumori di scarpe chiodate.
Vediamo anche di inquadrare sotto il profilo storico gli anni di cui stiamo parlando.
Se il teschio e il nero sono i segnali del lutto, allora erano esibiti ed ostentati
come immagini di forza e di sfida: un teschio adornava berretti e pugnali come simbolo
di ardimento, la camicia nera era l'indumento principale della divisa fascista,
stendardi e gonfaloni su cui campeggiava un fascio littorio avevano un fondo completamente
nero.
In quegli anni l'idea che il nero fosse lutto e dolore e che il teschio fosse la
morte che mieteva vittime doveva essere cancellata dall'immaginario collettivo.
La morte rappresentava un atto di eroismo strettamente legato alla Patria: si viveva
e si moriva per essa e per essa si riceveva e si dava la morte.
La foto in alto ben rappresenta lo spirito di quegli anni: un bambino, non ancora
inquadrato nelle giovanissime leve addestrate militarmente, solleva l'esile braccino
per imitare il saluto romano, simbolo di coraggio e fierezza di un popolo intero.
Sogna di poter indossare anche lui una divisa fascista.
Le canzoni che venivano loro insegnate erano anch'esse intrise di orgoglio e di
morte: All'armi siam fascisti, a morte i comunisti! era una delle strofette musicali
che risuonavano tetre nelle ore notturne assieme al passo spedito di chi si apprestava
a compiere una missione "salvifica".
Nella casa in cui, a distanza di due mesi vi erano stati due lutti, il capofamiglia
indossava da sempre una camicia nera come parte della propria divisa di milite forestale.
Il moschetto, la pistola e il pugnale, le armi in dotazione, erano parte integrante
della persona che indossava la divisa. In casa di Carmine, questo era il nome del
capofamiglia, camicia nera, divisa e armi facevano parte dell'arredo, al pari di
mobili, tende e tappeti. Anche un gesto di affetto si consumava tra la rudezza dei
panni e quella costante presenza di strumenti di morte.
Vi chiederete perchè vi stia parlando della morte di Concettina e di Rosa,
del pianto di Maddalena, della figura di Carmine, dei pensieri del piccolo Antonio
e dell'epoca in cui ciò si svolse?
Vi sembrerà strano ma la storia, per quanto ci riguarda, si ferma qui, perchè
delle persone e dei luoghi conosco solo quanto vi ho esposto e considerato, e anche
voi, se andaste a cercare tra i nostri documenti altre notizie riguardanti questa
famiglia che abitò qualche anno in via dei Normanni, in una delle tante case
che formano il cosiddetto quartiere del Casalicchio, non trovereste nulla, tranne
qualche rapporto di servizio del brigadiere Carmine Pallante nelle quotidiane ispezioni
nei boschi del nostro circondario.
Qui dovrei davvero interrompere il racconto perché so che a nessuno interessa
sapere che cosa accadeva a San Marco nel 1930, tutt'al più potrebbe interessare
sapere chi fosse Carmine Pallante o che cosa fece in seguito Antonio Pallante, perchè
essendo cambiati i tempi, non avendo più passioni insane come quelle sopra
descritte, ed essendo o informati sulla nostra storia più recente o curiosi
di sapere dove accidenti voglio arrivare, so già che andreste a cercare in rete
prima il cognome e poi uno dei due nomi e scoprireste che ...
Quel bambino di nome Antonio Pallante, che visse, giocò e andò a scuola
per qualche anno con altri bambini di San Marco, si rese protagonista di una pagina
di storia di rilevanza nazionale.
La morte, di cui egli fu spettatore impotente e in qualche modo vittima, decise
di affidare alle sue mani la vita di uno dei maggiori esponenti della politica italiana:
il capo del partito comunista.
Antonio Pallante, che il 14 luglio 1948 sparò quattro colpi di pistola a
Roma, all'uscita del Palazzo di Montecitorio, contro Palmiro Togliatti, era lo stesso
bambino che vide morire le sue sorelle in una casa del popolare quartiere del Casalicchio.
A volte la storia ci sfiora senza coinvolgerci. Nessun rapporto tra la nostra comunità
e questo fatto di sangue, tranne la presenza occasionale dell'esecutore di un attentato
che rimarrà nella storia dell'Italia.
A lungo la stampa, gli storici, la politica si interrogarono su possibili complicità
internazionali nell'attentato, su fini occulti e mai chiariti. Antonio Pallante
disse sempre che il suo gesto fu dettato solo dall'idea di salvare la Patria dal
pericolo del comunismo. La visione di un predestinato.
San Marco Argentano, 10 ottobre 2018
Paolo Chiaselotti