ERA IL 29 GIUGNO 1829 ... La storia di oggi, ricorrenza religiosa di due pilastri del cristianesimo, i santi Pietro e Paolo, inizia con tre estreme unzioni in tre punti diversi del paese a tre persone non legate da alcun vincolo di parentela. Il diciannove di agosto e nuovamente tre giorni dopo accadrà la stessa cosa. Che cosa uccideva all'improvviso più di una persona nello stesso giorno? Non lo so. Fatto sta che negli altri giorni di quest'anno e nei due anni successivi le morti erano quasi quotidiane e superavano di gran lunga la media delle morti degli anni immediatamente precedenti e seguenti. Anche il numero dei matrimoni in quell'anno, 1829, fu inferiore a quello degli altri anni. Era come se si fosse spenta ogni speranza di vita. Ho cercato sulla rete qualche dato che potesse fare riferimento a carestie e/o pandemie verificatesi in quegli anni. Nel 1829 troviamo una diffusione di vaiolo a Torino e in altri paesi europei, mentre vi sono accenni di epidemie in altre zone dell'Italia, incluso il meridione, ma non ho trovato testimonianze ampie e particolareggiate come quelle che descrissero il colera del 1855. Vediamo di scoprire qualcosa di più su queste morti avvenute il 29 giugno 1829. Uno è un bambino di due anni: suo padre era morto l'anno prima, ad agosto, nell'Ospedale di Cosenza. La famiglia composta da madre e tre figli abitava nel quartiere Puzzillo (oggi via Ario Tarrutenio). Un altro figlio morirà l'anno seguente, ad agosto, all'età di sei anni. Sopravviveranno la madre, Maria Pepe di San Lauro, e un figlio, Vincenzo Ambrosio o D'Ambrosio, che avrà il tempo di vedere spirare i suoi figli prima di morire in età ancora giovane. Ciò che mi ha incuriosito è la figura della madre. Di lei ho scoperto che ebbe quattro mariti e che sopravvisse anche all'ultimo. Una costante nella famiglia quella di connubi vedovili: il padre si era sposato tre volte. A volte le disgrazie portano alla luce storie altrimenti sepolte con i corpi. Chi era l'altra persona che ricevette il sacramento estremo in quel fatidico giorno del santo clavigero e del suo spadato compagno? Beh, se l'immagine può suggerire quasi una vendetta divina, vediamo cosa potrebbe aver scatenato l'ira celeste. Scopriamo che l'altra persona era una vedova ultra cinquantenne al suo secondo ed ultimo matrimonio. Ebbe la fortuna di non vedere morire alcuno dei figli perchè non ne ebbe alcuno. Il suo primo marito era pellaro e vissero al Puzzillo, con il secondo, un vigoroso vedovo dalle forti braccia, condivise fuoco e paglia al Critè, il quartiere più popolato in quegli anni. Saveria Vetere, questo era il suo nome, non lasciò storia: triste destino per una donna, additata come infeconda e vogliosa, ma di fatto madre di figli non suoi. Il vedovo la sostituì con una terza sposa. A voler cercare il pelo nell'uovo si potrebbe dire che il cielo sembra voler punire il ricorso troppo frequente all'unione di beni e di carni diverse, dando l'impressione di colpire duramente quanti ignorano i messaggi divini. Se il vostro monogenismo vi induce a ritenere probabile o certa questa ipotesi, ascoltate la terza storia. La terza vittima di quella falcidia -ah, verba improprie!- di fine giugno del 1829 fu un bambino di quattro anni, raggiunto dopo tre mesi dalla sorellina da poco nata e dopo qualche anno, in contrada Matina, da un terzo fratellino di otto anni. Michele, il padre, e la madre, Teresa, venivano da Fagnano. Non si separarono mai: lui trasportò e macinò grano fino alla morte, poco più che cinquantenne. Teresa, rimasta sola, forse fece ritorno a Fagnano. Nessuna unione successiva, nessuna discendenza da unioni diverse: figli e giacigli condivisi fino alla morte. Questo per dire che anche i santi possono sbagliare oppure essere talvolta distratti. Qualunque sia la nostra idea su un presunto intervento divino a scapito di questo o quell'individuo, o di intere popolazioni, possiamo concludere concordemente che le possibilità in gioco sono due: o sbagliamo noi o sbagliano i santi. Al di là di colpe e punizioni, rimane sempre l'enigma: di cosa morirono tutte quelle persone? Da alcune pubblicazioni su Internet ho trovato che il colera fece la sua prima comparsa in Italia nel 1835. Se il vaiolo colpì Torino nel 1829, non è possibile che la stessa epidemia si sia diffusa anche in altri Stati italiani, incluso il Regno delle due Sicilie? Se fosse vera questa ipotesi, cioè che in quegli anni ci fu il vaiolo a San Marco, perchè non si trova traccia in alcun documento dell'epoca, incluse le deliberazioni decurionali del nostro Comune? Forse la risposta potrebbe trovare una spiegazione nella Ragion di Stato. Il governo borbonico si era fatto vanto di aver introdotto nel regno, fin del secolo precedente, profilassi e leggi speciali per debellare il vaiolo. Per quanto riguarda il nostro Comune nel 1829 e nel 1830 due deliberazioni decurionali stabiliscono obblighi in materia di seppellimenti e l'ubicazione di un camposanto, in applicazione delle norme contenute nel Real Decreto del 12 dicembre 1828. Mi sa tanto, però, che mi sto sbagliando. Paolo Chiaselotti
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