ERA IL 26 OTTOBRE 1830 ...
Esattamente come oggi, centottantasette anni fa, in una stanza nel quartiere di
Capo delle Rose, si chiudeva l'ultimo atto di una tragedia che aveva colpito un'intera
famiglia.
.
I protagonisti di questa storia sono due genitori e i loro cinque figli. Provenivano
da Cetraro, più precisamente dalla località Sant'Angelo, dove il padre
svolgeva l'attività di contadino. L'uomo si chiamava Michele e la moglie
Mariangela, si erano sposati nell'ottobre del 1817, un anno decisamente infausto,
non per il numero ovviamente -anche se vi sono persone che credono in queste cose-
ma perché fu l'anno in cui una terribile carestia si abbattè su varie
parti del pianeta. Era un martedì il giorno in cui furono uniti in matrimonio,
ritenuto, assieme al venerdì uno dei due giorni più infausti della
settimana: nè di vennere nè di marte nè si spusa nè si
parte, diceva un vecchio proverbio popolare alludendo al giorno del lutto
e a quello della guerra. Sciocchezze, avrà detto lo sposo, pensando che la
guerra la stavano già combattendo contro la fame.
Le famiglie di Michele e di Maria Angela li sostenenero a vicenda in quei terribili
giorni e superarono, certamente con mille stenti, quella prima terribile prova.
L'anno successivo nacque il loro primo figlio, Gaetano. Era il 4 ottobre del 1818.
Era domenica quando nacque, il giorno del Signore: un buon segno. Fu chiamato Gaetano,
come il Santo della Provvidenza, o forse come uno zio materno.
La vita a Sant'Angelo continuava con i problemi quotidiani, ma senza più
l'incubo della fame. E dopo tre anni venne il secondo figlio, quasi alla fine di
marzo del 1821. Fu chiamato con il nome di Niccolò.
Michele era scrupoloso, sapeva che la natura non andava forzata. Bisognava dare
alla terra il tempo per germogliare e alla donna quello per allattare e partorire,
e così tre anni erano il periodo giusto per accrescere la famiglia. Da tre
anni a tre anni nacquero altri tre figli, tutti maschi: Fedele nel 1824, Pietro
Maria nel 1827, Luigi a gennaio del 1830, tutti sulla ventilata collina di Sant'Angelo
e tutti in buona salute.
Alcuni mesi dopo la nascita di Luigi a Cetraro cominciarono a verificarsi alcuni
decessi: chi parlava di una malattia venuta dal mare, chi di un castigo di Dio,
ma correva voce che vi fossero in giro avvelenatori, gente che invocava il demonio
o spargeva polveri o liquidi preparati apposta per far morire la povera gente. Alcuni
dicevano che erano mandati dal Governo, altri che si trattava di nemici del re,
altri di fattucchiere, speziali, forestieri, tutti sospettati di usare arti e sortilegi
per compiere i loro misfatti contro la povera gente. Michele, che aveva sfidato
la sorte, sposandosi di martedì, capì che o avvelenatori o castigo
di Dio l'unica soluzione era abbandonare quei luoghi così esposti e rifugiarsi
all'interno, sulle montagne o oltre queste. Prese le poche cose che aveva, caricò
l'asina e il carro, e tutta la famiglia, la moglie con il piccolo Luigi al seno,
si avviò verso luoghi più sicuri. Era la primavera inoltrata quando
giunsero a San Marco, dove qualcuno, arrivato prima di loro, già li aspettava.
Trovarono casa a Capo delle Rose, un basso e un magazzino, in pietra, abbastanza
solido e più che sufficiente per le poche masserizie.
Le giornate d'estate furono calde, la terra si spaccò più del dovuto,
l'acqua comincị a scarseggiare. A luglio Gaetano, il figlio maggiore di dodici
anni, cominciò a sentirsi male: forse il caldo, forse l'acqua e chissà
quante altre ipotesi pur di allontanare l'idea che brividi, vomito e diarrea, non
se li fossero portati appresso da dov'erano fuggiti. Fatto sta che il ventisei luglio
del 1830 Gaetano cessò di vivere, lasciando uno spazio vuoto che nessuno
osava occupare. Il saccone che fungeva da letto a malincuore fu bruciato. Ad agosto
giunse voce di due morti nello stesso giorno, poi di altri due nel giorno seguente:
bastò questo perchè anche a San Marco serpeggiassero i sospetti. Per
la famiglia venuta da Cetraro i colpevoli potevano essere gli stessi che avevano
avvelenato il loro paese, per i sammarchesi potevano esserlo a maggior ragione tutti
i forestieri.
Qualcuno spiegò che avevano dei parenti a Troncone, e tutti lavoravano nelle
terre dei signori Fazzari. Il nome dei padroni allontanò i sospetti anche
dei più diffidenti, ma ciò che più convinse che quella povera
gente non avesse nulla a che fare con polveri e veleni fu la morte della donna il
sette ottobre 1830, tre giorni dopo la morte di sua madre, nella predetta contrada.
I sospetti si allontanarono da quella casa lasciando il posto alla paura del contagio,
che allora era una parola sconosciuta, e si diceva che la malattia, qualunque essa
fosse, veniva "'mišcata".
Luigi, di otto mesi che ancora era nutrito dalla madre, morì dopo alcuni
giorni. In casa, senza l'aiuto di alcuna donna, erano rimasti Fedele, Pietro e Niccolò
con il padre Michele, che doveva occuparsi di loro e del lavoro nei campi. Niccolò,
di nove anni cercò di fare la sua parte di bambino reso adulto dalle circostanze.
Dopo una settimana corse a chiamare il padre perchè Fedele, sei anni, tremava
e vomitava: se ne andò per sempre, lasciando che ancora tremava Pietro, il
fratello più piccolo. Morì anche lui due giorni dopo. Michele e Niccolò
erano rimasti soli, con la speranza che il fuoco avesse fatto piazza pulita dei
veleni. Era ottobre, si aspettava la pioggia che tardava a venire. Venne dopo il
ventisei, quando anche Niccolò era morto.
I cinque figli di Michele e di Mariangela si erano spenti nell'arco esatto di tre
mesi, dal 26 luglio al 26 ottobre del 1830. Michele fece ritorno a Cetraro dove
l'anno successivo si risposò.
San Marco Argentano 26 ottobre 2017
Paolo Chiaselotti
In alto uno schizzo di Vincent Van Gogh