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ERA IL 1° SETTEMBRE 1861



Il 1° settembre del 1861 il consiglio comunale di San Marco (ancora non si chiamava Argentano, nome che assumerà l'anno successivo) delibera di indennizzare con ottanta ducati il proprietario del terreno denominato Santomarco per i danni arrecati a seguito della riparazione della fontana.
La deliberazione è una delle tante che hanno per oggetto questa fontana, la più importante del paese, periodicamente sottoposta a lavori di riparazione.

Vediamo di descrivere le vicissitudini del più importante punto di approvviggionamento d'acqua del paese dai documenti che abbiamo trovato nelle nostre ricerche.

Iniziamo da una prima "rifazione" nel 1819, non sappiamo se iniziata in ritardo o se i lavori abbiano richiesto più anni, visto che due anni dopo è nominata una commissione di controllo composta da quattro persone. Alcuni mesi dopo il decurionato decide di stornare i fondi del costruendo camposanto per destinarli alla fontana "cotanto necessaria per il comodo e per la salute della Popolazione per essere la più vicina e per produrre la miglior acqua"

Passano due anni e l'aggiunta di fondi si rivela insufficiente per la complessità dei lavori. Vengono prelevati altri fondi sottraendoli a quelli destinati al predicatore quaresimale, al selciato della piazza (di basso), al contributo dei comuni interessati, tra i quali San Marco, alla costruzione della rotabile da Paola a Rossano.

Dobbiamo supporre che i lavori abbiano incontrato seri ostacoli, in quanto nel 1824 gli amministratori decidono di intervenire in qualche modo su altre due fontane, San Pietro e Acquanova (quel tumulo in pietra sotto l'attuale seminario), "troppo necessarie alla popolazione". Data l'esiguità della somma doveva trattarsi di lavori di pulizia e ripristino di somma urgenza, ai quali vengono preposti due controllori.

Ancora nel 1823 si rendono necessari ulteriori lavori alla "Fontana di Santo Marco ... fornita di tre canali".

Mancando alcuni registri non possiamo sapere se la fontana necessitò di altri interventi fino al 1860, anno in cui risulta da un atto decurionale datato otto luglio che una "immensa quantità di terreno mobile si è rinvenuta nella botte e nell'acquidotto".

Una perizia dell'architetto Francesco Sarpi determina in poco meno di 560 ducati l'ammontare complessivo dei lavori per ridare l'acqua al paese. Il quattro agosto dello stesso anno il decurionato viene convocato d'urgenza per reperire i fondi necessari al ripristino di quella che viene indicata come "unica e sola", segno che le altre o erano insufficienti o prive di acqua (eravamo ad agosto). La "sorgiva" che alimentava la fontana di San Pietro era "sperduta" e un intervento sarebbe risultato molto costoso.

Il ripristino della fontana di Santo Marco si rivelò molto complesso, in quanto non bastava liberare l'unica galleria di alimentazione della botte e lo stesso serbatoio, ma si rendeva necessario costruire un nuovo braccio di adduzione.
Venne presa in esame anche la possibilità di intervenire sulla fontana di San Francesco (non sappiamo se quella detta dell'Acquanova, o un'altra di cui si parlerà in seguito), ma l'idea fu scartata per tempi e costi.
Dalla deliberazione si comprende che doveva esserci stata qualche forma di protesta popolare visto che si parla di "mormorazioni della popolazione" che inducono gli amministratori a utilizzare immediatamente un fondo di duecento ducati disponibile, già destinato a lavori per entrambe le fontane, di Santo Marco e di San Francesco.
Il sindaco era Vincenzo Talarico e i decurioni presenti Leone Catalani, Luigi Mele, Antonio Cristofaro, Gaspare Valentoni, Vincenzo Candela, Vincenzo Cristofaro.

Un mese dopo il Governatore Generale della Provincia chiede dettagli sui lavori e sulla spesa, invitando il decurionato ad una verifica della perizia tecnica. Non avendo trascritto per intero la deliberazione, ma solo l'oggetto con note essenziali, non sono in grado di precisare esattamente il contenuto della richiesta e la risposta. Sta di fatto che tale richiesta è di venti giorni successiva alla deliberazione con cui abbiamo iniziato il nostro resoconto, cioè all'indennizzo di ottanta ducati per danni arrecati al proprietario del terreno interessato ai lavori di rifacimento.

Va detto che gli amministratori avevano previsto per tempo la costruzione di "una nuova fontana nel punto in cui si nomina Castagne di San Francesco [o Catucci in successiva deliberazione] in dove vi esiste una sorgiva abbondantissima di acqua prossima all'abitato" fin da marzo 1861, avvalendosi di un contributo governativo previsto dal Decreto Reale 23 gennaio 1861, ammontante alla "cifra esigua di 3915 lire (?)", affidandone il progetto all'architetto Sarpi e prevedendo l'esecuzione dei lavori in economia.

Certamente la mancanza d'acqua e le proteste popolari fecero cambiare idea ai decurioni che pensarono bene " invertire la cifra di 3915 ducati [in verità erano destinati ad opere stradali] per completare i lavori della fontana di Santomarco le di cui acque sono abbondanti e salutari"
A settembre quel gran contenitore pressoché vuoto, che dell'ignaro Santo Protettore aveva preso il nome e che oggi sputa acqua putrida con il beneplacito di tre figure apotropaiche, costrinse i nuovi amministratori a dichiarare che le somme a disposizione erano finite, per cui nonostante perizie, lavori, indennizzi e quant'altro, di acqua non se ne vedeva una goccia!

Le mormorazioni diventarono "clamori", i bisogni "giuste esigenze". Cosa fare? Per fortuna si trovava di passaggio un macchinista (così erano chiamati gli idraulici), un tale Luigi Ruffolo, il quale data un'occhiata al tutto opinò essere necessari almeno quattrocentoquarantotto ducati per terminare l'acquedotto, vasca compresa, con rimozione del terreno che ostruiva la vena sorgiva.
Iamu, iamu vidimu! e una frotta di amministratori, sindaco facente funzioni in testa, si recò sul posto a constatare l'entità dei lavori necessari. Stabilita, come suol dirsi, ad occhio e croce la congruità del prezzo, il perito che altri non era che lo stesso macchinista fu, seduta stante, incaricato di eseguire i lavori.

Le vicende della fontana non si fermano qui. Negli anni successivi vi sono vari interventi di riparazione per modesti importi. Nel 1875 ricompare sulla scena il proprietario indennizzato per danni arrecati al fondo a seguito dei lavori di rifacimento dell'acquedotto, ma questa volta le parti si invertono, nel senso che il Comune è parte lesa e il proprietario è accusato di aver arrecato danni alla fontana, mediante "piantagione illegalmente eseguita sulla superficie dell'acquidotto e con l'apertura di un fosso adiacente alla fontana istessa per una nuova fontana. Il proprietario non è più Vincenzo Talarico, morto nel 1869, ma la di lui consorte Maria Teresa Iacovini, curatrice dei beni dei figli minori Francesco e Giovannina Talarico.

Dopo un anno, esattamente il ventotto luglio 1862 la fontana ... torna a far parlare di sè ovviamente per bocca degli amministratori, che si accorgono come fosse umanamente "impossibile che i lavori medesimi si potessero compiere con gli ultimi 161 ducati saldo delle somme prese a prestito del Tesoro "
Se non fosse per un intervento di un tal Vincenzo La Regina posto in calce ad una deliberazione del ventotto luglio 1862, che ci era sfuggita, forse la storia che vi abbiamo narrato potrebbe concludersi con il consueto "chi la fa l'aspetti", ma rileggendo tutto ciò che abbiamo scritto sembrerebbe che il decurione ne sapesse molto di più di quanto io abbia detto finora.
Nella sua dichiarazione il decurione La Regina contesta la legittimità dell'indennizzo ("la fontana è sempre stata soggetta a guasti continuati ... perché si è lasciato ... incolto quel pezzo di terreno che sovrasta all'acquidotto").
Dagli atti che abbiamo letto possiamo affermare che gli amministratori si prodigarono per soddisfare nel migliore dei modi e nel più breve tempo possibile uno dei bisogni primari dei propri concittadini: la mancanza d'acqua. Ma alla fine proprio leggendo questa dichiarazione abbiamo posto attenzione ad una coincidenza di nomi che ci era sfuggita: quella del sindaco e quella dell'indennizzato. O si tratta di omonimia oppure si tratta della stessa persona.

San Marco Argentano, 1 settembre 2017

Paolo Chiaselotti



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