ERA IL 19 GIUGNO 1897 ...
In questo giorno, in piazza Selvaggi, morì una signora di trentasei anni.
Perchè vogliamo ricordarla? Per il suo cognome da nubile e per quello acquisito
con il matrimonio.
All'inizio della salita della via che da piazza Selvaggi porta in piazza Umberto
I, sollevando lo sguardo sull'angolo del palazzo di destra si scorge in alto un
blasone in pietra, con volute finemente lavorate, sul quale si vedono alcune figure:
un elmo con celata in alto, un animale -a detta del Von Lobstein uno zibellino-
tre fasce traverse sotto di esso e ai piedi del blasone un arcigno volto maschile
a destra e un tamburo a sinistra. Sotto lo scudo a sostegno due quarti con occhielli
e laccio.
In questo palazzo morì Angelina Misuraca, moglie di Francesco Valentoni,
madre di una bambina di nome Mariannina.
Nell'atto di morte, Angelina è indicata con l'appellativo di gentildonna,
proprietario il padre, signore il marito superstite. Angelina era ultimogenita di
Gaetano Misuraca e di Giovannina Veltri ed era nata nel quartiere di Sant'Antonio
Abate, a ridosso della Motta. Ancora oggi esiste questo fabbricato composto da più
abitazioni alle quali si accede da un atrio con un bel portale litico.
Perchè stiamo descrivendo i luoghi di nascita e di morte con una certa dovizia
di particolari? Perchè le loro ubicazioni, la consistenza abitativa e i caratteri
distintivi degli edifici sono già una sintesi visiva della storia di Angelina.
Il discorso potrebbe estendersi ad altri edifici che formano l'antico tessuto urbano,
per spiegare l'importanza dei centri storici e della loro conservazione, ma oltrepasseremmo
i limiti delle nostre "storie" fondate sulle ricorrenze. O quantomeno
daremmo questa sensazione.
Vogliamo tornare, invece, ad un'immagine immediata che riguarda Angelina: dalla
casa al palazzo, questo è il suo percorso di vita, visibile e tangibile.
Chi era Angelina e chi era Francesco?
Angelina apparteneva ad una famiglia piccolo borghese, con casa di abitazione,
buone disponibilità economiche dovute alla professione a lungo esercitata
dai maschi di famiglia: calzolai, maestri artigiani in grado di creare scarpe e
stivali di ogni genere, e piccoli precedenti di insofferenza politica.
Francesco discendeva dai baroni Valentoni e dai marchesi Gallo per parte materna.
L'animale che rappresenta il suo casato, un mustelide, inusuale in araldica, se non
per il mantello che funge da sfondo in vari stemmi, indica una nobiltà non
proprio lontana e di dubbia origine. Indubbio è invece l'amore per le armi
e l'onore, di cui sono evidenti i simboli.
Che seguito avrà questa storia d'amore? Una figlia e una morte prematura,
purtroppo. Purtroppo è riferito alla morte, ovviamente, perchè in
fatto di figli oggi noi tutti non facciamo differenze tra maschi e femmine, ma un
tempo discendenza e onore erano coniugati quasi sempre al maschile. Ne è
una prova l'istituzione a San Marco di un convento di monache, riservato a nobili
fanciulle, dedicato alla pauperista Santa Chiara come scelta di vita esemplare.
Due Valentoni, padre e figlio, furono i più munifici elargitori di somme per
la novella struttura di clausura al mondo e alla mondanità.
Ritornando ai giorni nostri, donna Mariannina Valentoni, figlia dei predetti Francesco
e Angelina Misuraca, deciderà di dare tutti i suoi beni, vaste aree in prossimità
del perimetro urbano, ai monaci, e di lasciare al suo secondo marito, il maestro
di banda Mario Tamburino, un casino dietro il nuovo convento delle monache. "Absit
iniuria verbis"
Arrivati a questo punto ci sorge spontaneo un dubbio: ma quel blasone racchiude
anche la storia recente che vi abbiamo raccontato o quelle figure -un furetto, un
tamburo, un volto arcigno, un laccio tra due occhielli- sono solo capricci
di facciata?
San Marco Argentano, 19 giugno 2017
Paolo Chiaselotti