ERA IL 15 LUGLIO 1843 ...
La ricorrenza di oggi ha un duplice scopo: quello di parlare di un cognome che a
buon diritto può essere considerato un portabandiera della sammarchesità
e quello di spiegare come io possa ricostruire, a volte troppo disinvoltamente,
storie così ricche di particolari da sembrare vere.
Chiarisco subito che ciascun racconto di una qualsiasi ricorrenza è assolutamente
veritiero, nel senso che le date e gli eventi accaduti sono tratti da documenti
d'archivio, mentre la parte per così dire romanzata o di fantasia si riferisce
a deduzioni e intuizioni tratte dalle vite di ciascun protagonista.
Confesso che a volte mi sembra di essere ... indiscreto, ma avendo ricevuto inconsapevolmente
su base fiduciaria un primo sacramento cristiano e di averne accettato altri tre
conseguenti su base consuetudinaria, mi sembrerebbe di stare dalla parte dell'ingrato
che tradisce la fiducia altrui. Nessuna delle persone di cui narro la storia mi
ha mai invitato a farlo, ma poichè gli atti che li riguardano sono sfacciatamente
esposti all'altrui curiosità, cerco almeno di farlo con rispetto e con amore,
al solo scopo di non lasciarli in un oblio perenne peggiore della morte.
L'ho fatta lunga? Lo so, ma in questo caso era necessario.
Il cognome di cui parleremo è così diffuso e così ricco di
storie che se volessimo narrarle tutte dovremmo scrivere una collana.
Il cognome originario era Scarpello e, come altri cognomi aventi forma singolare,
si trasformò nella forma plurale quando i suoi componenti si diversificarono
per numero, età, famiglie, mestieri ecc. diventando nell'accezione comune,
tuttora usata a San Marco,
i Scarpelli, per indicare soggetti diversi con
origine comune.
Iniziamo con la ricorrenza di un evento triste, ma utile per tracciare la nostra
storia: il 15 luglio 1843 fu registrata la morte nel quartiere Puzzillo di Giuseppe
Scarpello, vaticale, fu Ignazio e fu Capua Nicoletta, marito di Rosa Loffredo. Questo
il fatto nudo e crudo. Vediamo ora come io mi diletti -ma potrebbe farlo ognuno
di voi nel modo che più gli aggrada- a trasformare questa registrazione in
una storia.
Era un sabato, quando dalla casa di Rosa si udirono grida e pianti. Non quelli che
annunciavano la morte di un figlio o di una figlia, ma quelli più disperati
di chi ha perso un marito e un padre. "Dev'essere morta Nicoletta!" sentenziò
don Vincenzo Perrotta. "Secondo me è morto Giuseppe, il padre"
disse donna Maria, la moglie "le grida non sono le solite. Figurati se non
lo capisco più di te, che voi uomini non lo sapete cos'è il dolore!"
Le osservazioni di donna Maria Cristofaro facevano imbestialire don Vincenzo: "Io
lo curo il dolore! non lo devo capire. E so che la piccola Nicoletta sta male, quella
nata quest'inverno. È venuta Rosa proprio ieri a prendere la cartella e il
ghiaccio per la febbre." Anche la morte diventava motivo di alterco, e donna
Maria era donna di carattere, non la dava per vinta a nessuno, neppure al marito
che in fatto di salute delle persone ne sapeva senz'altro più di lei e di
tutti gli altri, essendo farmacista. Ma don Vincenzo era anche pacifico e si affrettò
a tagliar corto: "Vado a vedere se hanno bisogno di qualcosa." Al ritorno
disse alla moglie con tono quasi remissivo: "Avevi ragione. È morto
Peppino, sotto, nella stalla".
Allora, al di là della piacevolezza o meno del racconto, ritenete che esso
sia solo frutto di fantasia o che dietro ad esso ci sia qualche briciolo di verità?
Ci crediate o no la scena che vi ho descritto potrebbe essere molto verosimile.
Vediamo come ho ricostruito questo spaccato di vita quotidiana con aspetti non solo
familiari, ma anche caratteriali.
Giuseppe Scarpelli aveva poco più di quarant'anni, era un vaticale, cioè
conduttore di carri trainati da muli. La stalla a quei tempi era sempre sotto casa.
Era sposato da tredici anni con Rosa Loffredo. Avevano avuto dieci figli di cui
sei morti in tenera età e una figlia morta dopo un mese dalla sua morte.
Nello stesso quartiere abitava Vincenzo Perrotta, farmacista, sposato con Maria
Felicia Cristofaro, il cui carattere deciso appare molto evidente in un ritratto
conservato in casa Perrotta. È ovvio ipotizzare che le grida di dolore fossero
diverse da quelle per i frequenti decessi dei figli, o meglio delle figlie, tutte
con nome Maddalena, la cui morte aveva senz'altro finito per diventare una semplice
scommessa di vita. Tutto qui e state pur certi che una donna conosce il dolore più
di qualsiasi uomo!
Ritornando ai nostri Scarpelli, dall'atto di morte sappiamo che era figlio di Ignazio
e di Nicoletta Di Capua. Dal matrimonio, avvenuto nel 1819, quando gli sposi, Giuseppe
e Rosa, avevano rispettivamente diciannove e diciassette anni, sappiamo anche l'età
dei genitori oltre ai loro nomi. Dagli atti di nascita sappiamo che ebbero dieci
figli, conosciamo il quartiere in cui vissero ecc. ecc. Se aggiungiamo i nomi dei
testimoni, o dei compari di battesimo (nell'archivio diocesano), sapremmo anche
chi erano gli amici!!
Oggi possiamo dire -grazie a tutte queste notizie- che gli Scarpelli, nonostante le
morti che abbiamo citato, si estesero attraverso tre figli di Giuseppe: Domenico,
Pietro e Vincenzo, dando origine a tre ceppi diversi, i cui discendenti, almeno
quelli più giovani, non sanno di avere in comune non solo il cognome ma anche
un progenitore, morto come oggi nel lontano 1843. Per loro questa è solo
una storiella. Hanno ragione. La storia, quella vera, degli Scarpelli continua ancora
oggi, e io auguro a tutti loro, nessuno escluso, di campare il più a lungo
possibile e di poter raccontare la loro vita e quella dei loro antenati al maggior
numero di discendenti, chiedendo loro di spegnere per qualche ora lo smartphone.
San Marco Argentano 15 luglio 2017
Paolo Chiaselotti
Nella foto Francesco Scarpelli, un discendente di Giuseppe, in una foto del 1901