GIOVANE
Dico subito che non è facile parlare con distacco di un cognome a cui sono
legato in termini di ricordi, affetti e riconoscenza.
Perché ho scelto di parlare di questo cognome proprio oggi?
Perché esattamente il diciotto giugno milleottocentosedici nasceva in contrada
Sciancarella un lontano progenitore di mia moglie, Francesco Giovane, figlio di
Giuseppe, un
vaticale (mulattiere) di Guardia, e di Maddalena Sesso, una giovane contadina di
San Marco.
Nessun blasone alle spalle, ma solo capacità e volontà di lavorare.
Chi era Francesco? Era il padre di un Vincenzo, che fu padre di un Emilio, che a
sua volta fu padre di un altro Vincenzo, quest'ultimo padre di mia moglie.
La ricorrenza del nome Vincenzo, che tutt'oggi esiste, si accomuna alla ricorrenza
di altri nomi che nel corso degli anni furono dati ai discendenti, a perpetuare,
come era ed è nell'uso di molte famiglie, il ricordo degli antenati e, quindi,
la stirpe.
Da Francesco si sviluppò un ceppo i cui membri sono tutti quelli legati per
vincoli di stretta parentela a mia moglie. Un secondo ceppo fu originato da un fratello
di Francesco, di nome Domenico (come il capostipite vissuto nel Settecento), ben
più vasto di quello sopradetto, per una maggiore presenza di discendenti
maschi. Tutti i portatori di questo cognome a San Marco, e ovviamente i loro discendenti
che abitano in altre parti d'Italia e del mondo, hanno un'ascendenza comune.
Oggi molti di loro ritengono che non ci sia alcun legame di parentela, ma basta
scorrere l'albero genealogico Giovane riportato in fondo a questa pagina per verificare
che tutti discendono da Giuseppe Giovane e da Maddalena Sesso.
Come per altre famiglie che si spostarono nell'Ottocento dai centri costieri tirrenici
a San Marco, il cognome e il luogo di provenienza sono indicativi di un'origine
valdese, che, come ho avuto modo di rilevare in molti casi, evidenzia una presenza
maggiore di persone alfabetizzate.
Questa prerogativa, cosa non da poco nella moltitudine di lavoratori privi di alcuna
istruzione, era spesso occasione di impieghi lavorativi con mansioni di amministrazione
e di guardiania, e di conseguenza di migliori condizioni di vita, sempre che i loro
padroni fossero bendisposti e in qualche modo
illuminati. Dalle ricerche
da me effettuate attraverso i registri dello stato civile ho ricavato le considerazioni
anzidette, convalidate dalla consultazione di archivi amministrativi, pretorili
e giudiziari. Anche i matrimoni, con tutto il seguito dei nuovi rapporti interfamiliari
e dei relativi comparaggi, contribuivano a migliorare le condizioni di vita, soprattutto
sotto l'aspetto sociale, anche se circostanze particolari spingevano alcuni membri
a cercare fortuna nell'emigrazione.
Anche in questi casi molti di loro riuscirono ad affermarsi nelle nuove realtà
geografiche.
Nello sviluppo storico di questa estesa famiglia si possono trovare esempi e conferme
a queste osservazioni. Pur non facendone i nomi, posso affermare che ciò avvenne tra
i discendenti di entrambi i sopracitati fratelli, Francesco e Domenico.
Non mi addentro in una esposizione particolareggiata dello sviluppo socio economico
e culturale dei componenti di questo grande ceppo, ma, in un
modo o nell'altro, i loro nomi sono tutti accomunati da senso del dovere e da capacità
di giudizio mai legata a compromessi o compiacenza, e mai ad atti di malvagità o disonestà,
né di ricchezza, nè di superbia.
Quali aspetti ereditari caratteriali si siano maggiormente manifestati attraverso le
molteplici generazioni è difficile dirlo, ma andando a memoria sia dai racconti dei membri
più anziani che ebbi il piacere e la fortuna di conoscere e sia nella conoscenza diretta
delle famiglie con questo cognome, posso confermare che uno dei caratteri distintivi era la perseveranza
e l'intelligenza, quest'ultima intesa non come dote contrapposta alla stupidità,
bensí come curiosità critica.
Da ciò che ho appreso da diverse testimonianze e da ciò che mi risulta
personalmente, il sapere e il saper fare erano, e credo continuino ad essere, le
motivazioni che spingevano la maggior parte dei componenti di questo atavico ceppo
a basare la propria esistenza nel lavoro e nella professione piuttosto che nel
possesso di beni materiali.
Come spesso accade nelle piccole comunità nel definire questa o quella famiglia,
si ricorre ad aggettivazioni che esprimono in estrema sintesi un giudizio complessivo
di merito o demerito: brava gente, grandi lavoratori, gente ricca, sfortunati e
via dicendo, dove bontà d'animo, ricchezza, lavoro, buona e cattiva sorte
marchiano tutti i membri della famiglia.
I "Giuvane" erano nella maggior parte dei casi definiti persone intelligenti, ed io voglio aggiungere
anche: di gran cuore.
Mi chiedo che cosa avrebbe detto mia moglie leggendo questa specie di panegirico.
Forse mi avrebbe guardato con quell'espressione mista di affetto e d'ironia che
la rendeva unica, come moglie e come compagna. E presumo, anche, come donna.
San Marco Argentano, 18 giugno 2018
Paolo Chiaselotti