L'ECCIDIO DEI QUINDICI* CERVICATESI. Questa volta la "storia" familiare riguarda gli abitanti di un paese vicino, Cervicati, un borgo "da cartolina", abbarbicato in cima ad una collina che si affaccia sulla valle attraversata dal fiume Crati. Per quella insana passione che mi spinge a voltarmi indietro piuttosto che guardare avanti (un futurista cibernetico mi definirebbe un "ultrapassatista") mi sono imbattuto in un documento parrocchiale risalente al 1808, un attestato di morte, riguardante un cittadino di Cervicati. Voglio trascriverlo integralmente, con la traduzione in italiano per la parte scritta in latino, sperando di destare in qualcuno curiosità ed interesse simili a quelle da me provate nel leggerlo. Attesto io qui sotto- Economo Curato di questa Parochial' Chiesa di Cervicati, come avendo perquisito il Libro dei morti ho ritrovato la sot[toscritt]a partic[ol]a 45.La prima curiosità mi è sorta nel leggere quel "nemici della pubblica tranquillità". Chi potevano essere: persone ubriache, magari eccitate da qualche ricorrenza o festa paesana, sovversivi, avversari politici? Riflettendo sull'anno in cui avvenne la morte mi ricordai che nel 1808 fu documentato un eccidio di persone, tutte di Cervicati, avvenuto in località Casello. L'episodio, narrato da Salvatore Cristofaro nella sua Cronistoria della Città di San Marco Argentano, nella parte terza, tempi moderni, al terzo capitolo, sotto il titolo "Dei regni di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat", merita di essere raccontato, anche perché di esso ormai non esiste memoria. Ecco il testo integrale tratto dall'opera del Cristofaro. Nel 19 Febbraio del 1808 in Casello, contrada in territorio di S.Marco, ed era tempo di Carnevale, Golia una coi compagni Cecce Perri, Frogo Rosarino, Mele e Ialluzzo superstiti delle orde sfasciate del cardinal Ruffo, che dopo la pace di Amiens, 27 Marzo 1802, trescavano in tutto il distretto di Cosenza, travestiti con uniformi francesi ed edotti da spie appressarono una mano di Giovani cacciatori da Cervicati, che incauti in buona fede credettero al mentito esser di quelli. Da cotestoro, cioè dai finti soldati furono insidiosamente come per cacciare condotti nella sovradetta contrada Casello e quivi proditoriamente legati, di tutti, quei malfattori fecero efferata e sanguinosa carneficina, facendoli morire fra strazii, tormenti indicibili e vigliacche sevizie. Erano quindici (nota) e quasi tutti stretti per legami parentali; ad un solo di essi che trovavasi a poca distanza dei compagni, il dubbio che l'assalse, fè tosto mutar via e fè scampare la morte. Il figlio di costui tuttavia vivente mi fè testimonianza del lacrimabile evento. Ad un altro dei malcapitati giovani, fosse antica amicizia fosse senso ancor non estinto di pietà, uno di quei tristi disse a voce bassa: o resta indietro, o vattene! Dopo ce ne andremo tutti, rispose il mal'accorto, e tutti traditi e massacrati se ne andarono all'altro mondo.Si potrebbe, in un primo momento, pensare che il luogo dell'eccidio fosse la contrada Casello dei Baroni Campagna, ma molto probabilmente si tratta della zona in territorio di Roggiano Gravina, a confine con San Marco, chiamata anch'essa Casello, alla quale in memoria dell'eccidio fu aggiunto l'appellativo con cui è tuttora chiamata: Casello dei Morti. A conferma di questa ipotesi c'è la testimonianza del Cristofaro, che nel testo soprariportato specifica chiaramente che i corpi mutilati furono "seppelliti dagli stessi parenti nel luogo stesso dell'infame supplizio", mentre non esiste alcuna testimonianza o memoria di un seppellimento di massa avvenuto nella tenuta dei Baroni Campagna. Il Cristofaro afferma che era tempo di Carnevale, forse per accreditare maggiormente la tesi che gli attentatori indossassero divise francesi e non fossero riconoscibili, o forse -chi può dirlo- per occultare qualche verità più scomoda, ma alla data del 19 febbraio del 1808 il carnevale era già trascorso da un pezzo. Il fatto, poi, che nell'atto di morte redatto dal parroco del tempo, don Anselmo Ribecchi, i massacratori fossero indicati generici nemici della pubblica tranquillità potrebbe trovare una spiegazione nel timore di ulteriori ritorsioni, considerando che l'eccidio, a detta del Cristofaro, fu conseguenza di un precedente fatto di sangue, riguardante sempre Cervicati. Un appartenente alla banda Golia, tal Nicola Bruno di Dipignano, in visita ad amici o parenti, fu ucciso e il cadavere sottoposto "a vili contumelie e a disonesti oltraggi." Il Cristofaro racconta ancora che la ritorsione contro la banda Golia non tardò ad essere messa in atto con la partecipazione anche di cittadini sammarchesi, tra cui il padre dell'autore della Cronistoria. In uno scontro a fuoco rimasero uccisi due componenti della banda: le loro teste mozzate furono esposte ai lati dell'altare della chiesa di San Marco Evangelista, allora sconsacrata. Una storia terribile, confermata da quindici atti di morte, tutti dello stesso tenore, conservati oggi nell'archivio diocesano, alcuni, come nel caso esposto, casualmente reperibili tra gli atti dello stato civile riguardanti i matrimoni di loro discendenti. San Marco Argentano, 5/12/2022 Paolo Chiaselotti |
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