CAMPAGNA
La bella foto che apre la pagina è stata gentilmente fornita dagli eredi
Attanasio e ritrae, con molta probabilità, la partenza per una battuta di
caccia in località Casello dinanzi la tenuta dei baroni Campagna. Risale
al primo o al secondo decennio del Novecento e ritrae alcuni membri della famiglia
con amici, parenti, conoscenti e personale di servizio, guardiani, fattori,
vaticali ecc.
A guardar bene in tutta questa "messa in scena" si vedono cani tenuti
al guinzaglio e alcuni strumenti musicali, tra cui un trobone, forse usati per stanare
la selvaggina.
L'immagine ci dà un quadro eccezionale della vita di una famiglia agiata
dell'epoca e, considerando che le foto di allora avevano bisogno di lunghi tempi
di posa che richiedevano l'immobilità dei soggetti, potremmo dedurre che
la scena, che a noi sembra istantanea e naturale, abbia richiesto un lungo lavoro
di preparazione, oltre che un'attenta e abile regia.
Ma l'occasione per parlare di questa famiglia ci è data da un altro evento,
anch'esso in qualche modo eccezionale. Si tratta della ricorrenza della morte di
donna Maria Giovanna Campagna, avvenuta il cinque agosto 1891 nella abitazione sita
in via Negroni, oggi via Roma. In che cosa consiste l'eccezionalità? Nel
fatto che la defunta era centenaria. Se oggi ciò non desta meraviglia, essendosi
allungata la vita fino a quasi un decennio oltre il secolo, a quei tempi una simile
longevità era un privilegio che toccava a pochissime persone.
Nell'atto di morte l'età riportata è di novantasei anni, ma ritengo,
per i motivi che dirò in seguito, che ella avesse superato il secolo.
Chi era Maria Giovanna Campagna? Era la sorella del più noto don Nicola,
le cui iniziali compaiono nella chiave di volta del bel portale litico assieme alla
data, 1817, anno del restauro dell'antico palazzo di famiglia, un tempo palazzo
Catalano Gonzaga.
Di lei abbiamo solo l'atto di matrimonio e l'atto di morte, sufficienti tuttavia
per tracciare un suo profilo e ricavare la presunta età. Dai predetti documenti
risulta essere figlia di don Carlo e di donna Tommasina Bernaudo, era vedova di
don Giuseppe Pannaino, un galantuomo di Cassano (era figlio di donna Giovannina
dei Sacchini di San Marco) che aveva sposato nel 1838 in età matura. Proprio
dall'atto di matrimonio ricaviamo il dato più certo sulla sua reale età,
che all'epoca era di quarantotto anni. Difficilmente su un atto di matrimonio sarebbe
stata riportata un'età maggiore di quella posseduta, per cui facendo i dovuti
calcoli, donna Maria Giovanna era nata nel 1790 e morì nel 1891 a cento e
uno anni!
Ma al di là della longevità ciò che maggiormente ci incuriosisce
è la storia di questa famiglia che rappresentò, nel bene e nel male,
per quasi due secoli un riferimento importante per la città di San Marco
Argentano.
Il riferimento più antico è contenuto in un documento del 10 dicembre
1634, custodito nell'archivio diocesano, riportante il battesimo di Nicolò
Francesco Antonio Campagna, figlio di Tommaso e di Cottorella (o Collorella) Beatrice,
impartito da sir GioGeronimo Ricci, padrini i signori Marcello Pagano e Dianora
Campolonga di Saracena. Il nome di un Francesco Campagna "che vive nobilmente"
compare nel nucleo familiare del barone Don Pietro Catalano Gonzaga di Majerà
nel catasto onciario del 1754.
Abbiamo trovato sul sito www.ilportaledelsud.org il nome di questa famiglia con
origini veronesi e la notizia che il casato fu "riconosciuto nobile con deliberazione
della Real Commissione dei titoli di nobiltà del Regno delle Due Sicilie in data
2 ottobre 1848". Dalla lettura di un manoscritto inedito conservato dagli eredi
abbiamo avuto una conferma dei rapporti privilegiati della famiglia con la casa
regnante dei Borbone. La moglie del capostipite dell'albero sotto rappresentato
apparteneva alla famiglia Ayala di Napoli.
Forse proprio la dedizione alla causa borbonica fu all'origine delle accuse rivolte
a Giuseppe Campagna di connivenza con la banda Bellusci per le quali fu processato
nel 1863. Erano gli anni del maggiore Fummel che nel suo editto aveva dichiarato
di non volere che "due partiti: briganti e controbriganti" e di considerare
tra i primi anche chi voleva "tenersi indifferente". Negli atti del processo
sono descritti i luoghi degli incontri e i segnali di riconoscimento, tra i quali
il gesto di asciugarsi la fronte con un fazzoletto bianco.
Dagli atti di un processo del 1811 a carico di un Michele Campagna per "asportazione
d'arma da fuoco" ricaviamo che questi era esattore di imposte dirette e da
una delibera di decurionato del 1821 che lo stesso era conduttore di un fondo rustico
in località Gravina. Dovrebbe trattarsi di un fratello maggiore di Nicola
(1782).
Dalle relazioni amministrative del Convento di Santa Chiara risulta che suor Maria
Gaetana Campagna portò una dote di duecentocinquanta ducati "costituita dal
fratello don Carlo ipotecati su case di lui con l'obbligo di pagare ducati 10 annui
ogni mese di agosto".
I nomi di alcuni membri della famiglia Campagna compaiono in varie deliberazioni
del consiglio per incarichi e fatti amministrativi.
Infine voglio segnalare una curiosità. Tra gli ascendenti diretti dei signori
Campagna compare una nobildonna dal cognome insolito: Trentacapilli. Di lei sappiamo
che si chiamava Nicoletta, era nata a Bisignano nel 1820 da Nicola Trantacapilli
e Barbara Gallo. Lo stesso cognome compare nella cattura e fucilazione del re Gioacchino
Murat a Pizzo da parte dei gendarmi borbonici al comando del capitano Gregorio Trentacapilli.
Il documento, pubblicato sul sito www.nuovomonitorenapoletano.it, afferma che l'ufficiale
era comandante nella provincia di Cosenza, per caso a Pizzo. Ritengo, data la particolarità
del cognome che anche Gregorio fosse originario di Bisignano e che tra lui e Nicoletta
Trentacapilli vi fosse un qualche legame di parentela. Del resto la fedeltà
della famiglia Campagna alla casa borbonica è notoria e ampiamente documentata.
Nei giorni immediatamente precedenti la caduta del regno delle due Sicilie, il palazzo
e la tenuta di Casello furono oggetto di violenze e saccheggi da parte dei comitati
prodittatoriali fautori dell'unità d'Italia, narrate dal teologo don Vincenzo
Campagna in un manoscritto inedito, unitamente all'odio nutrito nei loro confronti
da vari protagonisti delle vicende politiche del tempo.
Forse non è un caso che quel riconoscimento di nobiltà da parte del
Re delle Due Sicilie non trovò molti consensi. Gli elettori della città
di San Marco, che avevano votato unanimente sì al plebiscito per l'Unità
d'Italia e per il re Vittorio Emanuele II, furono i primi a negare la validità
dei titoli nobiliari del vecchio regime.
Ma un conto era la politica e un altro conto era la vita quotidiana: le nobili famiglie
di San Marco, avessero avuto o non un riconoscimento ufficiale, conservarono il
loro titolo fino alla loro abolizione nel 1948.
Donna Maria Giovanna Campagna incarna pienamente con il suo secolo di vita la durata
della nobiltà che la famiglia può ascrivere alla sua storia. Forse
don Vincenzo Campagna, il teologo, non aveva torto quando scriveva: "
per cui
l'invidia crebbe a dismisura".
San Marco Argentano, 5 agosto 2018
Paolo Chiaselotti