Piccola cronaca, fuori dal tempo e dallo spazio, di un viaggiatore sconosciuto:
il mio bisavo Beniamino. De San Marco Argentano a Buenos Aires. 1863-2020 Ancora una volta, come un paio di anni fa, ritento di scrivere questa storia. E ancora una volta mi costa decidere da dove iniziare. Ancora una volta sto sul solito treno, da cui si diramano percorsi senza limiti. Il mio corpo sta nel vagone, ma la mia mente si trasferisce in un piccolo e, per me, sconosciuto paese della Calabria, procedendo e retrocedendo sui passi dei miei predecessori nel tentativo di ricostruire i loro sentimenti le emozioni e finanche i pensieri e le idee. Vari sono i protagonisti di questo racconto. La prima è la zia, che per qualche motivo decise di trasferire in me la storia di un passato-presente che custodiva nella sua mente come un tesoro che l'accompagnerà fino alla fine. La storia scritta dai miei bisavi inizia molto prima della mia presenza su questo mondo, ancor prima che vesissi a conoscenza dell'esistenza di paesi e continenti, prima che sapessi cosa fosse un passaporto o che capissi cosa significasse bisnonno. Senza dubbio il viaggio in treno è il modo migliore per raccontarla ... Il mio racconto è costituito da frammenti di ricordi, e include ricerche, emozioni, dialoghi e considerazioni. Non è affatto lineare. Ricalca la vita stessa, dove i tempi si fondono tra passato e presente in una forma indistinta. Perciò nei paragrafi o nelle frasi si alternano forme verbali al passato e al presente. Non è il resoconto di arrivi e insuccessi. È soprattutto caratterizzato dallo stupore delle scoperte. La zia Ada Il treno riprende la sua corsa, dopo aver lasciato la stazione di un piccolo paese, a metà del percorso tra Vienna e un altro paesetto, ancor più piccolo, della provincia della Bassa Austria, dove attualmente vivo. Le case che vedo sembrano le prime casette che disegnavo a Buenos Aires quando ero piccola, anche se, paradossalmente, queste case, con tetti spioventi e camini fumanti, non rispondono affatto allo stile architettonico di quella città. Mi rendo conto di qualcosa: da quando ho memoria ho avuto sempre l'abitudine di guardare dalla finestra. Ancora una volta, come mi accade, fisso lo sguardo in un punto indeterminato del finestrino ... La magia del cristallo transparente discioglie il tempo in tante righe colorate orizzontali e mi trasporta nell'istante in cui mia zia Ada era in attesa di una mia chiamata. Erano più di trent'anni che non ci sentivamo. L'ultima volta che la vidi avevo sei o sette anni. Debbo confessare che mi sentivo inquieta e un po' a disagio nel momento che mi accingevo a telefonare. Non ricordo esattamente come seppi il suo numero. Però so che, prima di completarlo sulla tastiera del mio cellulare, le mie dita riuscivano a digitare solo i primi numeri ... senza mai arrivare alla fine ... svariate volte. Improvvisamente sento la sua voce. Il suo modo di parlare era inconfondibile. Prima di poter pronunciare una sola parola, sfilano nella mente i ricordi: la casa della zia con le scale al primo piano, mio cugino Gustavo mentre suona la chitarra, lo zio Horacio con un cognome difficile da pronunciare, i regali della zia ... Il mio adorato e immobile cane dalmata, che non poteva supplire al cane "vero" che avrei voluto avere, però stava sempre lì assieme al piccolo carillon che suonava "La comparsita" mentre la giostra, con il tettuccio acrilico di un acceso arancio brillante, continuava a girare con i suoi minuscoli viaggiatori di plastica: Topolino, Paperino, Paperon de' Paperoni ... Poi i ricordi svaniscono e la mia voce mi riporta al presente. Sto dicendo: - Zia Ada ...!? Ciao. Sono Carla. Ti ricordi di me? Non riesco ad immaginare quali possano essere stati i ricordi o i pensieri che attraversarono in quell'istante la mente della zia, nel sentire una voce nella cornetta del suo telefono fisso; una voce molto diversa da quella che ricordava appartenere alla sua cara nipote Carla. Non usava il cellulare. Aveva più di ottant'anni. Le piaceva leggere il diario ogni giorno e tanto il cervello quanto la memoria erano lucidi, chiari, intatti. Il suo corpo, viceversa, aveva qualche acciacco e la vita sedentaria non contribuiva a migliorarne lo stato. Lo zio Horacio, suo marito e aiuto in vita, non era più al suo fianco. Con mia zia Ada, fin da piccolo e fino alla fine, visse mio cugino Gustavo grazie alle abilità strategiche di sua madre. L'incontro Non saprei dire dopo quanto tempo, ma finalmente arrivò il giorno concordato della visita alla zia. In una stazione -non ricordo quale- presi la metropolitana della linea A e scesi ad Acoyte. La stazione era sempre la stessa, ma la casa di zia era cambiata. Non abitava più nella casa con le scale di cui serbavo ricordo. Abitava, invece, dietro l'angolo di quella, sull'Avenida Rivadavia, in un edificio a più piani, con vista dall'alto sull'Avenida. Per trovare la zia dovetti superare una serie di ostacoli. Chi vive attualmente a Buenos Aires, non troverà nulla di strano in ciò che mi accadde. Fa parte della vita quotidiana, senza alcuna consapevolezza dell'agire. Il problema fu che impiegai un bel po' di tempo per raggiungere l'edificio e rivedere la zia, un tempo, tuttavia, che mi aiutò in qualche modo a togliermi l'ansia del momento e che mi trasportò nell'epoca in cui vissero mio nonno Francesco e i miei bisnonni Beniamino e Pasqualina. Vidi con occhi diversi l'attimo che precede l'incontro con una persona. Immaginai che per loro sarebbe stato qualcosa di insolito. Tutto questo preludio fa parte della storia, e per quanto strano non posso fare a meno di mettere per iscritto ogni dettaglio dei pensieri che si affollano nella mente. Forse in un futuro prossimo, per qualche persona che non fu mai a Buenos Aires, questa piccola cronaca dell'ingresso in un edificio di Buenos Aires potrebbe rappresentare una testimonianza. Giunti all'edificio cercato bisogna fermarsi davanti alla porta. Sul lato di essa si trova un dispositivo qui chiamato portiere elettrico, un meccanismo elettrico "moderno" che nella gran parte degli edifici sostituisce la persona che lavora come portiere aprendo la porta ai nuovi arrivati. Il portiere elettrico non è altro che una griglia di dimensioni variabili, di solito in bronzo, con tanti bottoni allineati ordinatamente in verticale e in orizzontale, ognuno dei quali è connesso elettricamente ad un altro dispositivo (simile ad un telefono) posto in ciascun appartamento. Inoltre c'è un microfono che consente tanto all'anfitrione quanto all'ospite di sentire la voce dell'altro. Una volta scelto il bottone giusto, si schiaccia e si aspetta. Instantaneamente suona un campanello nell'appartamento dell'anfitrione. Il visitatore sente la voce di chi attende e si accinge ad annunciarsi. - Ciao, sono Carla. Poiché, a causa dell'insicurezza, le porte degli edifici restano chiuse a chiave giorno e notte, qualcuno deve andare ad aprire la porta. In quell'occasione venne ad aprire Paulina, una ragazza che accompagnava mia zia da quando aveva venti anni. Anche se non capisco bene quello che dice (forse a causa del guaranì, la sua lingua madre), la saluto e la seguo. Il passo seguente è l'entrata in un ascensore fino al piano corrispondente al numero del tasto selezionato sulla pulsantiera. All'arrivo si imbocca un corridoio fino alla porta cercata, una porta piuttosto particolare, che viene aperta e ... Ecco finalmente la zia Ada, seduta sulla poltrona. Si alza, con un sorriso e la voce allegra. L'appartamento non è molto luminoso. Le pareti hanno un carta da parato fuori moda con motivi in stile barocco dai toni diversi, di un verde spento. La zia è quella di sempre, è solo ingrigita. Non porta occhiali, usa solo il bastone. I riferimenti al nostro presente terminano nel giro di poco tempo. Non era per questo che dovevamo incontarci. E fu come se il nonno Francesco avesse organizzato l'incontro perché la sua storia, e la nostra, arrivassero a questo punto della pagina. Il nonno Francesco Non conobbi nonno Francesco. Non potei sentire la sua voce. Vidi la sua immagine in alcune fotografie ingiallite che mia madre conservava. Appariva gentile, sicuro di sé. Il suo sguardo mi trasferiva una distanza indefinibile. Mi piaceva sempre pronunciare il suo cognome: Siciliano. La mia mente non aveva mai collegato, da un punto di vista geografico, l'evidente relazione tra quel cognome e la Sicilia. Mia madre non parlava di suo padre. Talvolta lo ricordava in silenzio, come se gli mancasse. Altre volte cantavamo canzoni italiane di un piccolo canzoniere che le aveva lasciato e che, sicuramente, avevano cantato insieme. Le piacevano tra gli altri Iva Zanicchi e Caruso. Sentivo spesso suonare quelle cassette con canzoni per me incomprensibili, senza rendermi conto che mamma comprendeva perfettamente le parole italiane. Cerco, come sempre accade, su Google e in una frazione di secondo mi appare una lunga lista di canzoni in versioni diverse. Ne scelgo una e mi abbandono ai ricordi ... "La riva bianca, la riva nera ..." Io sono lì, assieme alla zia Ada, come una bimba curiosa, orfana di nonni. E di storie. Un evento storico: per la prima volta, sento parlare di mio nonno per bocca di qualcuno che lo conobbe. La zia inizia a parlare. I suoi occhi e il viso si illuminano nel parlare di lui. Ammira suo padre. Era la figlia maggiore, la prima di quattro germani. Mia madre, invece, era la più piccola. Gli occhi della zia non sono azzurri come quelli di mia madre, ma espressivi quanto i suoi. Non esagera nell'uso delle mani quando parla, né compie gesti eccessivi. I suoi movimenti sono calcolati e rimane alquanto calma. Il suo modo di parlare e l'accento non sono quelli tipici della città di Buenos Aires. Anche certe parole ed espressioni da lei utilizzate vengono da un altro continente, da un altro idioma ... il cui ritmo e la melodia sono ben riconoscibili a Buenos Aires. È, in tutta evidenza, figlia di un italiano. Da dove era venuto Francesco ... la zia sapeva solo che era di Cosenza. Ignorava che con il nome di Cosenza si indicasse non solo la città ma anche la sua provincia. Non era a conoscenza di come fosse organizzata da un punto di vista amministrativo l'Italia (io lo sapevo perché anteriormente all'incontro, nella ricerca di un certificato di mio nonno Francesco, avevo spedito e-mail a tutti i 157 -tanti mi pare che fossero- comuni della provincia. Men che meno la zia avrebbe potuto immaginare l'esistenza di San Marco Argentano, il paese di origine, nel cuore della Calabria, dove suo padre aveva trascorso i primi anni di vita, assieme a parenti e amici. Nè avrebbe potuto immaginare di poter "passeggiare" nelle strade del paese, quando le mostrai com'era con Google Map sul mio notebook. Zia guardava. Vedeva perfettamente, ma tra lei e le immagini che scorrevano si era spalancato un abisso. Si chiedeva dove fossero gli edifici ... Francesco, come tanti altri, non ritornò mai in Italia. E la zia, credo sicuramente per motivi tutti suoi, non volle mai saperne di più. O forse sapeva più di quanto diceva. Sapeva che suo padre parlava di mandorli e anche di un mulino ... Sapeva che suo padre aveva ricevuto un'istruzione ecclesiastica e che studiò dai 12 al 16 ani di età al Vaticano, apprendendo bene l'italiano e il latino. Narrava con orgoglio che la madre di Francesco chiedeva a lui certe spiegazioni e non al marito, perché Francesco aveva un'istruzione superiore. Mi spiegava emozionata che apprese rapidamente lo spagnolo e che faceva traduzioni quando si riuniva con gli scrittori della famosa rivista SUR e che scriveva molto, con una bella grafia, e che aveva lavorato nell'amministrazione delle ferrovie argentine, arrivando a ricoprire un posto direttivo. Mi raccontò che Francesco sbarcò in Argentina con sua madre e due fratelli: Genoveva ed Emilio. Scoprii più tardi che aveva un altro fratello morto a San Marco all'età di cinque anni. Beniamino, il padre di Francesco, era arrivato già prima a Buenos Aires e aveva iniziato a lavorare come ebanista, realizzava lavori artistici in legno, che mia zia aveva avuto occasione di vedere e che considerava preziosi. Nella sua casa al quartiere di Caballito nel 1907 Beniamino attese l'arrivo di sua moglie e dei suoi figli. Fu in quel momento che per la prima volta sentii fare i nomi di mio bisnonno Beniamino, della moglie Pasqualina e della famiglia di origine di Francesco. Varie volte avevo avuto la curiosità di sapere e lo avevo chiesto al nonno, ma non avendone avuto alcuna risposta non ero andata oltre la mia immaginazione. Quando la zia fece il nome del bisnonno mi si aprì un nuovo mondo, inaspettato. Il bisnonno Beniamino Ebbi la sensazione che si fosse aperta una porta su un prezioso passato ricco di persone sconosciute e persone con tanto di nome, o per meglio dire con tanto di cognome ... Un passato nel quale mi vidi immersa immediatamente assieme a coloro che vi erano vissuti. Quelle persone erano i miei antenati, senza dei quali la mia vita non ci sarebbe stata. A partire da quel momento l'asse della Storia girò di qualche grado e acquistò per me un nuovo significato, non solo quello che riguardava l'esistenza dei miei antepassati ma anche l'altra storia e il suo contesto, nel quale avevano avuto luogo le loro vite. E la zia disse: "Beniamino era un uomo molto bravo. Aveva gli occhi azzurri" aggiunse, sollevando lo sguardo verso il cielo e mettendo entrambe le mani all'altezza degli occhi mentre, con un movimento delle dita, indicava che gli occhi del bisnonno erano grandi. Così la zia inizio a raccontarmi la storia di Beniamino, ma mi aveva preso alla sprovvista, senza darmi il tempo di pensare di poter registrare ciò che mi avrebbe detto. In seguito, però, ho potuto rifarle domande su alcuni dettagli e prenderne appunti. Dopo tutta questa premessa cercherò di scrivere il racconto della zia Ada così come è rimasto impresso nella mia memoria. "Il nonno Beniamino ... Lo ricordo come un uomo molto triste. Dopo aver ascoltato il fantastico e seducente racconto, durato in tutto non più di cinque minuti, non riuscivo a capire esattamente perché una simile storia fosse stata tenuta segreta per tanti anni. Avrei potuto immaginare che i nonni si fossero trasferiti da San Marco a Buenos Aires in cerca di una migliore situazione economica, o per qualche conflitto bellico, o per intolleranze ideologiche o finanche per spirito d'avventura, però l'idea che fossero emigrati dal paese natio per conflitti familiari, no, non l'avrei mai immaginato. Trascorsi vari anni, con quell'attitudine del tempo di non fermarsi troppo a lungo, mentre ero in viaggio tra Mitterfeld e Vienna, dal finestrino del treno, senza sapere chi fossero gli Scorza né tantomeno il contesto che girava intorno a Beniamino, comprese le persone che gli erano vicine, decisi di affidarmi alle fonti per verificare quanto ci fosse di vero nel racconto della zia. Provando un po' di vergogna per non padroneggiare l'italiano, scrissi in castigliano un messaggio al prof. Paolo Chiaselotti, meticoloso ricercatore e storico esaustivo di ogni angolo della storia, scritta o non scritta, di San Marco. Gli inviai cautamente alcuni dati che la zia mi aveva fornito, e come le briciole di pane di Hansel e Gretel, lente d'ingrandimento in mano, iniziamo a seguire le tracce di quel racconto. Qui termina una parte di questa storia piena di buchi e di pezzi mancanti, che inizia con Ada, Edith, Enrique, Rodelinda, Beniamino, Pasqualina, e tutti i miei antenati, o semplicemente con me, che sono quella che la scrive. In ricordo del nonno Francesco, dal quale probabilmente avevo ereditato il gusto dello scrivere; in ricordo del bisnonno Beniamino e della bisnonna Pasqualina, che non impararono a leggere nè a scrivere; in ricordo ancora di tante altre persone che non posso nemmeno ricordare. Senza la loro presenza su questo mondo, queste parole non sarebbero mai state scritte. La ricerca Scendo dal treno alla stazione est (Westbahnhof) a Vienna. Imbocco a sinistra un viale con l'intenzione di cercarmi un posto in cui terminare di scrivere e correggere il testo del mio racconto. Dopo circa duecento metri vedo all'angolo successivo delle lettere che richiamano inevitabilmente la mia attenzione: un caffè. Non l'avevo mai visto, o forse era nuovo. Leggendone il nome non ho alcun dubbio di quale sia il luogo riportato: il suo nome è San Marco! Consapevole che non è semplice ricostruire una storia e trovare i pezzi inesistenti di un rompicapo come questo, ammetto che non sarei mai stata in grado di proseguire oltre, senza la collaborazione di un ricercatore generoso e entusiasta come Paolo Chiaselotti. Attraverso tutte le sue conoscenze e i documenti che mi ha messo a disposizione, è stato possibile ripercorrere le tortuosità del tempo e dei luoghi dove non è tanto semplice addentrarsi. Probabilmente alcuni dati non potranno mai essere confermati, né contestati, ma ora non ho intenzione di sviluppare quel vasto procedimento di ricerca ancora in corso. Almeno per il momento. Tra le mails e i documenti che viaggiavano virtualmente tra San Marco e il mio treno, si aprivano e si chiudevano porte in frazioni di secondo, un continuo aprirsi e chiudersi di messaggi, come tanti capi di una matassa. Ecco un esempio.. Troviamo a San Marco l'atto di nascita di Beniamino. Nacque e fu registrato a San Marco e non in Sicilia come raccontava la zia. Mi sono resa conto, in base alle leggi del tempo, che sarebbe stato impossibile trasportare un neonato da un paese X a quello in cui sarebbe stato registrato, e per giunta in un paese tanto lontano dal luogo di nascita. Il cognome Siciliano non aveva, quindi, alcuna relazione con la Sicilia. Dall'atto di nascita risulta che Beniamino fosse un nato abbandonato, però ipotizziamo che tale abbandono possa essere stato una messa in scena per camuffare la sua vera origine. Questo ci porta al passo successivo. Ai nati abbandonati non veniva dato ovviamente il cognome paterno e uno dei cognomi maggiormente utilizzati all'epoca era Esposito. Però Beniamino fu registrato come Siciliano Esposito e non soltanto Esposito. Se nessuno aveva riconosciuto in qualche modo il neonato, o in base alla legge o per precisa volontà, il cognome Siciliano non sarebbe mai stato scritto sull'atto di nascita. Pertanto, con molta probabilità, possiamo supporre che Siciliano fosse il cognome della madre. Ancora si può osservare che i figli di Beniamino, tra i quali mio nonno Francesco, ebbero come unico cognome Siciliano, senza più Esposito. Nell'atto di nascita di Francesco in cui compare anche il padre Beniamino quest'ultimo risulta registrato come Beniamino Siciliano: l'appellativo Esposito era stato eliminato, cosa piuttosto insolita in casi simili. Seguendo le "briciole di pane" della zia e rastrellando nella genealogia, possiamo trovare indizi, coincidenze di date, matrimoni e nascite di figli, informazioni che permettono di avvicinarci abbastanza all'idea di chi potesse essere sua madre. E suo padre. Restiamo sorpresi scoprendo che l'ipotetico padre sarebbe stato più giovane di quanto avremmo potuto immaginare. Ci buttiamo alla ricerca di tracce della sua vita che ci diranno che Beniamino beneficiò di una certa attenzione protettiva. Il fatto che avesse imparato il mestiere di falegname ne era una prova, giacché a quell'epoca non tutti avevano accesso a questo tipo di formazione. Come sapere con chi studiò da falegname, chi fu il suo maestro e soprattutto chi lo avesse presentato a mia bisnonna Pasqualina, nata a Torano Castello? Lungo questa linea investigativa troviamo altre concordanze con il racconto della zia. Qualcuno, senza dubbio, pare che abbia protetto Beniamino. Cosí ci mettemmo a seguire una ad una tutte le piste che facevano sorgere nuovi interrogativi, riflessioni, associazioni, deduzioni e innumerevoli scenari che avrebbero potuto dar luogo, per se stessi, a tantissime nuove storie. Senza progetti come questo -concepiti da persone piene di curiosità, che mettono a disposizione del pubblico le loro ricerche e tante informazioni che aiutano a realizzare questi viaggi nel tempo- ogni parola di zia Ada sarebbe rimasta isolata nel suo racconto, e quest'ultimo sarebbe rimasto solo una bella favola. Non mi stancherò mai di apprezzare l'esistenza dell'immenso lavoro di conservazione della memoria storica che promuove lo sviluppo del consapevole legame con le nostre origini. Alcune riflessioni dopo la ricerca Come l'opposto consente alla forma di esistere, così i fatti della storia e i suoi vuoti son ciò che la creano e la conformano. Sebbene non ci fossero più intermediari della famiglia da consultare, ciò che all'inizio era occulto, diviene ora evidente. Non mi risulta difficile immaginare come possa essersi sentito mio bisnonno Beniamino arrivando da solo in una città come Buenos Aires, con le sue enormi distanze, velocità, confusione, situazione politica e la presenza di una popolazione multiculturale, frutto delle emigrazioni massicce sempre più crescenti che hanno dato alla città la diversità e l'impronta che ancora perdurano. Beniamino non subì la stessa sorte toccata ad un gran numero di immigrati. Non abitò in un condominio ed ebbe la possibilità di trovare un lavoro creativo e una bella casa. Però c'era una una bella differenza con la vita condotta nel suo paese di origine nella Calabria del Novecento, una differenza che ho sperimentato io stessa, all'opposto, un secolo dopo, passando da una metropoli come Buenos Aires in uno sperduto paesello del centro Austria, dove persino le nuvole e gli uccelli sanno di me più di me stessa. Dopo aver conosciuto i fatti della sua vita, mi sono chiesta se avesse conosciuto e frequentato sua madre, quali cieli avranno riflesso i suoi occhi, se fosse stato lui a raccontare la propria storia ai figli. Mi chiedo se qualcun altro dei suoi pronipoti (se ne ebbe) abbia pensato alla sua esistenza o se ebbero la fortuna di conoscerlo come me. O se qualcuno abbia avuto il desiderio di vedere la casa in cui abitò, a San Marco o a Buenos Aires oppure di vedere qualche suo lavoro di ebanista. A quanto pare Francesco si vide costretto a prendere la decisione che prese, non so se da solo o su consiglio del padre o di qualche altra persona dell'entourage familiare. Tutto pare convergere su una soluzione radicale derivante dal pericolo per una minaccia fatta al suo primo figlio, alla famiglia, o per qualcosa di cui non era responsabile. Beniamino non aveva scelto da sé il suo nome, nè aveva scelto i suoi genitori, anche se c'è una teoria che afferma che siamo noi a decidere dove nascere! La storia di Beniamino mi ha portato a riflettere su temi che, oggigiorno, possono apparire incomprensibili o privi di senso, come il peso e le conseguenze di uno stato di legittimità o di illegittimità di un figlio all'interno della comunità familiare, o l'enorme importanza di essere primogenito. Non parlo di molto tempo fa ... Mio nonno Francesco nacque nel 1891 e solo per essere il primogenito ebbe accesso ad un livello di istruzione riservato davvero a pochi, a quell'epoca. Da un lato ciò conferma la storia che qualcuno lo sostenne economicamente e dall'altro lato si può osservare come i fratelli di Francesco, non ricevettero la stessa istruzione e non godettero di alcun privilegio. In quanto alla famiglia legittima del padre di Beniamino (il mio trisavolo) -se è vero quanto racconta la zia- non so quale sia stato il prosieguo dell'esistenza né quanto la presenza di Francesco l'abbia condizionata, al punto da spingere la famiglia d'origine di ricorrere alle minacce. È un'incognita. Anche facendo ipotesi su una serie di motivi, credo che resteranno senza una risposta concreta. Proseguendo con Francesco, sorgono anche qui interrogativi. Forse sembra una domanda banale, ma fin all'inizio mi sono chiesta perché il nonno non fosse mai ritornato in Italia. Dopo aver ascoltato il racconto della zia, mi parve chiaro il motivo: è logico che non volesse tornare in un luogo dal quale era stato invitato ad andarsene ... con tanta gentilezza! Che senso avrebbe avuto tornare, anche se non va escluso il fatto di avere una nuova vita e una famiglia. In tutti i modi, approfondendo la questione nelle sue linee generali, mi rendo anche conto che viaggiare da un continente all'altro per puro diletto non era né abituale e né facile a quei tempi, e chi lo faceva affidandosi alle navi del tempo possiamo immaginarlo come un sorta di avatar. Del resto non c'era bisogno di attraversare l'oceano per trovare luoghi di svago che non mancavano nelle vicinanze. Apprendo, da un atto di riconoscimento che lo riguarda, che mio nonno giunse a Buenos Aires prima della Grande Guerra, e succesivamente dopo diverse crisi politiche ed economiche l'Europa si trovò coinvolta in un secondo conflitto, più complesso del precedente per la tragedia che rasenta la farsa. Posso immaginare che in tali scenari viaggiare in Europa non fosse il massimo dei desideri. Probabilmnte se il nonno fosse vissuto qualche anno in più, chi può dirlo, sarebbe tornato, anche se brevemente, nel suo paese natale. Anch'io, devo ammettere che pur in circostanze differenti da quelle, avendo deciso di risiedere qui dove vivo, senza che nessuno mi ci abbia costretto, sono anni che non ho fatto più ritorno nella mia terra d'origine, l'Argentina. Non ho potuto leggere gli scritti di Francesco, che la zia conservava gelosamente in cima ad un armadio. La zia Ada è morta da qualche anno e finora non ho potuto mettermi in contatto con mio cugino Gustavo. In cambio, ho potuto vedere e riprodurre alcune foto conservate dalla zia e scampate ai traslochi, pubblicate in queste pagine a corredo del testo. Fu Paolina che ebbe il coraggio di arrampicarsi su una scala per prendere dal guardaroba le scatole conservate dalla zia, ancora indecisa quando e se farle vedere. Grazie a queste foto e alla tecnologia avanzata di oggi ho potuto scoprire immagini spontanee del nonno, che mi riferiscono altri momenti della sua vita. Ho trovato anche alcune cartoline postali che il nonno aveva ricevuto da San Marco e foto con membri del movimento antifascista Italia Libera, di cui fece parte attiva. Amava l'Italia e non rinunciò mai alla sua cittadinanza d'origine, come l'altro mio nonno di origine spagnola. Ma questa è un'altra storia. La storia ... a furia di parlarne tanto alla fine scopro di non sapere quale sia realmente! A volte sono fatti, altre volte è poesia. Mi chiedo cosa farebbe il nonno Francesco se ancora fosse vivo, intriso del suo tempo e vivace come lo immagino. Mi intriga l'idea che potrebbe ancora stupirsi nell'apprendere che una sua nipote, andata a vivere in Austria, si fosse recata a visitare il paese in cui lui nacque! Lo vedo felice nella sua casa di campagna per aver colto una zucca che quasi gli arriva alla cintura. Mi sveglio che è ancora notte. C'erano con me tanti membri della famiglia, tra i quali il nonno Francesco, sorridente. Sembravamo tutti allegri come fossimo in posa davanti ad una macchina fotografica pronta a scattarci una foto. In bianco e nero, è ovvio! Il sogno si interrompe, con un abbraccio al nonno Francesco. Mi dice tranquillamente ... Carla Marqués Medrano Viena, 20.02.2020 (Traduzione di Paolo Chiaselotti) Testo originale |
LA STORIA LE STORIE
|
RACCONTA LA TUA STORIA
info@lastorialestorie.it
|