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I FIGOLI. Fermo immagine tratto dal video 'Il vasaio dimenticato' LaCNews24
I vasai, di cui vediamo nell'immagine in alto uno degli ultimi rappresentanti, erano chiamati nei documenti anagrafici
nell'Ottocento figoli o, più raramente, cretaiuoli. Il termine figolo (figulo) deriva dal latino
fingere che significa dare forma, effigiare, e l'arte del ceramista era chiamata arte figulina o fittile.
Dai registri d'archivio dello stato civile sappiamo i nomi dei figoli sammarchesi e dove essi abitassero. Considerando che all'epoca i laboratori erano uniti o immediatamente vicini alla casa di abitazione, dagli atti di nascita e di morte degli artigiani, o di membri della loro famiglia, possiamo desumere in quale zona del paese si svolgesse quest'attività. Storicamente il primo documento in cui è testimoniata l'attività fittile risale al 1754. Si tratta dell'iscrizione al catasto onciario di un tale Pietro Credidio di anni 60 e dei suoi figli, Francesco di 38 anni e Vincenzo di 14, tutti "cretai", con casa e laboratorio al Casalicchio, il quartiere ai piedi della torre. In documenti precedenti come la Platea delle Clarisse (1632) e, soprattutto, il Libro della Congregazione dell'Immacolata (1598-1605), conservato nell'archivio privato Selvaggi, non compaiono riferimenti a questa attività, nonostante i suddetti libri contengano un bilancio annuale di entrate e uscite. È difficile immaginare che una Congregazione computasse l'acquisto di due trozzoli al prezzo di cinque grana, giusto per fare un esempio, omettendo l'acquisto di uno dei tanti contenitori in terracotta necessari per il vivere quotidiano. È probabile, allora, che conventi, enti ecclesiastici e congregazioni avessero una produzione propria al loro interno che andava dal reperimento della creta, alla sua lavorazione e cottura. Nell'Ottocento il primo 'cretaiuolo' fu Giuseppe Stavale il cui nome compare come testimone nell'atto di morte di una donna deceduta nel 1815 nel quartiere Casalicchio. A quanto risulta dai vari atti e da ritrovamenti di scarti di lavorazione, la presenza di questi artigiani è documentata, oltre che al Casalicchio, nei quartieri denominati Torre o Carcere, motivo per cui dobbiamo supporre che in prossimità della torre, allora adibita a carcere, vi fossero altri laboratori e fornaci. Ancora oggi, durante lavori di restauro o di scavo, si possono trovare residui di lavorazione di terrecotte, come cocci, manufatti grezzi e pietre brunite o semicalcinate, testimonianze della presenza di un laboratorio o di una carcara (fornace) in cui avveniva l'ultima fase della produzione. Non è un caso che tali ritrovamenti siano avvenuti in prossimità della torre o in zone adiacenti, proprio nei luoghi in cui sono documentate le abitazioni di alcuni artigiani. Nella seconda metà dell'Ottocento la presenza di figoli è documentata lungo la strada San Francesco, ovvero la strada militare che in seguito assumerà il nome di via Vittorio Emanuele III. La nuova arteria, che collegava San Marco Argentano con i paesi albanesi, divenne fonte di guadagno per molti commercianti e artigiani che avevano la loro bottega lungo questa strada e, a conferma di quanto sopra affermato, ovvero della residenza dei figoli presso il proprio laboratorio, esistono ancora oggi nella zona almeno due vani sotterranei che denotano una precedente funzione di fornace. Tali testimonianze architettoniche si trovavano presso le abitazioni di Vincenzo Fausto e di Bruno Talarico, entrambi registrati negli atti dello stato civile come figoli con domicilio sulla strada San Francesco. L'ubicazione delle due abitazioni, l'una quasi di fronte all'altra, oggi può destare meraviglia per le condizioni di vivibilità entro dimore attaccate o vicine a laboratori e fornaci, ma a quel tempo (per alcune attività artigiane fino agli anni Settanta-Ottanta del secolo scorso) non esistevano, o non venivano applicate, norme di igiene di alcun genere. Da un punto di vista socio-economico è interessante notare come le due principali arterie viarie del paese, quella di cui stiamo parlando denominata via San Francesco, e l'altra detta strada nuova del Ponte Sacchini, poi via Duca degli Abruzzi, divennero i luoghi di maggior concentrazione delle attività artigiane di fine Ottocento e inizi Novecento. Le due arterie, infatti, consentendo il traffico di carri, offrivano possibilità di vendita di prodotti in quantità maggiori rispetto alle botteghe e laboratori ubicati all'interno dei quartieri urbani più antichi, come il Critè o il Puzzillo. Anche in questi ultimi troviamo qualche testimonianza di presenza di figoli, ma in numero molto ridotto rispetto al Casalicchio, alla Torre e alla nuova strada di San Francesco. L'imbocco di quest'ultima che aveva inizio dalla piazza allora detta della Torre si presentava con la statua del Santo paolano eretta su un alto basamento, che ancora oggi esiste nella sua fattura originaria. Sappiamo che il monumento fu eretto intorno al 1878 e conosciamo anche l'autore della statua in terracotta. Si chiamava Luigi Vivona e il suo nome compare anche in un incarico di restauro di mappe demaniali. Questa presenza pone un altro problema: i figoli nostrani si limitavano alla sola produzione di contenitori o producevano anche statue in terracotta, maioliche e altri oggetti rientranti nelle cosiddette opere d'arte? Ad esempio, in una nicchia sulla facciata della chiesa di Santa Caterina era collocata una piccola statua in terracotta della Santa d'Alessandria, oggi conservata nel museo diocesano, altre statue in terracotta sono poste in tre nicchie sulla facciata della chiesa di San Marco Evangelista, almeno due maioliche con raffigurazioni di santi si possono ancora vedere sulla parete esterna del campo sportivo comunale e su una fontana all'interno del giardino già Iacovini. È molto probabile che alcuni dei figoli sapessero realizzare anche opere di maggior impegno, ma, purtroppo, finora non ho trovato alcuna documentazione in tal senso e, per quanto riguarda la statua di San Francesco, l'unica documentata, essa fu eseguita in creta dal predetto decoratore-scultore Luigi Vivona e, considerando che la moglie Pasqualina Arcuri apparteneva ad una famiglia di figoli, fu da qualcuno di loro consolidata con la cottura nella propria fornace. La collocazione della statua e il nome dato alla nuova strada ci dicono che un tempo l'intera zona faceva parte della vasta proprietà dei Minimi di San Francesco di Paola che da Santo Stefano arrivava fino alla Conicella. Negli anni successivi, sia con l'eversione della feudalità nel Regno di Napoli attuata da Giuseppe Bonaparte e sia con la confisca dei beni ecclesiastici negli anni 1866-1867 da parte del Regno d'Italia, il patrimonio dei Minimi passò nelle mani del Comune e di privati. Come spesso accadeva ogni qualvolta si verificavano incameramenti di proprietà al demanio o assegnazioni a privati, dai piccoli insediamenti funzionali alla comunità religiosa, si passò ad una occupazione di suoli su vasta scala funzionale agli interessi dei singoli individui e della collettività. La manifattura di prodotti per la casa, per il lavoro e per la persona era affidata esclusivamente ad artigiani, per cui allargandosi il bacino di utenza ad altri comuni, la produzione di manufatti di creta, dai semplici orcioli ai mattoni che sempre più di frequente venivano impiegati nelle applicazioni murarie e in taluni casi nell'intera edificazione, si estese a tal punto che nel Novecento giunsero anche da altri paesi artigiani del settore. Agli originari Andrioli, Arcuri, Avolio, Bruno, Cava, Cittadino, Fausto, Giannico, Loffredo, Marino, Muraca, Russo, Talarico, al cui interno l'attività di figulo si trasferiva nella maggior parte dei casi da padre in figlio, si aggiunsero o si sostituirono i Pirri, artigiani originari di Bisignano. Le nuove normative che avevano imposto l'allontanamento dai centri abitati di ogni attività artigianale furono all'origine della separazione della produzione dalla commercializzazione, favorendo la nascita di negozi ed empori. In tempi più recenti anche la produzione di terrecotte si ridusse a due soli laboratori: Bonetti di Guardia in contrada Santo Stefano, che chiuse la sua attività negli anni Cinquanta, e i citati Pirri, il cui ultimo rappresentante è Tonino, alias u sceriffu (sopra nel fermo-immagine di una trasmissione TV) nel laboratorio in contrada Richetto. Un socio, formatosi sotto i Pirri, Salvatore Lippo, detto Turuzzu u gummularu, ha rappresentato, è il caso di dire plasticamente, il ritorno all'originaria funzione di artigiano-rivenditore. Continuando l'attività di figolo in contrada Richetto, lontana dal centro abitato, decise di aprire un punto vendita dei prodotti sotto la propria abitazione. Per caso, o per scelta consapevole, volle costruire la dimora con sottostante bottega nei pressi della torre, quasi a testimonianza di un'arte che proprio in quell'area aveva avuto il suo maggiore sviluppo. San Marco Argentano, 10 dicembre 2022 Paolo Chiaselotti |
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